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Solo un bacio

di JESSICA HART

Quando Caroline Taylor racconta alle amiche di aver appena visto l’uomo che sposerà, lanciano una scommessa: dovrà fare in modo che quel meraviglioso papà single le dia almeno un bacio.

Talvolta però, il destino ha bisogno di una piccola spinta. Carol pensa che il miglior modo per attirare l’attenzione di Anthony Gilchrist sia di parlare dei loro figli. Peccato che lei non ne abbia! La soluzione: prendere in prestito suo nipote per un pomeriggio al parco, lo stesso parco in cui Anthony porta suo figlio…

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Anthony aveva permesso al figlio di soffiarsi il naso con il tovagliolo su cui lei gli aveva scritto la sua mail! Per un attimo fu tentata dall’idea di mostrarsi offesa, ma poi lasciò perdere e scoppiò in una fragorosa risata.

“Sai, ho sempre avuto il terribile sospetto che questo sia ciò che di solito fanno gli uomini con il mio numero di telefono o con la mia mail,” esclamò in tono allegro e più confidenziale. “Tu però sei il primo che lo ammette senza pudore!”

Anthony era chiaramente sollevato dalla reazione di lei. “Mi sono accorto troppo tardi di aver utilizzato il tovagliolo come fazzoletto per il naso!” si scusò. “Tra l’altro abbiamo avuto problemi con i computer, così ho pensato che il mezzo più facile per contattarti fosse chiamare in redazione e chiedere della redattrice di moda.”

Grazie a Dio le telefonate alla redazione di moda arrivavano a lei! Carol lanciò un’occhiata attraverso il vetro, dove si trovava l’ufficio di Martha, la sua capa, ora impegnata anche lei in una conversazione al telefono. Era una donna fantastica, con lei si lavorava benissimo. Tuttavia, pensò Carol, non sarebbe stata molto contenta di sapere che qualcun'altra si spacciava per lei.

“So che sei molto impegnata,” continuò Anthony. “Ma mi stavo chiedendo se ti andrebbe di prendere qualcosa al bar, oppure… magari se sei libera per una cena una di queste sere…”

“A cena…?” Carol alzò un pugno in segno di vittoria. “Va bene. Fammi dare un attimo un’occhiata alla mia agenda…”

Sfogliò le pagine in modo tale che lui ne sentisse il fruscio attraverso il telefono e dopo una serie di “Mmm” e “Ah-ah” - come se cercasse un buco tra i suoi mille impegni - esclamò: “Che ne dici di venerdì sera?”

Jo alzò gli occhi al cielo quando Carol, con un sorriso raggiante, abbassò il ricevitore. “Libera il venerdì sera? Ti sei tradita!”

“Sono una madre single, ricordi?” le fece notare Carol. “Non dovrei frequentare club e ristornati glamour tutte le sere!”

“Be’, se ti viene a prendere, faresti meglio a far sembrare che in casa ci abiti davvero un bambino e non quattro tristi zitelle che non frequentano club e ristornati glamour tutte le sere!”

“Oh Dio! Hai ragione… dovrei farmi prestare qualcosa.”

Quel venerdì sera la cucina era completamente trasformata. “Che ne pensi?” chiese Carol, ansiosa, mentre sistemava uno sgabello accanto al grande tavolo di pino.

“Se devo essere sincera, mi sembra tutto troppo pulito,” sentenziò Bella, guardandosi attorno con aria scettica.

L’orsacchiotto di pezza di Carolera posato sul divano, una tazza di plastica e una scodella con i coniglietti lungo il bordo era stata lasciata ad arte sul lavello e un vasto assortimento di giocattoli era ammassato in un angolo della stanza. Una serie di disegni di Jake decoravano il frigorifero. Come tocco finale, Kate aveva persino comprato un pacco di pannolini da mettere in bella mostra su una sedia.

“Penserà che sei una madre repressiva.”

“Sul serio?” Carol si morse il pollice, come di solito faceva quando era nervosa, una brutta abitudine. “Non voglio che si faccia idea sbagliate su di me.”

“No, figurati,” convenne Phoebe con una smorfia. “Idee sbagliate tipo quella che tu sia la redattrice di moda di Glitz quando invece non lo sei affatto; oppure che tu abbia un bambino quando invece non ce l’hai…”

“Che tu abbia avuto una storia d’amore con un divo del cinema quando non l’hai avuta,” aggiunse Bella. “Non mi capacito proprio che se la sia bevuta!”

“Infatti! E che ne dite del fatto che io sarei la tata di Jake?” borbottò Kate. “Non capisco perché questo ruolo tu lo abbia dato proprio a me!”

Le diedero un bicchiere di vodka per farla rilassare. Tuttavia Carol aveva ancora in nervi a fior di pelle e stava già pensando di fuggire via dall’Inghilterra quando suonò il citofono. Fece un balzo tale da rovesciarsi la vodka sul vestito.

“Vado io e lo faccio accomodare,” si offrì Phoebe, mentre Bella le asciugava l’abito.

