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Solo un bacio

di JESSICA HART

Quando Caroline Taylor racconta alle amiche di aver appena visto l’uomo che sposerà, lanciano una scommessa: dovrà fare in modo che quel meraviglioso papà single le dia almeno un bacio.

Talvolta però, il destino ha bisogno di una piccola spinta. Carol pensa che il miglior modo per attirare l’attenzione di Anthony Gilchrist sia di parlare dei loro figli. Peccato che lei non ne abbia! La soluzione: prendere in prestito suo nipote per un pomeriggio al parco, lo stesso parco in cui Anthony porta suo figlio…

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Eccolo lì. L’uomo che avrebbe sposato.

Magari.

Caroline si fermò all’ingresso del parco giochi, stentava a credere che Anthony - era sul serio quello il suo nome? - fosse esattamente dove l’aveva visto il giorno prima.

Ieri era alle altalene, oggi aiutava suo figlio a salire le scalette dello scivolo; a parte quello, però, era lì, come il giorno prima. Stessa giacca, stesso bambino, stessa bellezza virile, dai tratti decisi. Stesso fisico da urlo.

E stesso sorriso, che le faceva tremare le gambe.

“Bene, cosa stai aspettando?” le chiese Kate, che era venuta insieme a Bella per vedere se Carol avesse intenzione di andare fino in fondo alla scommessa.

“Hai detto che tutto ciò che ti serviva era un bambino per poter facilmente attaccare bottone con lui,” Bella ricordò a Carol la sua fiduciosa affermazione del giorno prima. “È un papà single, hai detto, e che i parchi sono il classico luogo d’incontro per persone che hanno figli e sarebbe stato un gioco da ragazzi se solo ne avessi avuto l’occasione.”

“È vero,” ammise Carol. “A quanto pare, si creano forti legami quando si condividono le esperienze dei propri figli. L’altro giorno, in redazione si parlava proprio di scrivere un articolo su questo argomento per Glitz. “I dieci migliori posti in cui trovare un uomo…” o qualcosa del genere. La giornalista sosteneva che andare al parco con un bambino era come portare a spasso il cane: hai qualcosa in comune con un’altra persona fin dall’inizio.”

“Ho sentito anch’io questa storia dei cani,” esclamò Kate tristemente. “Non ha mai funzionato per me. Ho solo incontrato vecchi signori con i loro jack russell!”

Bella fece un gesto spazientito verso Kate. “Be’, ora hai il tuo bambino,” disse rivolta a Carol, indicandole il passeggino. “Tua sorella non si è preoccupata dell’improvviso desiderio di portare Jake a passeggio oggi pomeriggio?”

“Stai scherzando? Ci ha praticamente buttati fuori di casa quando mi sono offerta di portare in giro mio nipote per un paio d’ore e di lasciarla finalmente a occuparsi solo di se stessa!” Carol si lisciò la gonna. “Non sembro una vera mammina?”

Bella guardò l’amica. C’era qualcosa di speciale in Caroline, forse il viso luminoso incorniciato dai lucidi capelli castani e gli occhi scuri e brillanti. Nello spudorato tentativo di attrarre l’attenzione di Anthony, aveva indossato una gonna rossa, che le lasciava scoperte le gambe, e delle favolose scarpe a punta con i tacchi a rocchetto con un irresistibile fiocco sulla punta.

“Non con quelle scarpe,” le rispose, schietta.

Carol si incupì per un attimo, ma scrollò le spalle e strinse saldamente il passeggino. “Be’, è troppo tardi per cambiarle, adesso. Punto. Sono pronta ad andare incontro al mio destino.” Girò sui tacci, e con un sorriso sfrontato sulle labbra entrò nel parco giochi. “E a vincere la scommessa!”

Spinse Jake verso le altalene, sperando che sembrasse un gesto naturale, mantenendo lo sguardo fisso su Anthony e suo figlio.

Tom. Phoebe le aveva detto che il figlio di Anthony si chiamava Tom. Phoebe era stata mandata nel parco giochi il giorno prima, subito dopo la scommessa, per controllare se l’uomo dei sogni di Caroline portasse o no la fede.

“Nessun anello,” aveva riferito Phoebe, quando era tornata. “E si chiama Anthony.”

