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Un regalo meraviglioso

di LAURA MARIE ALTOM

Quando il marito di Rachel viene creduto morto dopo settimane di inutili ricerche, lei scompare con il frutto del loro amore che le sta crescendo in grembo. Il migliore amico di suo marito Chance è determinato a rintracciarla e forse, dopo diciotto mesi, c'è riuscito. Ma Rachel sarà pronta a sentirsi dire che...?

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«Rachel!»
Ignorando il richiamo di Chance Mulgrave, il miglior amico di suo marito, Rachel Finch serrò le dita sul manico dell'ombrello, come se così potesse trovare un appiglio con la realtà che le impedisse di buttarsi giù dalla scogliera, sotto alla quale rumoreggiava un Pacifico in verità molto imbronciato.
La giornata era orribile, persino per gli standard della costa dell'Oregon. Il vento sferzava implacabile, trascinando con sé gocce di pioggia gelata. Un'atmosfera che si addiceva al suo stato d'animo. Solo dieci minuti prima era uscita dalla piccola cappella dove si era celebrato il servizio funebre in memoria di suo marito, del quale era stata dichiarata la morte presunta.
«Per favore, Rachel!» La voce di Chance fu quasi inghiottita dal rumoreggiare del mare.
Lei non poteva vederlo, gli dava le spalle, ma era certa che stesse arrancando per raggiungerla, trascinandosi con le sue stampelle.
«Tesoro...»
Chance le appoggiò una mano sulla spalla e lei istintivamente si irrigidì. «Non toccarmi, per favore!» mormorò divincolandosi.
«Va bene, come vuoi. Cercavo soltanto di...»
Rachel si voltò per guardarlo, troppo sfinita persino per piangere. «Sono incinta.»
«Cosa?»
«Wes non lo sapeva. È partito prima che avessi la possibilità di dirglielo.»
«Accidenti...» commentò bruscamente Chance, cercando riparo sotto l'ombrello di Rachel. «Mi dispiace. O forse ne sono contento. Insomma, non so proprio cosa dire.»
«Perché non c'è molto da dire a questo punto» precisò lei. «Wes non c'è più, io sto per dare alla luce suo figlio... Ma come potrò essere una buona madre, se sono così emotivamente prostrata?»
«Tu non devi preoccuparti di nulla» ribadì Chance con decisione. «Ci sono io. Io e Wes abbiamo fatto un patto: se fosse accaduta una disgrazia a uno di
noi due, avremmo provveduto alla famiglia dell'altro.»
«Tu non hai una famiglia...» sottolineò Rachel con amarezza.
«Non ancora.» Chance chinò la testa. «La cerimonia di poco prima sarebbe dovuta essere per me. Vedendoti così triste, ho desiderato che lo fosse.»
Anch'io...
Non aveva dato voce a quel pensiero, ma infine il suo risentimento era venuto prepotentemente in superficie, capì Rachel. Chance e suo marito avevano formato una squadra perfetta e ben coordinata, sempre pronti a spalleggiarsi. Poi lui si era offerto per aiutare uno dei loro colleghi, uno sceriffo, a traslocare in un nuovo appartamento e si era slogato una caviglia.
Se Chance avesse tenuto davvero al benessere di Wes come dichiarava, avrebbe fatto maggiore attenzione. Non avrebbe permesso che il suo caro amico partisse da solo per una missione molto rischiosa e che cadesse vittima di un folle: un poliziotto corrotto che era stato pericolosamente vicino all'eliminare anche un importante testimone oculare.
Le sue amiche avevano tentato di consolarla, ipotizzando che forse Wes non era morto davvero... Ma Rachel
sapeva. Per sei settimane avevano cercato il corpo di Wes. Dei cinque sceriffi partiti da ogni punto del paese per la missione, solo due avevano fatto ritorno vivi.
Altri due erano stati rinvenuti morti, entrambi uccisi da un colpo di arma da fuoco alla tempia. Non era necessaria una sfera di cristallo per capire che la stessa sorte era toccata anche al suo adorato marito.
«Lascia che ti accompagni a casa.» Nonostante le stampelle, Chance le afferrò un braccio e tentò di allontanarla dalla scogliera per condurla verso il parcheggio e verso la deliziosa, piccola chiesetta dove Rachel e Wes si erano sposati meno di un anno prima. «Sei fradicia» notò. «Restare sotto il diluvio non gioverà né a te né al bambino.»
«Sto bene» replicò Rachel divincolandosi dalla sua presa. E aveva bisogno di riacquistare un po' di controllo, dopo essersi lasciata andare alla disperazione nella chiesa piena di conoscenti e colleghi di Wes. «Per favore, vai via. Posso gestire da sola la situazione.»
«Rachel, è proprio questo il punto...» provò ancora Chance, mentre la seguiva zoppicando lungo l'impervio sentiero che costeggiava la scogliera.
Ogni passo le infliggeva una fitta al
cuore. Perché lei era viva e invece Wes era morto? si chiese Rachel affranta. Wes, suo marito, il padre di suo figlio. E adesso, che cosa avrebbe fatto? Come poteva crescere un bambino senza il suo aiuto?
«...non sei sola. Ci sono io! Ci sarò sempre, per te.»
Proprio non aveva più la forza per sopportare. Rachel si fermò bruscamente, gettò l'ombrello in mare, offrì il viso alla furia del vento e urlò.
Le lacrime ripresero a rigarle le gote, calde e amare, mescolate alle gocce di pioggia. Poi, all'improvviso, Chance fu di fronte a lei per accoglierla fra le sue braccia, sostenendola con il suo calore e la sua forza, le stampelle che le penzolavano lungo i fianchi quasi a voler costituire una barriera contro il dolore.
«Ecco, sì...» le sussurrò all'orecchio. «Piangi, sfogati. Io sono qui. Sono qui, vicino a te.»
Rachel fece esattamente ciò che lui le aveva detto. Pianse. Poi, però, poiché era sempre stata una persona molto riservata e poco incline alle manifestazioni clamorose, si costrinse a calmarsi. Strano, ma anche il vento e la pioggia si attenuarono in un lieve brusio e in una carezza quasi gentile.
«Grazie» mormorò infine, esausta.
«Non sai quanto apprezzi la tua disponibilità, ma...»
«Io ti aiuterò, se me lo permetterai» la interruppe Chance. «Non lo faccio solo per te. Sto soffrendo anch'io.»
«Lo so.» Rachel si guardò le mani, aggrappate al bavero dell'impermeabile color biscotto che indossava Chance. «Ma io... non so come spiegarlo. Devo affrontare la situazione da sola. Ero sola prima di conoscere Wes, e adesso lo sono di nuovo.»
«No, non è così. Ma mi ascolti quando parlo? Ci sono io per te.»
«No.» Rachel si staccò da lui e si incamminò verso la sua auto. «Grazie, ma decisamente no.»

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