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Note del cuore

di STEFANIA AUCI

Un racconto breve, scritto PER NOI in esclusiva.

L'aveva promesso alla lettrice che ha scritto il più emozionate commento al suo romanzo ancora in vendita qui, ma praticamente a tutti: "Datemi quattro parole chiave e le trasfomerò in una mini novella per il sito. E ci ha accontentato. I protagonisti sono Nik e Kristen, un pianista e una violinista. Il set è la magica Venezia. La storia si svolge su due piani temporali, il 1970 e il 2013.

Buona lettura e... grazie, Stefania!

2

La semifinale si era tenuta dopo una settimana di passione. Letteralmente. Un’ondata di freddo improvvisa si era abbattuta sulla città e la piccola casa di Kristen, priva di riscaldamento, si era fatta ancora più umida e fredda. Nik suonava sin dalle prime luci dell’alba, avvolto in un pastrano e con dei guanti cui la ragazza aveva tagliato via le dita. Alla sera le mani erano doloranti, le nocche arrossate, i polsi indolenziti.
Il pomeriggio prima della prova, Kristen trovò Nik con la testa sulla tastiera. Le spalle erano scosse dai singhiozzi silenziosi. A passi cauti, lei si avvicinò e lo abbracciò.
Le mani del pianista si intrecciarono con le sue dita. “Non ce la farò mai, Kris. Sono troppo stanco e questo… questo maledetto non vuol…” NIk, afferrò lo spartito di Debussy e lo scagliò a terra con rabbia. “Non ce la farò mai!” esplose esasperato.
“Sì, invece!” La ragazza si chinò su di lui, lo costrinse ad alzare la testa e a fissarla in viso. Gli asciugò le lacrime che si infilavano tra la barba ispida. “Ce la farai. Io sarò con te, un passo indietro.”
Nik si divincolò da quella stretta. “Non capisci che è di questo che ho paura?”
Kristen lo strinse in un abbraccio. Appoggiò la testa sulla sua, gli sfiorò l’orecchio con le labbra in un sussurro. “Non devi aver paura di questo. Un passo indietro a te. E se cadrai, ti aiuterò a risollevarti.” Gli prese il viso tra le mani. “Ma tu non cadrai.”
Le dita di Nik si intrecciarono con le sue. “Resterai con me?”
Non era una domanda che riguardava solo il concorso. Lo sapevano entrambi.
“Sì.”
Programma da concerto. Nella sala, un silenzio irreale soffocava il fruscio degli spartiti e i sussurri dei pochi spettatori.
Nik aveva rinunciato alla barba da intellettuale ed era andato dal barbiere per dare una sistemata ai ricci disordinati che gli arrivavano fino alle spalle. Era seduto in abito scuro al pianoforte a coda. Poco lontano, la commissione al tavolo coperto da un drappo azzurro. Quattro uomini, una donna. Tra essi, un direttore d’orchestra.
Kristen era in platea, nascosta nel buio, insieme con i pochi familiari ammessi ad assistere alle semifinali e con i giornalisti delle cronache culturali.
Chiamarono il suo nome. Nicola sentì la bocca arsa, le mani diventare di colpo bollenti. Sarà come sarà. È già stato un successo arrivare fin qui, si disse mentre si sedeva sul panchetto di pelle nera.
E poi accadde.
Nella mente solo la musica, le dita che conoscevano a memoria i tasti. Le note si intrecciavano in un’armonia raffinata che si sovrapponeva a quella delineata dai compositori. La musica diventava parte di lui ed erano le sue mani a infondergli vita nuova, a plasmarla. La tecnica non era più arido esercizio: erano scalpelli, bulini, chiodi che usava per scolpire emozioni sui volti di chi lo ascoltava.
Nik non si rendeva conto di tutto ciò. Era chiuso nel suo bozzolo di note, al riparo dalla paura.
Terminò dopo quasi cinquanta minuti. Si alzò dallo strumento quasi barcollando, con la camicia che gli aderiva alla schiena ormai madida di sudore. Attese il cenno di assenso della commissione per lasciare il palco e si avviò verso le scale. E lì davanti lo attendeva Kristen. Stringeva tra le mani il suo cappottino di tweed azzurro e una borsa di tela. Appena lo vide, lasciò cadere gli oggetti e lo abbracciò forte.
“Bravissimo! Sei stato bravissimo.”
Nik si lasciò sfuggire una risata stanca. “In realtà, in questo momento mi sento svuotato.” Alzò la testa e si guardò attorno, senza quasi rendersi conto di ciò che stava accadendo. Un altro candidato, il pianista ungherese aveva appena iniziato un brano di Listz.
“Andiamo”, lo sollecitò la ragazza. “La commissione darà gli esiti domani. Torniamo a casa, così potrai mangiare e dormire un po’… finalmente.”
A casa.
