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Vicini di casa, vicini di cuore

di CAROL MARINELLI

Celeste: Il mio nuovo vicino di casa è davvero affascinante e oltretutto lavoriamo nello stesso posto. Ma adesso ho altro a cui pensare, devo assolutamente concentrarmi sulla mia vita. Forse Ben può rivelarsi un piacevole diversivo.
Ben: Un altro anno, un nuovo inizio, quello che mi ci vuole per dimenticare. Allora perché mi sento così nervoso? Forse sono solo agitato per il mio primo giorno di lavoro. E poi, ci mancava pure la strana attrazione che provo per Celeste. Possibile che uno come me abbia voglia di una relazione stabile?

13

«Che cosa ti sta succedendo, Belinda?» Ben aveva at­teso fino alle cinque del pomeriggio del lunedì per riu­scire a parlarle. Era tutto il giorno che lei lo evitava accuratamente e ora, pensando che fosse an­dato a ca­sa, era uscita allo scoperto, ma Ben l'aveva in­ter­cet­ta­ta.

    «Niente.»

    «Devo sapere perché venerdì sera non rispondevi al cercapersone.»

    «Mi spiace molto, ma stavo davvero malissimo.»

    «Belinda, io ti ho coperta, ma tu non mi devi im­brogliare, mi devi una spiegazione, e che sia valida.»

    «Ho scoperto che è ancora sposato.» Il viso le si contrasse in una smorfia mentre raccontava. «L'ho scoperto sabato sera, sai quel politraumatizzato...»

    Ben si accigliò. «Ebbene?»

    «Si trattava di suo figlio.»

    «Oh, Belinda!»

    «Ho fatto il suo numero e mi ha risposto la moglie. Sai, avevo riconosciuto il cognome... e poi lei lo ha chiamato al telefono.» Faceva fatica a parlare senza scoppiare in lacrime. «Semplicemente non sono riu­scita a restare in reparto e vederli arrivare, dover par­lare con loro, con lei. Tu penserai che a questo punto dovrei anche esserci abituata, ma non è così. In realtà non ti abitui mai.»

    «Abituarsi a cosa?»

    «A essere lasciata.» Ben stentava a riconoscere nel­la persona con cui stava parlando la donna estroversa e sicura di sé che aveva conosciuto. «Sono così im­ba­razzata.»

    «E perché mai?» le chiese sconcertato.

    «Mi sento una vera sciocca. Sapevo che era molto impegnato, e d'altronde lui mi ha sempre dato delle giustificazioni plausibili. Io avevo qualche sospetto, ma credo di aver inventato milioni di scuse per giu­sti­ficare davanti a me stessa il fatto che avesse così poco tempo da dedicarmi. Mi dicevo che sicuramente era via per lavoro o che doveva stare con i figli....»

    «Non è colpa tua» la consolò Ben pensando che non era stata nemmeno colpa di Celeste. Se la bril­lan­te e navigata Belinda era stata presa in giro, che pos­si­bilità aveva l'inesperta Celeste di non cadere nella rete di un misero imbroglione? «In fondo stavi solo cer­cando un po' di felicità.»

    «Come alla fine facciamo un po' tutti, solo che nel farlo rischiamo di ferire molte persone.» Bevve un sorso di caffè. «Mi sento una tale sciocca» ripeté di­sperata.

    «Secondo me è lui lo sciocco» la consolò Ben.

    «Da parte mia non la vedo così.» Gli fece un mesto sorriso. «Comunque mi leccherò le ferite e poi mi ri­metterò in piedi, vedrai.»

    «Ne sono certo.»

    «Ma so già che ci ricadrò, e anche abbastanza pre­sto.»

    Ben capì che non avrebbe mai compreso certe per­sone. Come poteva una donna che era stata ingannata in modo così spregevole pensare di tornare di nuovo su internet a cercare l'anima gemella, già sapendo che molto facilmente le avrebbero di nuovo spezzato il cuore? Perché?

    Lentamente incominciò a capirne il motivo. In re­al­tà era lui il pazzo, comprese, mentre tornava a casa quella sera. Il mondo era pieno di gente che in­se­guiva la felicità cercando di non rimanere sola e lui non una, ma ben due volte aveva perso un'occasione d'oro so­la­mente perché aveva troppa paura di soffrire di nuovo. Aveva rifiutato Celeste perché aveva paura di con­ti­nuare a vivere.

