Guardare ma non toccare
di DEBBI RAWLINS
DO NOT DISTURB è una serie di novelle online che ti ha tenuto compagnia su HARMONY TEMPTATION con sei scottanti romanzi, e sul sito con sei racconti inediti, per vivere la piccante atmosfera dell'Hotel Hush. GUARDARE MA NON TOCCARE è firmata da Debbi Rawlins
La varietà degli articoli era impressionante.
Tara Sharp passò in rassegna l'assortimento di manette presenti nell'armadio che comprendeva quelle generiche in uso alla polizia, ma anche versioni più eleganti e raffinate con bordure in pelliccia. Sul ripiano superiore trovò una collezione di videocassette dai titoli interessanti e su quello inferiore un paio di fruste e delle sciarpe di seta ordinatamente ripiegate, insieme a parecchi altri articoli dei quali non conosceva utilizzo.
Naturalmente non l'avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura.
«Le serve nient'altro, signorina Sharp?»
Al suono della voce del giovane vicedirettore dell'Hush Hotel, Tara trasalì affrettandosi a chiudere le ante dell'armadio. Si era dimenticata della sua presenza quando si era allontanato per aprire le tende nel salottino.
Sorridendo il giovane le consegnò la tessera magnetica che dava accesso alla suite nell'attico.
Accettandola, Tara si accorse di una screpolatura che rovinava lo smalto nero delle unghie curatissime. Proprio oggi, accidenti!, imprecò tra sé. Quel giorno festeggiava il suo ventunesimo compleanno e il suo primo concerto al Madison Square Garden, previsto per la sera seguente. «Questa è la suite migliore che avete?»
Il sorriso del giovane assistente non vacillò neanche per un istante. I suoi occhi scuri rimasero impassibili. «Sono sicuro che troverà tutto quello che desidera.»
Tara gli restituì il sorriso. La sua compostezza meritava di essere premiata. Naturalmente, come tutti, anche lei aveva sentito parlare del nuovo albergo di Piper Devon e di come fosse il preferito delle star che lo affollavano fin dal giorno dell'apertura. Il personale doveva aver fatto l'abitudine alle richieste più stravaganti e insolite. In ogni caso ormai lei aveva deciso di chiamarsi fuori dal gioco. Da qualche tempo aveva perso interesse nel provocare le persone e lo faceva con sempre meno entusiasmo.
Appena sedicenne era arrivata in cima alle classifiche e da allora non c'era stato nessuno che non si fosse piegato ai suoi capricci. A ogni nuovo pezzo che immancabilmente si guadagnava un disco di platino, la sfida che consisteva nello scandalizzare e stuzzicare il pubblico era diventata sempre più difficile da sostenere, benché necessaria, a detta della sua agente. «Vogliamo scommettere, Alan?» ribatté lei, leggendo il nome sul cartellino fissato al taschino della giacca.
Il sorriso di Alan si fece ancora più ampio e per nulla condiscendente mentre le consegnava un cercapersone. «Se le serve qualcosa, usi questo. Basterà premere il bottone e io la chiamerò immediatamente.»
«Per qualsiasi cosa?»
«Le faccio portare subito le valigie» aggiunse lui mantenendo un'espressione insondabile. «C'è nient'altro?»
«No, e non si preoccupi delle valigie, ci penserò io.»
Corrugando la fronte, Alan si avviò verso la porta, ma prima di uscire esitò.
«Davvero, non si preoccupi, ci penserò io» lo tranquillizzò lei.
Accidenti, non era un'incapace e poi non intendeva occuparsi di persona delle valigie. Voleva che fosse Mitch a portargliele. Era l'unico modo per farlo entrare nella sua stanza. Certo, avrebbe potuto fingere un'emergenza, ma l'ultima volta che l'aveva fatto lui si era arrabbiato moltissimo, quindi era meglio lasciar perdere.
Il vicedirettore annuì e scomparve lasciando Tara da sola, alla mercé dei pensieri sempre più vorticosi che le impedivano di dormire e le tenevano lo stomaco stretto in una morsa.
Respirando a fondo per calmarsi ricordò come fosse stato tutto fantastico all'inizio. Scoperta da un talent scout di provincia, dopo aver superato il primo impatto con la notorietà, aveva subito smesso di essere la ragazzina spaventata di Shelly, nell'Idaho, calandosi perfettamente nella parte della diva scatenata e ribelle della musica pop, creando opportunamente uno scandalo dopo l'altro da dare in pasto ai giornali. Ora però quel gioco non la divertiva più. La magia degli inizi era svanita, lasciandola di nuovo spaventata.
Tara non aveva ancora le idee chiare su quello che voleva fare della sua vita, sapeva solo che non voleva più fingere e che voleva Mitch, se solo lui si fosse degnato di accorgersi di lei. Purtroppo ai suoi occhi lei era semplicemente una bambina petulante, proprio come la descrivevano i giornali ai quali rifilava una storia piccante dopo l'altra. Gli scoppi d'ira, i bronci, l'abbigliamento indecente, le richieste ridicole... tutto faceva pensare che fosse una ragazzina viziata.
