Note del cuore
di STEFANIA AUCI
Un racconto breve, scritto PER NOI in esclusiva.
L'aveva promesso alla lettrice che ha scritto il più emozionate commento al suo romanzo ancora in vendita qui, ma praticamente a tutti: "Datemi quattro parole chiave e le trasfomerò in una mini novella per il sito. E ci ha accontentato. I protagonisti sono Nik e Kristen, un pianista e una violinista. Il set è la magica Venezia. La storia si svolge su due piani temporali, il 1970 e il 2013.
Buona lettura e... grazie, Stefania!
Venezia, 25 gennaio 2013
La solitudine era il tocco del pendolo che risuonava tra le pareti deserte della casa. Era la pioggia che batteva insistente sui vetri, lacrime di un cielo ignaro del dolore degli uomini.
La porta cigolò sui cardini. Passi leggeri entrarono nella casa. Alcuni erano rapidi, altri strascicati. L’ombrello con il suo carico d’acqua fu lasciato fuori dalla porta. In cucina, cominciò un tramestio sommesso di tazze e piattini. Qualcuno accese il fuoco nella stufa al centro della sala.
Un sospiro. Pesante.
“Riposati papà.”
La donna aveva una voce premurosa, velata dalla stanchezza. Era vestita di scuro, con i capelli biondi tirati in una coda stretta. Si avvicinò all’uomo anziano che, fermo dinanzi la finestra, osservava il placido avanzare dell’acqua nel canale che scorreva a poca distanza dalla casa.
La pioggia donava un colorito strano a Venezia. Opaco, malinconico. Le case si specchiavano nell’acqua e l’immagine restituita era simile a una vecchia foto che aveva subito le ingiurie del tempo.
“Non sono stanco” aveva risposto lui. “Anzi, credo che suonerò un po’.” Si voltò per osservare la figlia di sottecchi. Percepì una stretta al cuore: Helena era così simile a sua madre. A sua moglie, la sua adorata Kristen, compagna di arte e di vita.
A Kristen che l’età e una malattia impietosa si erano portata via pochi giorni prima.
Kristen, bionda, bella e ironica, imprigionata nei ricordi, così come l’aveva conosciuta. Gli apparve dinanzi agli occhi, in quella stessa stanza, in quella casa che avevano comprato e ristrutturato insieme, anno dopo anno, riempiendola di note e di amore.
Era primavera. Più di quarant’anni prima. Erano giovani.
Lei aveva un abito a fiori che le lasciava scoperte le spalle e un sorriso sfacciato.
“Non dirmi che hai paura, Nik!”
Venezia, marzo 1970
Oh, sì. Aveva avuto paura, Nicola Fantini, e tanta. Kristen lo aveva giocato, con il sorriso sulle labbra e i suoi occhi da cerbiatta.
“Mi hai iscritto al concorso città di Venezia? Ma sei…”
Kristen gli aveva messo un dito sulle labbra. “Non dire pazza, Nik. Tu non avresti mai avuto il coraggio di farlo, così l’ho fatto io per te.”
“Ma il città di Venezia è uno dei più importanti concorsi pianistici che esistono in Italia. Tu… no, io non sono pronto.”
“Certo che lo sei. Solo che non sai di esserlo.”
“Hai falsificato la mia firma sul modulo!”
Ridacchiò. “Ovvio. Tanto sapevo che non avresti rifiutato.”
Lui l’aveva fissata inarcando un sopracciglio, a braccia conserte. “Mi hai fatto venire da Parigi di corsa, per partecipare a un massacro? Accennavi a un concerto, non a una farsa.” Dalla tasca del pantalone tirò fuori una lettera e gliela sventagliò sotto il naso. “Non sei stata onesta con me.”
La ragazza aveva portato le mani alle labbra con aria seria. “Tu sei un pianista molto dotato. Hai talento e passione. Quanto alla tecnica, so perfettamente che studiare con Philippe Miroir ti avrà costretto ad affinarla. Per cui, sta’ zitto e partecipa.”
“Non se ne parla. E’ stato un colpo basso da parte tua!” aveva replicato Nicola con veemenza.
Kristen gli si era avvicinata e gli aveva messo le mani sul braccio. “No. Sin da quando studiavamo alla Chigiana di Siena, sapevo che saresti arrivato in alto. Non perdere questa occasione. Io ho fiducia in te.”
L’uomo non aveva risposto subito. Aveva iniziato a passeggiare per la stanza di quell’appartamento che puzzava di umido e di polvere, preso in affitto della giovane violinista dell’orchestra stabile della Fenice di Venezia.