    Aveva creato intorno a sé un mondo che gli desse garanzie incondizionate, ma siccome ciò non era pos­sibile, si era estraniato dal pianeta. Aveva fatto qual­che debole tentativo di continuare a vivere, ma solo secondo le sue regole. Aveva fatto semplicemente ses­so invece di avere il coraggio di affrontare una re­la­zione vera, e quanto meno era coinvolto, tanto meglio, perché in quel modo non avrebbe sofferto. E per carità che non ci fossero implicati bambini, perché anche lo­ro avrebbero potuto farlo soffrire. Si sentiva al sicuro solo vivendo in uno stato di isolamento e così adesso aveva perso anche lei.

    Restò bloccato sulla strada di accesso di casa sua perché un camioncino dei traslochi era lì, fermo. Do­veva trattarsi del trasloco di Celeste, che era nel­l'ap­partamento a organizzare il trasferimento dei suoi mo­bili a casa dei genitori. In quel preciso istante, capì che se fosse an­data a vivere dai suoi l'avrebbe persa per sempre e che questa era davvero la sua ultima oc­casione. Fece un profondo sospiro e si diresse verso la porta.

    «Non è un buon momento, Ben.»

    Sentì Willow piangere mentre lei si avvicinava alla porta.

    «Devo parlarti.»

    «E io devo nutrire mia figlia!» Era ferma sulla so­glia con la faccia irritata. «Entra, a meno che non ti di­sgusti troppo stare nella stessa stanza con lei.»

    Willow urlava sempre più forte mentre entravano nel minuscolo appartamento. Tutto quello che c'era di superfluo era sparito: i fiori, la culla, i tappeti, l'asse da stiro. Restavano solo i mobili in dotazione del mo­nolocale e anche la cucina, a parte il bollitore, una ca­raffa e uno scalda biberon, era vuota.

    «Arriva il biberon, Willow, sta arrivando...» le mor­morava cercando di calmarla, «mi hanno già portato via il microonde» gli spiegò provando sul polso la temperatura del latte e rimettendolo nell'acqua fresca, «comunque ho deciso di anticipare il mio tra­sfe­ri­men­to, e appena Willow avrà mangiato me ne andrò. Non ho nessun motivo per restare qui.»

    «Non andartene, Celeste.»

    «Ma cosa diavolo vuoi da me, Ben?»

    «Io voglio te.»

    «Scusa, ma sono già impegnata.» Celeste dovette alzare la voce per sovrastare le urla della piccola. «E non farei cambio per nulla al mondo.»

    «Ma io non ti voglio senza la bambina» la implorò lui.

    «Io non la lascerò mai, Ben, non possiamo fare fin­ta che non esista per dormire insieme qualche sera la settimana.»

    «Ma io voglio anche Willow...» Celeste im­ma­gi­na­va lo sgomento che c'era dietro quell'ammissione, ma lo rifiutò con sdegno.

    «Questo significa che la tollererai pur di avere sua madre?»

    «No, io voglio anche lei.»

    «Lascia perdere, Ben! Come puoi pensare che ti creda?»

    «Jen era incinta quando è morta.» Il dolore puro che aveva trasformato il suo viso meritava rispetto. Il suo dolore era così profondo che si poteva sen­tire e toccare e persino Willow tacque. «Era allo stes­so me­se in cui eri tu quando Willow è nata.»

    «Avresti dovuto dirmelo» mormorò Celeste scioc­cata.

    «E come?» Ben scosse la testa. «Non è un ar­go­mento di cui si possa parlare con serenità, specie con una donna incinta, ti saresti solo spaventata.»

    «Hai ragione» ammise Celeste, «ero già abbastanza agitata per conto mio.»

    «Volevo dirtelo dopo che Willow è nata, ma... io ho perso la mia bambina, Celeste, e non potevo farti pen­sare che anche tu potessi perdere la tua.»

    «Com'è successo?»

    «Un'emorragia subaracnoidale, semplicemente que­sto.» Batté le mani di colpo facendola sobbalzare, ma rendeva bene l'idea. L'aveva imparato all'università. «Si manifesta con un mal di testa improvviso, for­tis­si­mo. Sono arrivato a casa e l'ho trovata... anzi» si cor­resse, «le ho trovate. Per Jen non c'era più niente da fare, ma se fossi arrivato prima magari la piccola si sa­rebbe salvata. L'abbiamo seppellita con la sua mamma e io non l'ho mai nemmeno presa in braccio e non l'ho mai davvero pianta. Per la verità non so nemmeno co­me incominciare.»

    «L'hai appena fatto.»