Sospirando si sedette sul divano. Le tremavano le ginocchia. Il ruolo che le era stato imposto incominciava a starle stretto. Non si divertiva più nello scandalizzare il pubblico. Sentiva l'esigenza di essere se stessa, anche se non sapeva più bene chi fosse veramente.
Però aveva bisogno di Mitch, questo lo sapeva. Lui era l'unica costante nella sua vita, nonostante sopportasse tutti i suoi capricci solo perché era ben pagato. Estraendo il cellulare dalla tasca digitò il suo numero.
Mitch Coletti sapeva che a chiamarlo era Tara ancor prima di aver guardato il display del cellulare, anche se non aveva idea di che cosa potesse volere da lui. Aveva tutto quello che desiderava, compresa una schiera di persone in perenne adorazione, pronte a soddisfare ogni suo capriccio. E pensare che lui aveva lasciato i servizi segreti per quel lavoro odioso.
«Sì?»
«Mitch?»
«Sì.» Chi altro si aspettava di sentir rispondere? Mitch si sforzò di non essere sarcastico, in fondo era quasi finita. Il giorno seguente avrebbe rassegnato le dimissioni. Sarebbe stato meglio aspettare di aver firmato il contratto con la Sifex, ma ormai non sopportava più quella situazione e quindi tanto valeva darci un taglio al più presto.
«Porta su le mie valigie, per favore.»
Qualcosa non quadrava. Tara aveva usato le buone maniere. «L'albergo ha alle sue dipendenze del personale addetto a svolgere questo compito.»
«Io non voglio una persona dell'albergo. Voglio te.»
Mitch si stropicciò gli occhi. Avevano viaggiato per undici ore e lui era appena riuscito a entrare nella sua stanza. Aveva bisogno di fare una doccia e di radersi. Aveva anche bisogno di dormire. Quello di cui non aveva bisogno era sentirsi dare ordini da Tara. «Le porterò su subito, Vostra Altezza.»
«Immediatamente, per favore. E voglio che sia tu a portarle e nessun altro» sentenziò lei in tono di sfida, strappandogli un sorriso.
Non appena la conversazione fu terminata, il sorriso morì sulle labbra di Mitch. Quella era la fatidica goccia che faceva traboccare il vaso. Infilando il telefono in tasca afferrò la tessera magnetica della sua stanza e uscì sbattendo la porta. Avrebbe dato le dimissioni quel giorno stesso. Non poteva più aspettare. Tara poteva trovarsi un altro lacchè e conferire anche a lui il falso titolo di guardia del corpo. Quella ragazza aveva bisogno di una babysitter. E pensare che all'inizio aveva creduto che in realtà fosse una persona dolce e graziosa che aveva dovuto crescere troppo in fretta, un burattino nelle mani dei genitori ambiziosi e di un'agente senza scrupoli. Certo, come no. Tara sapeva esattamente quello che faceva e ancora meglio quello che voleva.
Mitch entrò nell'ascensore e arrivò nella hall giusto in tempo per unirsi al lift che stava spingendo un carrello carico delle numerose valigie con le quali Tara si ostinava a viaggiare. Insieme al ragazzo salì nell'attico.
Per una frazione di secondo pensò di lasciare che fosse il lift a consegnare le valigie, così lui sarebbe potuto tornare nella sua stanza, ma l'idea di vedere la faccia di Tara quando gli avrebbe detto che si licenziava lo convinse a procedere. Non che le sarebbe dispiaciuto, però il contrattempo l'avrebbe sicuramente infastidita.
Mitch dovette bussare più volte prima che lei gli aprisse la porta. Nel vederla con i lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e con i jeans strappati che aveva indossato per il viaggio, il cuore prese a battergli più forte, come del resto succedeva sempre quando era con lei. Sei proprio uno stupido, si rimproverò.
Non appena vide che non era solo, il sorriso di Tara si trasformò in una smorfia di disappunto, il che significava che prima di aprire la porta non aveva guardato nello spioncino come lui le aveva ripetuto di fare fin troppe volte.
Tara era una giovane donna ostinata, sventata ed egocentrica, ciononostante Mitch non riusciva a smettere di pensare a lei. Presto però sarebbe finito tutto. La distanza avrebbe risolto ogni cosa. O magari sarebbe bastato anche un bel calcio nel fondoschiena.
Scuotendo la testa per scacciare quei pensieri, Mitch attirò l'attenzione di Tara, il cui sorriso lo colse di sorpresa. L'odioso trucco scuro e pesante che era solita portare era sparito. Con i grandi occhi verdi che brillavano e priva degli inseparabili tacchi a spillo, non dimostrava nemmeno vent'anni.
«Entrate» li invitò indietreggiando per lasciar passare il lift con le valigie. «Le dispiace portarle in camera?» aggiunse poi, rivolgendosi al giovane dipendente dell'albergo.