“Anthony?” le aveva fatto eco Caroline, delusa. Con quel suo aspetto un po’ selvaggio, i capelli scompigliati e quel sorriso che avrebbe mandato in visibilio qualsiasi donna, doveva per forza avere un nome quasi eroico. Max, forse. Jack. Nick. Un nome duro, mascolino. Com’era possibile che si chiamasse Anthony? “Sei sicura?”

“Be’, così l’ha chiamato il figlio,” le aveva risposto Phebe. “È chiaramente uno di quei padri alla moda a cui non piace essere chiamati Papà o Papino. Un ragazzino davvero dolce, devo dire. Si chiama Tom. Gli somiglia molto. Non c’è dubbio che siano padre e figlio.”

No, non c’era dubbio. Carol se ne rendeva conto anche lei, ora che poteva guardarlo da vicino. Tom era la versione in miniatura di suo padre. Poteva avere all’incirca tre anni, benché lei non fosse esperta di bambini, e stava cercando coraggiosamente di salire da solo sullo scivolo, mentre Anthony - come poteva un uomo così meraviglioso avere un nome così insipido? - non smetteva di tenerlo d’occhio.

Di certo era un bene che lui fosse un padre così amorevole, me se era così intento a badare al figlio come poteva notale lei?

Per fortuna, non passò molto tempo prima che Tom fosse pronto a scendere lungo lo scivolo di legno e Anthony si sedesse sulla panchina lì accanto. Carol colse l’opportunità al volo. Si spostò verso la panchina, spingendo ad arte il passeggino, prima che a qualcun altro venisse la stessa idea. Rovistò nella borsa, che sua sorella aveva attaccato dietro al passeggino, per cercare il biberon di Jake.

“Le dispiace se mi siedo qui?” chiese ad Anthony con nonchalance, come se l’avesse notato appena, seduto lì sulla panchina.

Lui alzò per un attimo lo sguardo verso di lei. Caroline era senza parole per il blu intenso dei suoi occhi. Il blu profondo dell’oceano in contrasto con i capelli neri. Oh, splendido!

“Nient’affatto,” le rispose, gentile.

E che voce! Profonda, piena, con una leggera sfumatura celtica o forse scozzese? Magari irlandese? A maggior ragione avrebbe dovuto avere un nome impronunciabile con tante b e h e con l’accento in posti assurdi. Forse Phoebe si era sbagliata: lui non si chiamava Anthony, si augurò fiduciosa.

Lo studiò con la coda dell’occhio e fece bere Jake. Anthony era seduto accanto a lei, con la giacca poggiata sulle spalle nonostante il vento freddo. Le lunghe gambe stese in avanti.

Da vicino, era quasi più bello di come le era sembrato osservandolo da una certa distanza. Aveva un’aria ironica e intelligente e molte rughe d’espressione attorno agli occhi. Carol ne andava matta, da sempre.

Un viso da uomo vissuto, decise con aria di approvazione. Aveva folte sopracciglia, un naso importante, e un velo di barba incolta sulle mascelle pronunciate che, insieme a quei magnifici occhi blu, gli davano un’aria piratesca… Carol si morse le labbra per non sospirare. Era l’uomo fatto apposta per lei!

“Scommetto tutto ciò che volete che riuscirò a farmi dare un appuntamento,” aveva detto convinta alle sue tre coinquiline, mentre lo divorava con gli occhi. Lui era dall’altro lato della staccionata del parco.

Tuttavia un appuntamento non era abbastanza per Phoebe, Kate e Bella, se Caroline voleva dimostrare loro che ci sapeva fare. Così avevano deciso che lui avrebbe dovuto anche baciarla.

“E non un semplice bacio sulla guancia!” l’aveva avvertita Kate. “Ma un bacio vero, come si deve.”

Ridendo, Carol aveva accettato la scommessa. Era partito tutto quasi per scherzo. Avevano fatto altre ipotesi sulla posta in gioco, ma poi avevano stabilito che la penitenza, se lei non fosse riuscita né a farsi dare un appuntamento né a farsi baciare, sarebbe stata di pulire la cucina per un mese intero. Quale miglior incentivo per vincere la scommessa?

E adesso eccola qui, seduta a pochi centimetri da lui, così forte, così reale e così maledettamente attraente che il solo pensiero di essere baciata da lui le toglieva il fiato.

Solo un bacio… tutto qui.

Sarebbe stata in grado di riuscirci?

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