    Lui annuì, chiuse gli occhi e rivisse quelle im­ma­gi­ni che avevano distrutto per sempre la sua vita.

    «Raccontami» mormorò lei.

    «Non ci riesco. Non volevo amarti, Celeste e invece ti amo e non volevo amare nemmeno Willow, ma so che amerò anche lei. Ho troppa paura di perderti.»

    «Mi hai già persa.» Celeste era ancora arrabbiata. «Se non vuoi innamorarti per timore che possa ca­pi­ta­re qualcosa, allora è meglio che ci lasci perdere.»

    «Ma ora sono qui.»

    «Metà di te è qui, l'altra metà è nascosta in un luogo inaccessibile. Credo che io e Willow meritiamo qual­cosa di più.»

    «Ti prometto che ti darò molto di più.»

    «Quando?»

    «Che cosa mi stai chiedendo, Celeste?»

    «Il tuo amore» rispose mentre il suo cuore andava in pezzi, ma questa volta era ben determinata a essere molto, molto forte.

    «L'ho appena fatto. Ti ho detto che ti amo.»

    «No, Ben.»

    «E amerò Willow.»

    «No» ripeté lei convinta.

    «Allora non riesco proprio a capire cosa vuoi!» Ora era Ben a essere arrabbiato, non era mai stato così sin­cero, così aperto da quando era morta Jen. «Vuoi che dica che voglio bene a Willow?»

    «Chiunque potrebbe dirlo.»

    «Devo prenderla in braccio e darle il latte?»

    «Me la cavo benissimo da sola.»

    «E allora cosa?» Ben non capiva cosa volesse da lui, quale altra prova dovesse superare.

    «Voglio che tu ti consenta di amarla. E quando lo farai ci troverai qui ad aspettarti.»

    «Non ti capisco, Celeste.»

    «Sono io che non capisco te.» Prese in braccio sua figlia, dandole il latte in silenzio mentre lui era in pie­di appoggiato allo stipite della porta e le osservava.

    «Non puoi pretendere che l'amore sbocci al­l'im­provviso.»

    «Invece posso» replicò lei, «già il suo padre na­tu­ra­le l'ha rinnegata, non ha bisogno di averne intorno un altro in attesa di vederla crescere per amarla.»

    «Sei una ragazza impossibile!» brontolò lui.

    «Invece sono molto semplice e schietta. Su, Willow, saluta Ben.» Si alzò in piedi e le sollevò una ma­nina facendole fare il gesto del saluto. «Vedremo quando si sentirà pronto.» Rimise la bimba nella culla e le rimboccò le copertine. «Ora, se mi vuoi scusare, devo finire di imballare la mia roba.»

    «Quindi ti trasferisci?»

    «Sì.»

    Le si avvicinò e la guardò negli occhi. «Ma tutto quello che ti ho detto non è ancora abbastanza per te?»

    «No.»

    «Non ti capisco proprio, Celeste» mormorò dandole un bacio sulla guancia tirata, «allora vado.»

    «Vai pure.»

    «Non capirò mai tua madre» disse Ben rivolto a Willow. Le accarezzò una guancia e ancora una volta la bimba lo guardò dritto negli occhi nello stesso mo­do in cui l'aveva guardato il giorno in cui era nata. Di nuovo Ben distolse lo sguardo, ma questa volta riaprì gli occhi e lei era ancora lì che gli sorrideva, in pa­ziente attesa che lui le volesse bene.

    «È nata soltanto grazie a te, Ben» mormorò dol­ce­mente Celeste guardando sua figlia, «perché se tu non fossi stato lì in quel momento adesso Willow non e­si­sterebbe.»

    Aveva ragione e qualcosa dentro di lui im­prov­vi­sa­mente si mosse. Guardò quella creatura e ricordò tutte le aspettative, la speranza e l'amore che aveva provato quattro anni prima.

    «È vero, non sarebbe mai sopravvissuta» ripeté sfiorando la guancia di Willow, morbida e chiara co­me il petalo di una margherita, e sentì il dolore per la perdita subita dilaniarlo. Gli venne un desiderio im­provviso di correre, solo che non c'era una spiaggia abbastanza lunga, né un universo abbastanza grande per poter contenere tutto il suo dolore. «Non ho ne­an­che un certificato di nascita e non avevamo ancora scelto il nome e io non me la sono sentita di dargliene uno senza Jen.» Non era mai riuscito a separare la ma­dre dalla figlia, aveva sofferto per Jen e per la loro bimba, ma non aveva mai sofferto per ciascuna di loro separatamente. «In fondo non è mai nemmeno nata.»