«Niente affatto» la rassicurò il ragazzo sorridendo malizioso. A quanto pareva la sua reputazione l'aveva preceduta anche lì.
A quel punto lo sguardo di Tara tornò su Mitch e per un attimo sembrò che volesse dirgli qualcosa, ma alla fine, passandosi la lingua sulle labbra, si voltò. «Dove avrò messo la borsa?» mormorò. «Deve essere qui da qualche parte.»
A Mitch non sfuggì il gesto nervoso di asciugarsi le mani sudate sui jeans. Non era da lei comportarsi in quel modo. Di solito era l'immagine stessa della sicurezza e della sfrontatezza. Notando appesa alla spalliera di una sedia la borsetta nera di pelle dalla quale non si separava mai, Mitch gliela consegnò. «Cerchi questa?»
«Grazie.» Tara prese la borsa con dita tremanti, sfiorando le sue.
Aveva bevuto? Era in crisi di astinenza? Che cosa diavolo c'era in quella borsa? Mitch aveva qualche sospetto, anche se non l'aveva mai vista drogarsi. Non l'avrebbe sopportato. Ma i ragazzi che frequentava erano un branco di falliti, che riuscivano a restare sobri solo per il tempo necessario a guadagnare il sacco di soldi che venivano loro dati per strimpellare su una chitarra e ululare in un microfono, quindi c'era da aspettarsi di tutto.
Sospirando, Tara rovesciò il contenuto della borsetta sul tavolo laccato. Un rossetto, gomme da masticare, mentine, una bottiglietta di quell'orrendo smalto nero che applicava alle unghie e alcune banconote. Strano, Mitch era convinto che non portasse mai del contante con sé. C'era sempre qualcuno che le dava il denaro di cui aveva bisogno.
Tara afferrò le banconote e ne tenne un paio da parte prima di rimettere tutto nella borsa. Indirizzando a Mitch un sorriso timido che lo innervosì stava per dire qualcosa quando fu interrotta dal lift.
«Signorina Sharp, ho sistemato le valigie nell'armadio. Vuole che le mandi su qualcuno per disfarle?»
«No, grazie.» Tara gli consegnò le banconote.
Il ragazzo scosse la testa, rifiutandosi di accettarle. «È già tutto compreso, signorina.»
«Le prenda» insistette lei, infilandogli le banconote nella mano riluttante. «Per favore.»
«Grazie, signorina Sharp» mormorò il ragazzo chinando la testa e poi guardando Mitch con aria confusa.
Anche lui era sorpreso. In fondo non la chiamavano Terrore Tara per niente. Mitch aspettò che il ragazzo fosse uscito prima di sentenziare: «Ti devo parlare».
«Davvero?» gli chiese lei sorridendo. «Vieni, siediti. Posso offrirti qualcosa? Una birra, dell'acqua minerale o... se vuoi possiamo chiamare il servizio in camera.»
«Tara.»
«Sì?»
«Non mi fermo. Sono venuto solo per...» Mitch esitò. Non riusciva a capire perché d'un tratto gli risultasse così difficile dirle che aveva deciso di andarsene. Forse perché lei sembrava diversa, meno sicura di sé.
«Per favore, resta almeno un po'.»
«Perché?»
«Perché?» ripeté lei mordicchiandosi il labbro inferiore.
«Te lo sto chiedendo io» disse Mitch.
Un lampo di irritazione balenò nei suoi occhi, poi Tara si lasciò sfuggire un sospiro e, afferrandolo per un braccio, lo trascinò sul divano insieme a lei.
«Non mi ero reso conto che fosse ancora orario di lavoro» borbottò lui notando quanto sembravano fragili le sue piccole mani mentre si posavano sul suo braccio.
Tara si scostò bruscamente da lui e il suo sguardo ferito colse Mitch di sorpresa.
«Va bene, va' pure» sibilò sforzandosi di nascondere la delusione.
Mitch l'aveva vista arrabbiata e irritata in molte occasioni, ma mai vulnerabile come in quel momento e la cosa non gli piaceva neanche un po'. Detestava sentirsi confuso. «In realtà volevo parlarti.»
«Anch'io.» Tara sollevò le gambe sul divano e incrociò le mani. «È da tanto che voglio parlarti di una cosa.»
«Va bene, ti ascolto.»
«Prima tu.»
Mitch non riusciva a immaginare di che cosa volesse discutere Tara. Loro due avevano sempre comunicato molto poco, specialmente dopo quella notte in cui l'alcol aveva ottenebrato il loro buonsenso. Soprattutto il suo, dal momento che non era sicuro che Tara lo possedesse.
Liberandosi dei residui dell'esitazione che l'aveva bloccato, Mitch dichiarò in tono brusco: «Me ne vado». L'espressione ferita e confusa di Tara per poco non lo indusse a recedere dal suo proposito, ma la lettera era già stata scritta ed era pronta per essere consegnata alla sua agente. «Domani consegnerò a Sandra la mia lettera di dimissioni, ma prima volevo dirtelo di persona.»