Nik aveva conosciuto Kristen Hollande a Siena, durante un corso biennale di perfezionamento per pianoforte che aveva frequentato all’accademia Chigiana. Era rimasto colpito sin da subito dal viso sbarazzino e dalle lunghe trecce bionde che le accarezzavano le spalle. Dalla macchia sotto il collo, aveva compreso che si trattava di una violinista; dalle dita sottili e lunghe, che era una virtuosa.
Subito avevano suonato insieme. Musica da camera, soprattutto barocco italiano. Vivaldi, qualcosa di Boccherini, Pergolesi. Poi Haendel. Poi ancora Mozart in un trio con un collega francese.
Quella ragazza aveva su di lui un ascendente molto forte, che trascendeva la forza di un legame tra amici. C’era voluto il lungo semestre parigino per portare alla luce quella consapevolezza, e questa certezza lo aveva spaventato.
Non sapeva come lei avrebbe potuto reagire se si fosse fatto avanti, se…
La lettera che aveva ricevuto pochi giorni prima lo aveva riempito di dubbi e di speranze che aveva provveduto a nascondere con cura. Non era il momento giusto, quello.
La osservò dubbioso, mentre l’entusiasmo e l’eccitazione iniziavano a sedurlo come demoni tentatori.
Senza parlare, lei si era avvicinata ancora. Gli aveva preso la mano, aveva seguito le linee del palmo fino ad arrivare ai polpastrelli. “Ce la puoi fare Nik. Credimi” gli aveva sussurrato.
E lui le aveva creduto.
L’uomo anziano si avvicinò alla porta della sala da musica, un grande studio che si affacciava su un campiello deserto. Tirò via le tende cremisi dalla finestra e fissò per alcuni istanti il muro screpolato del palazzo di fronte, illuminato da un raggio di sole livido, appena sfuggito dalla coltre di nubi.
Se il cancro non l’avesse portata via, Kristen sarebbe stata lì, alla finestra, a suonare uno dei suoi amati compositori russi. Lui l’avrebbe guardata con un sorriso appena accennato negli occhi e poi si sarebbe seduto allo Stenway & Sons, il suo pianoforte.
Il groppo alla gola arrivò imprevisto, doloroso, e lo strinse così forte da togliergli il fiato. Curvò le spalle e appoggiò la fronte al vetro gelido della finestra. Kristen se ne era andata. E lui non avrebbe potuto più stringere la sua mano dai polpastrelli callosi.
“Papà…” Helena era sulla soglia. Il padre si voltò a fissarla e la donna corse ad abbracciarlo. Piansero abbracciati, mentre la stanza si riempiva del suono del silenzio.
“Suona, papà. Suona per lei e per me” mormorò d’un tratto la figlia.
Nik scosse la testa. “Non posso” mormorò. “Non è la stessa cosa senza di lei.”
Helena gli prese la mano, la strinse forte. “Ti prego.”
Con un sospiro pesante, l’uomo si avvicinò al pianoforte a coda. Non era un oggetto, quello strumento. Una creatura elegante, sinuosa e perfetta come un felino. Era parte della sua anima, della sua vita, così come il violino di Kristen era parte di lei.
Con le dita che tremavano, Nicola aprì il pianoforte.
E iniziò a suonare. Come allora, per lei.
“Mmh… allora. Prova eliminatoria. Brani obbligatori: Bach, preludio e fuga in fa minore, secondo volume numero 12. Poi, Beethoven, l’Appassionata. Gentile la commissione” bofonchiò il ragazzo sedendosi al pianoforte che Kristen aveva affittato per lui il giorno dopo la sua capitolazione.
Kristen gli mise tra le braccia un faldone di spartiti. “Eccoli qui.” Gli sorrise. “Non mi hai colto impreparata.”
Stava per andare via, ma Nik la fermò. L’afferrò per il polso. “Perché?” chiese. “Perché stai facendo tutto questo per me?”
Stranamente, la ragazza aveva abbassato gli occhi. “Perché so che tu puoi farlo” aveva risposto con leggerezza.
La stretta di Nik si era fatta più forte. Era scattato in piedi. Gli spartiti si erano sparpagliati a terra. “Perché? Non è roba che si fa per un amico, o un collega, questa. Hai persino affittato un pianoforte, mi stai ospitando qui nella tua casa a Venezia.” Nicola aveva deglutito a vuoto. “Dimmelo.”
Kristen lo aveva guardato in silenzio. Negli occhi era balenato un lampo di rabbia, mista a paura. Poi aveva staccato le sue dita dal polso con le proprie, una dopo l’altra.
“C’è bisogno di chiederlo?” aveva risposto.
Era rimasto solo nella stanza con quel pianoforte accordato alla bell’e meglio e tante domande che gli succhiavano via l’energia dal cuore.