    «Eppure c'era già» mormorò Celeste ab­brac­cian­do­lo, «e in qualche modo esiste ancora, se non altro nei tuoi pensieri.»

    «Margherita» sussurrò Ben.

    Accarezzando la guancia di Willow finalmente die­de un nome alla bimba che avrebbe dovuto avere. Lei gli stringeva un dito con la manina paffuta e mentre la prendeva in braccio gli sembrò di prendere la sua Daisy, di stringerla forte per poi lasciarla riposare in pace con la sua mamma. «Ti voglio bene, piccolina» mormorò, e questa volta lo disse non solo con le pa­ro­le ma con tutto il cuore. La teneva stretta, ma non era solo un gesto fisico perché alla fine aveva permesso al suo cuore di amarla, di credere ancora nella speranza, «e amo anche la tua mamma.»

    «Questo la sua mamma lo sa già» disse la voce di Celeste.

    «Non andare dai tuoi genitori» la pregò sempre con Willow in braccio, «venite a casa con me.»

    Aveva detto giusto. Casa. Anche se non ci aveva mai abitato Celeste la percepiva già come la sua casa.

    «Se non altro è tutto pronto per traslocare» osservò in tono pratico. Rideva e piangeva nello stesso tempo, ma soprattutto era molto, molto felice. «È meglio che telefoni a mia madre, prima che venga a prendermi.»

    «Che cosa dirà?»

    «Probabilmente si sentirà sollevata» sorrise Celeste, «non sono la persona più facile del mondo con cui convivere, te ne accorgerai anche tu.»

    «Non vedo l'ora di scoprirlo» mormorò Ben che era ansioso di uscire da quell'appartamento squallido e vuoto. La culla, il bagnetto e la macchina potevano a­spettare. Si avviarono a piedi anche questa volta spin­gendo la carrozzina, ma ora erano una fa­mi­glia. Willow dormì abbastanza a lungo da permettere loro di baciarsi, piangere anche un po' e quando Ce­le­ste si ad­dormentò tra le sue braccia Ben la tenne stret­ta sen­ten­do sotto le sue mani quella pelle morbida co­me la se­ta. Poi sentì Willow che cominciava ad a­gi­tar­si e fi­nalmente capì che quello che volevano non era una vi­ta tranquilla, ma la pace. Una pace che non ve­niva sminuita dal pianto di Willow, che non era tur­ba­ta dal­le chiacchiere di Celeste che si affannava a pre­parare il biberon e gli passava un fagottino urlante mentre si preparava a esplorare la nuova vasca i­dro­massaggio che Ben aveva fatto installare nel bagno.

    Willow, finalmente nutrita, cambiata e soddisfatta fu rimessa nella carrozzina da Ben e si addormentò beatamente.

    Pace, pace perfetta. Celeste, immersa nella vasca immensa, arricciò gli alluci finalmente convinta che lui le amasse tutte e due. Guardò il panorama davanti a lei e pensò allo splendido futuro che li attendeva.

    «Ti prego, sposami!» gridò nella stanza vuota.

    «Stavo proprio per proporti la stessa cosa» rispose Ben che era nel vano della porta e sorrideva. «Po­trem­mo sposarci sulla spiaggia, nel punto esatto in cui ci siamo conosciuti.»

    «Devo prenderlo per un sì?»

    «È un sì.» Ben guardò la spiaggia lontana e gli sem­brava già di assistere alla scena del loro matrimonio. Con Celeste che teneva in braccio Willow, il ce­le­bran­te, i genitori, i parenti e gli amici e gli sembrò quasi di scorgere Jen che teneva in braccio Daisy e finalmente sorrideva. Sembrava quasi una benedizione, quella be­nedizione che lui aveva atteso così a lungo, e fi­nal­mente poté pensare a loro col sorriso sulle labbra.

    «Be'... se proprio insisti!» rise Celeste.

    Perso nei suoi pensieri sulle prime Ben non capì. «Scusa?»

    «Credo che non ci sia molto da parlarne» disse lei con un sospiro da vittima, «oppure potresti sempre saltare nell'acqua e rapirmi.»

    Ben era strabiliato: era difficile trovare due donne così diverse, eppure lui le amava tutte e due.

    Si avvicinò alla vasca e gli parve di sentire la risata cristallina di Jen e la sua voce che gli diceva di an­da­re, di vivere tutte le opportunità che la vita gli offriva.

           Si tolse le scarpe ed entrò nell'acqua anche lui.

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