Carol sentì la voce roca di Anthony e i suoi passi evitare il passeggino all’ingresso, percorrere il corridoio e arrivare finalmente davanti a lei, riempiendo la cucina con la sua presenza.

“Ciao.” Con grande imbarazzo di Carol, quel saluto era uscito dalla sua gola come lo squittio di un topo. Si era quasi dimenticata di quanto lui fosse attraente. Il solo ritrovarselo difronte la faceva sentire vulnerabile. Anthony era così alto, così massiccio, e così sicuro di sé.

Lui si guardò attorno con interesse. Sembrava perfettamente a suo agio nonostante gli sguardi delle coinquiline di Carol fossero puntati su di lui e la stessa Caroline sembrava incapace di fare null’altro che rimanere immobile e guardarlo fisso.

“È molto carino, qui!” esclamò. “Come fai a tenere tutto così in ordine? La casa di Susan è un disastro totale.”

Questo molto-poco-gentile riferimento alla sua ex se lo poteva risparmiare, pensò Carol che però sembrò riaversi dallo stato catatonico in cui era piombata: “Se non ci fosse la tata di Jake, non saprei davvero come fare!” disse, rivolgendo uno sguardo condiscendente su Kate. “Lei è meravigliosa!”

Ignorando gli sguardi divertiti di Bella e Phoebe, Kate abbassò gli occhi e sorrise modesta. “Vado a dare un’occhiata a Jake,” annunciò e uscì dalla stanza, per poi rientrarne in punta di piedi, qualche minuto dopo. “Si è addormentato,” riferì seria a Carol. “Non si preoccupi, lo terrò d’occhio io, signora!”

“Ehm… giusto… grazie,” disse Caroline, quasi spaventata dallo zelo che Kate mostrava per il suo ruolo di tata devota. Avrebbe potuto indossare la divisa con la cuffietta e riferirsi a Jake come al “signorino Jake” da un momento all’altro. “Andiamo?” chiese infine, rivolgendosi ad Anthony.

Le cose cominciarono ad andare meglio quando uscirono, allontanandosi dalle coinquiline iperattive. Anthony la portò da Brewer, uno dei ristoranti più in voga della città. Era il genere di locale che Carol di solito osservava dalla strada, con il naso schiacciato alla vetrina.

Il suo umore risalì rapidamente. Perché mai avrebbe dovuto essere nervosa? Era in un ristorante fantastico con uno degli uomini più meravigliosi che avesse mai incontrato, e che ora sedeva di fronte a lei, con le labbra dischiuse in un sorrisetto sornione e guardandola con i suoi occhi blu. Era un’impressione o c’era nell’aria qualcosa di magico tra di loro?

Con Anthony si poteva parlare di tutto, in libertà. Dopo aver ordinato da un menù che avrebbe fatto venire l’acquolina in bocca a chiunque, lui le cominciò a parlarle dell’appartamento che aveva ricavato dalla soffitta di un deposito, e della casa che un giorno avrebbe voluto costruire a partire dalle fondamenta.

“So esattamente come verrebbe,” esclamò, entusiasta. “Ho pensato e ripensato a tutto, fin nei minimi particolari. Ci penso quando sono stufo di aver a che fare con le concessioni edilizie, anche se è il lavoro richiesto dalla maggior parte dei clienti.”

Il suo viso era raggiante mentre parlava. Caroline, osservandolo, avvertì una strana sensazione. Non riusciva a capire perché Anthony non si sentisse sprecato a usare il suo talento di architetto solo per correre dietro alle concessioni edilizie per una serra o roba del genere. La maggior parte degli uomini che aveva frequentato, o si lamentavano in continuazione per non essere, a loro avviso, valorizzati sul lavoro; o al contrario erano così tronfi, da esibire le loro promozioni come trofei, vantandosi dell’auto appariscente e pacchiana. Vi era qualcosa di attraente nel senso dell’umorismo di Anthony, che riusciva a non prendersi troppo sul serio.

“Spero che sia una casa sufficientemente pretenziosa,” lo canzonò. “Molto acciaio e vetro e nessun posto comodo in cui lasciarsi andare!”

“La immagino molto spaziosa e piena di luce,” la corresse lui, con un sorriso, “ma non preoccuparti, ci sarà anche un grande e soffice divano!”

“Sembra tutto molto invitante,” disse Carol un po’ malinconica. Quanto avrebbe desiderato essere anche lei così sicura di ciò che voleva dalla vita.

Si domandò se per caso avesse lui intenzione di inserire anche lei nella sua casa luminosa e spaziosa.

Anthony scrollò le spalle, e quasi imbarazzato esclamò: “È solo un sogno, per ora, ma sai come si dice: Se non hai un sogno…” canticchiò, stonando in maniera atroce, tanto da far trasalire Carol.

“Sono felice che il tuo sogno non implichi un futuro da cantante!”

Anthony le sorrise, sistemandosi sulla sedia. “Ora tocca a te,” disse, “io ti ho svelato il mio sogno. Qual è il tuo?”

Sei tu… avrebbe voluto dirgli.

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