Forse non era stata solo una sua sensazione. Forse l’affinità che avevano costruito a Siena era qualcosa di più di un ottimo affiatamento tra musicisti?
Solo il tempo avrebbe potuto dirlo. Il tempo e quei giorni che gli si aprivano dinanzi, febbrili e meravigliosi.
Respirò a fondo e strofinò le mani sulle cosce per scaldarle un po’. Bach. Preludio e fuga num. 12 in fa minore.
Di quel brano adorava soprattutto la fuga: così intensa, elegante, intrisa di una sorta di sofferenza senza nome. Qualcosa che lui sentiva molto in quel momento.
Da quel giorno fino al concorso suonò senza sosta. Dall’alba fino a notte fonda, fino a sentire i vicini che rumoreggiavano perché “ non ci bastava quella straniera con il violino, ora pure questo che pigia i tasti.” Suonò fino a sentire le dita intorpidite, mangiando con gli spartiti sulle ginocchia, provando sul tavolo la diteggiatura.
Suonò fino a che Kristen non lo staccò a viva forza dal pianoforte, la sera prima della prova eliminatoria.
“Andiamo a fare una passeggiata, su. Devi rilassare la mente.”
Lo condusse per mano per i vicoli e i canali. Nik sentiva le dita contrarsi nelle mani di lei. L’Appassionata gli rimbombava nella testa impedendogli di placare la sua ansia. Era stanco, e provato, e arrabbiato. Se avesse fallito, non solo avrebbe perso la fiducia nel proprio talento, ma avrebbe tradito la stima di Kristen.
Lei gli era stata così vicina, così…
Nik si sorprese a pensare a ciò che sarebbe avvenuto dopo il concorso. Sarebbe tornato a Parigi, certo, e Kristen avrebbe continuato a suonare per l’orchestra della Fenice. Ma c’era qualcosa di stonato in quello spartito. Una nota dissonante che strideva nell’armonia che si era creata tra loro, e che gli stingeva la gola. Proprio come in quel momento, in cui i riflessi del sole si mescolavano ai capelli chiari di Kristen e il vento della laguna le scompigliava le ciocche.
“Cosa c’è?” aveva chiesto lei, sorpresa dal suo sguardo meditabondo. Nik aveva abbozzato un sorriso. Le aveva sfiorato il viso con una carezza. Ma non aveva risposto.
Bach, clavicembalo ben temperato, volume secondo, Preludio e fuga numero 12 in fa minore. Era stato il suo cuore a sceglierlo, erano i ricordi e le dita a eseguirlo. Chiuse gli occhi. Non aveva bisogno dello spartito.
Doveva essere quello. Una fuga, come quella di Kristen, in avanti, verso un luogo in cui lui non avrebbe potuto raggiungerla, non subito.
Eliminatorie. Beethoven.
Superate. Non il punteggio più alto: un ragazzo ungherese aveva preso il massimo.
“È il tizio da battere. Non devi avere pietà” aveva sibilato Kristen con aria truce.
“Oh, smettila” aveva riso lui. Poi aveva inarcato un sopracciglio. “Comunque… sì. Bravo, davvero.”
“Ve la giocate tutta con Bach.”
E Bach aveva fatto la differenza. Quella Fuga dalle note così ricche e insieme pulite, di una purezza adamantina.
Nicola aveva suonato a occhi chiusi, lasciando che la melodia passasse dalla mano sinistra alla destra, in una continua ricerca di unità. Alla fine, aveva lasciato per alcuni istanti le dita sulla tastiera, immobili, per percepire la leggera vibrazione delle corde. Quando aveva riaperto le palpebre, aveva scorto Kristen che lo fissava con la bocca socchiusa e gli occhi che scintillavano.
Seconda fase: un programma da concerto solista a scelta del candidato.
“Due notturni di Chopin, poi un etude di Debussy e per finire…” Seduto sugli scalini del teatro, NiK osservò il profilo di Kristen. Doveva consegnare il programma alla commissione nel pomeriggio.
La ragazza si massaggiò la nuca. “Un contemporaneo? Gershwin?”
“No, troppo scontato. Pensavo a Poulenc.”
Kristen inarcò un sopracciglio. “Non è un po’ troppo moderno? Là dentro sono dei “parrucconi”, lo sai…”
Nicola strofinò le lunghe dita sul pantalone di vigogna. “Lo so” rispose con un sorriso timido. “Ma è ciò che stavo studiando con il maestro Miroir.”
La violinista si strinse nelle spalle. Il sole stava tramontando e nuvole di pioggia assediavano il cielo striato di viola. “E Poulenc sia.”