Il principe playboy
di KATE HEWITT
Ella Jamison farebbe quasi qualsiasi cosa per il suo lavoro. Dopo che il suo capo, l’architetto Chase Bryant, l’ha salvata in una situazione umiliante, Ella cerca di sdebitarsi in tutti i modi. Ora, però, il capo le chiede di scortare in giro per New York City il principe Playboy. Lei detesta gli uomini arroganti e presuntuosi come Philippe Montvidant. Ma il lavoro viene prima di ogni altra cosa, e il lavoro ha bisogno di lei.
* * *
Philippe sa tutto riguardo i doveri. La sua fama di playboy ha portato al suo piccolo paese la pubblicità di cui ha bisogno. Purtroppo la stampa e le persone come Ella vedono solo i titoli altisonanti, e non si sforzano di conoscere l’uomo vero. Ma per qualche ragione Philippe desidera disperatamente che Ella sappia chi è davvero. Ma se riuscisse a farle aprire gli occhi, a lei piacerebbe quello che vedrebbe?
Philippe osservò la donna di fronte a lui, le guance un po’ arrossate a causa dei due bicchieri di vino che l’aveva convinta a bere, alcune ciocche di capelli che sfuggivano allo stretto chignon, cadendo ad ammorbidire il contorno del viso a forma di cuore. Ella Jamison era bella, e lui si era sentito intrigato ed attratto da lei fin dal primo momento in cui gli si era avvicinata in aeroporto, con l’aria di dover incontrare qualcun altro.
Ovviamente credeva a tutto quello che aveva letto di lui sui rotocalchi, e non poteva biasimarla. Per molti versi avrebbe dovuto esserne contento. Era esattamente per ottenere quel risultato che aveva posato per quelle fotografie, concedendo interviste e dichiarazioni. Desiderava che la gente pensasse che lui fosse il principe Playboy. E a giudicare dal modo in cui Ella lo guardava quando pensava di non essere vista – con freddo disdegno – aveva avuto successo.
Purtroppo, in quel momento si sentiva come se avesse fallito.
Era comunque riuscito a farla scoprire un poco quella sera, chiedendole di New York, un soggetto abbastanza innocuo, per poi passare a domandarle un poco di lei, che chiaramente per Ella non era un soggetto innocuo. Infatti aveva declinato tutte le domande personali, per tornare invece all’architettura.
«Chase Bryant adopera sempre materiali locali e rinnovabili in tutte le sue costruzioni. E si sforza sempre di inserire i suoi progetti nel paesaggio naturale.»
«Ammirevole» mormorò Philippe. Lo sapeva già, ed era per quello che aveva deciso di collaborare con lo studio Bryant. «Le interessa l’architettura, Ella?»
Poteva sembrare una domanda innocente tuttavia le sue guance si tinsero di rosa. «Certamente» rispose dopo un secondo di pausa. «Lavoro per Bryant, dopotutto.»
«Intendevo personalmente. Ha mai pensato di studiare anche lei architettura?»
Il rossore si intensificò, e quella semplice reazione fece scorrere un flusso di desiderio attraverso il corpo di Philippe, che si agitò nella poltrona. «L’ho fatto» ammise lei, guardando via. «Ma ho completato solo il primo anno.»
Intrigato, lui si allungò in avanti. «Che è accaduto?»
«La vita» rispose lei piano, riportando lo sguardo su di lui. «La realtà è che non sempre si può avere quello che si vuole. Ma dal momento che lei è un principe, forse non può capirlo.»
Si stava mettendo sulla difensiva, una tattica con cui lui aveva molta familiarità. «Per la verità, lo capisco benissimo.» Fin troppo.
Lei piegò la bocca cinicamente. «È difficile immaginare quali sogni abbia dovuto sacrificare.»
«Ne sono sicuro.»
Lei bevve un sorso di vino, incontrando il suo sguardo sopra l’orlo del bicchiere. «Mi dica allora.»
«Dirle?»
«Quale sogno ha sacrificato, principe Philippe?»
Philippe si appoggiò contro lo schienale. Quella conversazione stava diventando molto interessante. E pericolosa. «Le ho chiesto, anzi... ti ho chiesto» le rammentò, «di chiamarmi Philippe.»
Philippe osservò la donna di fronte a lui, le guance un po’ arrossate a causa dei due bicchieri di vino che l’aveva convinta a bere, alcune ciocche di capelli che sfuggivano allo stretto chignon, cadendo ad ammorbidire il contorno del viso a forma di cuore. Ella Jamison era bella, e lui si era sentito intrigato ed attratto da lei fin dal primo momento in cui gli si era avvicinata in aeroporto, con l’aria di dover incontrare qualcun altro.
Ovviamente credeva a tutto quello che aveva letto di lui sui rotocalchi, e non poteva biasimarla. Per molti versi avrebbe dovuto esserne contento. Era esattamente per ottenere quel risultato che aveva posato per quelle fotografie, concedendo interviste e dichiarazioni. Desiderava che la gente pensasse che lui fosse il principe Playboy. E a giudicare dal modo in cui Ella lo guardava quando pensava di non essere vista – con freddo disdegno – aveva avuto successo.
Purtroppo, in quel momento si sentiva come se avesse fallito.
Era comunque riuscito a farla scoprire un poco quella sera, chiedendole di New York, un soggetto abbastanza innocuo, per poi passare a domandarle un poco di lei, che chiaramente per Ella non era un soggetto innocuo. Infatti aveva declinato tutte le domande personali, per tornare invece all’architettura.
«Chase Bryant adopera sempre materiali locali e rinnovabili in tutte le sue costruzioni. E si sforza sempre di inserire i suoi progetti nel paesaggio naturale.»
«Ammirevole» mormorò Philippe. Lo sapeva già, ed era per quello che aveva deciso di collaborare con lo studio Bryant. «Le interessa l’architettura, Ella?»
Poteva sembrare una domanda innocente tuttavia le sue guance si tinsero di rosa. «Certamente» rispose dopo un secondo di pausa. «Lavoro per Bryant, dopotutto.»
«Intendevo personalmente. Ha mai pensato di studiare anche lei architettura?»
Il rossore si intensificò, e quella semplice reazione fece scorrere un flusso di desiderio attraverso il corpo di Philippe, che si agitò nella poltrona. «L’ho fatto» ammise lei, guardando via. «Ma ho completato solo il primo anno.»
Intrigato, lui si allungò in avanti. «Che è accaduto?»
«La vita» rispose lei piano, riportando lo sguardo su di lui. «La realtà è che non sempre si può avere quello che si vuole. Ma dal momento che lei è un principe, forse non può capirlo.»
Si stava mettendo sulla difensiva, una tattica con cui lui aveva molta familiarità. «Per la verità, lo capisco benissimo.» Fin troppo.
Lei piegò la bocca cinicamente. «È difficile immaginare quali sogni abbia dovuto sacrificare.»
«Ne sono sicuro.»
Lei bevve un sorso di vino, incontrando il suo sguardo sopra l’orlo del bicchiere. «Mi dica allora.»
«Dirle?»
«Quale sogno ha sacrificato, principe Philippe?»
Philippe si appoggiò contro lo schienale. Quella conversazione stava diventando molto interessante. E pericolosa. «Le ho chiesto, anzi... ti ho chiesto» le rammentò, «di chiamarmi Philippe.»