Quella parola lo scosse dal torpore. Aiutò la ragazza a raccogliere da terra il cappotto, prese la borsa con gli spartiti e il soprabito. Poi le passò un braccio attorno alle spalle. Kristen era minuta, sottile, e si rannicchiò contro di lui poggiandogli la tesa sul petto.
In quel momento, Nik comprese che qualunque cosa fosse accaduta, Kristen non avrebbe più lasciato la sua vita. Non ne sarebbe uscita mai più, e lui avrebbe fatto di tutto per restare con lei.
Il giorno dopo, Nik si svegliò di soprassalto. Una luce fredda entrava a fiotti generosi dalla finestra, e le lenzuola erano scivolate per terra, ai piedi del divano su cui dormiva. Un grido lo aveva strappato al sonno con violenza; subito dopo un peso era piombato addosso il suo stomaco.
“Sì! Ce l’hai fatta!”
Fatto… cosa? Aveva pensato per un istante. Un secondo dopo era in piedi con gli occhi sbarrati e la casacca di flanella del pigiama che pendeva fuori dai pantaloni. Fissò Kristen a bocca aperta.
“Sono…?”
Un altro grido. “Sì!”
Gli saltò al collo e insieme precipitarono sul divano ridendo. La ragazza lo allontanò da lei, senza però sciogliersi da quell’abbraccio impacciato. “Stamattina sono uscita presto, avevo sentito che avrebbero affisso i risultati in prima mattinata e così…”
“Perché, che ore sono?” chiese lui. Si stiracchiò, poi le passò un braccio attorno alla vita e la strinse.
“Quasi le dodici. Hai dormito per diciotto ore di seguito.”
Più sconvolto che felice, Nik aveva appoggiato la testa sullo schienale del divano. Senza riflettere, aveva accarezzato i capelli di Kristen e lei si era rannicchiata contro di lui. “Non credevo di poter arrivare a tanto. Finalista al Città di Venezia” mormorò, incredulo. “Solo i migliori ci riescono.”
“Come il tuo maestro Miroir” rispose lei con le sopracciglia aggrottate. Si scambiarono uno sguardo.
“Devo tornare a Parigi. Solo lui può prepararmi per la finale” dichiarò Nik scattando in piedi. “Anzi, prima devo chiamarlo. L’ultima volta che l’ho sentito, mi ha dato del pazzo incosciente. Chissà come reagirà quando scoprirà che sono arrivato in finale.”
Kristen, invece, rimase seduta sul divano. Raccolse le gambe sotto di sé e si rannicchiò contro il bracciolo. “Giusto…” assentì con un filo di voce.
Nik si voltò a guardarla. Non sapeva bene che cosa dire, né che cosa provare in quell’istante. Perché l’idea di allontanarsi da lei, adesso, era amara. Le tese la mano.
“Non avrei potuto farcela senza di te” ammise sottovoce.
Lei si schernì con un gesto. “Sciocchezze. Tu hai talento. Era solo questione di aver fiducia e di aver…”
“No.” Nik la bloccò con un dito sulle labbra. Si inginocchiò dinanzi a lei e le prese la mano. “Io non avrei potuto farcela. Senza te, io sono nessuno.”
Le mani della ragazza si strinsero sino a far sbiancare le nocche. Nik le stringeva la mano, la fissava con gli occhi colmi di devozione, il respiro affrettato.
Ecco. Lo aveva ammesso. Nessuna clamorosa dichiarazione d’amore. O forse sì, la più grande. Un dono insieme alla fiducia assoluta che lui nutriva per quella violinista dagli occhi grandi e dalla pelle candida.
Rimasero in silenzio per una manciata di secondi. Nik la vide deglutire a vuoto, e poi le labbra si schiusero in un sorriso. “Ti aspetterò, Nik. Un mese o un anno, non importa.”
“Non ho intenzione di starti lontano più del necessario.”
Gli accarezzò il viso colorato un’ombra di barba. “C’è ancora una cosa che tu non sai.”
Le sopracciglia di Nik scattarono in su.
“Sarò nell’orchestra che accompagnerà il concerto dei tre finalisti.” Fece una pausa, e sorrise. “Suoneremo insieme, Nik.”
L’uomo rise. Si sedette sui talloni e scrollò la testa. “Abbiamo suonato già insieme.”
Kristen lo guardò in tralice. “Sì. Ma mai così.”
Fu il mese più bello e lacerante della sua vita. Il ritorno a Parigi con il treno, il profumo dei caprifogli della villa del maestro Miroir, le note del concerto in sol di Ravel che aveva scelto di presentare per la finale con l’orchestra. Nik oscillava tra il sogno e l’incubo, tra l’aspettativa e il desiderio. Il suo docente lo sorprese, offrendosi di accompagnarlo alla serata di gala al teatro della Fenice.
“Sei l’unico tra i miei allievi ad essere arrivato così in alto” aveva spiegato paziente. “Comunque vada, essere stati ammessi alla finale di un premio di questo livello va considerato un enorme successo.” Aveva accarezzato con calma il dorso del suo pianoforte da concerto. Era un vecchio anziano e rigoroso, dal portamento elegante. “Adesso sarai tu a segnare la strada del tuo futuro. Presto non avrò più nulla da insegnarti.”

Presto non avrò più nulla da insegnarti. Frase profetica.
Miroir era morto poco dopo il suo matrimonio con Kristen, un anno dopo la finale del premio.
Non aveva vinto. A vincere era stato il pianista ungherese, un talento purissimo. Ma Nik non era stato da meno: concerti con la sinfonica di Vienna, di Berlino, di Madrid. La Royal Albert Hall di Londra. Registrazioni per le principali case discografiche. Allievi, successi prestigiosi. New York. Tre anni in America.
Kristen.
Kristen, che era sempre rimasta con lui, come aveva promesso: un passo indietro. I figli che avevano perduto e poi la gravidanza di Helena, portata avanti faticosamente. Kristen, che lui aveva imprigionato in ogni nota, che aveva dato tutta se stessa perché Nik potesse diventare ciò che era adesso.
Un singhiozzo.
Poi una lacrima scivolò sui tasti avorio, e un’altra ancora. Gli anni e il freddo aggredirono il pianista, insieme con una valanga di ricordi amari. Infine, la solitudine. Forte, tenace, pesante.
No, l’amore non l’avrebbe consolato. Non ora. Forse, un giorno, domani. Forse la musica lo avrebbe consolato. Forse.
Forse Kristen era ancora lì, imprigionata tra le note, pronta a sorridergli.
Anche se non ci sarebbe stata più. Mai, mai più.

NOTA DI STEFANIA AUCI
Ringrazio la vincitrice per questo suggerimento così particolare. Mi rendo conto che, a una prima lettura, questa storia possa sembrare poco romantica. Ma nel momento in cui il racconto si delineava nella mia mente ho compreso che non avrei potuto narrare in maniera diversa l’amore di questi due musicisti.
La musica, forse più delle altre arti, consegna l’anima umana all’immortalità.
Per quanto riguarda i brani scelti, voglio dire che si tratta di pezzi che conosco bene. Lo splendido concerto in Sol di Maurice Ravel, Bach e il suo Clavicembalo ben temperato, Listz, Chopin e Beethoven sono stati la colonna sonora della mia infanzia e della mia adolescenza. Conosco questi brani a memoria, non perché io sappia suonare il pianoforte ma per averli ascoltati – dal vivo e non – centinaia di volte.
Infine, il concorso: ovviamente non esiste un premio pianistico Città di Venezia. Ma esiste, e forse alcune di voi ne avranno sentito parlare, il Premio internazionale Busoni di Bolzano. È il concorso pianistico per eccellenza in Italia, che incorona solo i veri, grandi virtuosi. La serata finale viene trasmessa su Radio Rai ed è una delle manifestazioni musicali che ancora sopravvive al lungo inverno della cultura. Dal Busoni ho tratto l’idea e l’articolazione del concorso in fasi eliminatorie, compresi i brani musicali obbligatori che i candidati devono eseguire per provare non solo capacità tecniche e psicologiche, ma anche la propria resistenza allo stress da palcoscenico.
Spero che questo racconto un po’ malinconico e ricco di amore per la musica vi piaccia. Io non posso che ringraziare tutte voi per la stima che mi dimostrate, non solo da oggi e non solo sul “palcoscenico” di Harlequin Mondadori.
Stefania.

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