Emergenza: ex in corsia!
di CAROL MARINELLI
Ogni medico del Pronto Soccorso trema all'idea di poter riconoscere qualche paziente in questo reparto, persino il razionale ed efficiente dottor James Morrell. Rimane quindi doppiamente scioccato quando si imbatte in una donna priva di sensi identica alla sua ex moglie! Lorna McClelland non sopporta di essere bloccata in un letto d'ospedale e di dover dipendere proprio dall'uomo che l'ha ferita di più. Tuttavia, una volta guarita, si rende conto che la passione che la lega a James è tutt'altro che sbiadita.
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Quattro turni di notte consecutivi. Un incubo. Quasi alla fine, per fortuna. Lorna cominciò seriamente a pensare di lasciare l'incarico, per non ripeterle più.
Dalle nove della sera prima, mai un attimo di tregua. Alle sei del mattino, si rifugiò nella stanza dei dottori, cercando qualche minuto di riposo.
Vi trovò James, che dormiva disteso su alcune sedie, esausto, la bocca semiaperta, un braccio verso il pavimento. Era stato chiamato tre volte di seguito, quella notte, e infine aveva rinunciato all'idea di tornare a casa.
Lorna si preparò una rapida colazione di cereali, tentando di guardare la televisione. Niente di interessante, purtroppo. Lo sguardo indugiò su James, in tenuta da sala operatoria. Il leggero tessuto azzurro aderiva, teso, sul torace, sulle gambe forti, muscolose.
I capelli, lisci, sulla fronte, quelle labbra che l'avevano baciata tante volte. Mai più lo avrebbe svegliato lei, con uno dei suoi baci.
Rinunciò alla pausa. Sciacquò la ciotola, la rimise a posto, e andò a prendere un caffè dalle infermiere.
Incrociò Abby, che correva da un paziente in Rianimazione. «Serve aiuto?» le chiese.
Abby scosse il capo. «No, continua pure la pausa.»
«Altro che pausa!» commentò lei, ironica.
Lavinia rise piano. «Abby è in gamba, ma non sa prendere la gente per il verso giusto.»
«È brava, lo so» annuì Lorna. «Non dimentico che mi ha salvato la vita.»
«Magari adesso se ne pente!»
Scoppiarono a ridere insieme, complici. Era davvero la prima volta, che a Lorna capitava di ridere, di scambiare facili battute un po' malevole con le infermiere. Proprio ciò che voleva, che desiderava di più, per sentirsi a proprio agio, inserita nel gruppo.
Lavinia gettò il resto del suo caffè nel lavabo. «Bene» disse. «Rimettiamo tutto in ordine, prima che arrivino i colleghi del turno di giorno. È stato un fine settimana orribile.»
«Hai ragione.»
«Meno male che è quasi finito!»
Non era vero. Il telefono squillò in quel momento. Emergenza pediatrica, arresto cardiaco, ambulanza in arrivo. Un attimo dopo, un paramedico entrò correndo nel reparto, un piccolo inerte tra le braccia.
«Dov'è Abby?» chiese Lorna, ansiosa.
«In sala operatoria, aneurisma» rispose May, fissando desolata il bambino senza conoscenza. Iniziò il massaggio cardiaco, mentre Lorna pensava all'ossigeno. «I pediatri sono impegnati in Terapia Intensiva, ne ho chiamato un altro, e anche l'anestesista.»
«Chiama James» mormorò Lorna.
«È appena andato a casa.»
«Digli di tornare subito.»
Per Lorna, gravi casi pediatrici non erano una novità. In campagna, anche se di rado, aveva assistito bambini e neonati. In quel momento, guardando quel piccolo corpo livido, si chiese perché mai fosse là, come era possibile scegliere questa professione, che aveva tutti i giorni a che fare con la morte.
May continuava il massaggio cardiaco, Lavinia tentò di inserire una flebo. Lorna comprese che la maschera di ossigeno non bastava. Doveva provare l'intubazione, e in assenza dell'anestesista, toccava a lei provvedere. Inserì il laringoscopio, vide le corde vocali. Le mani tremanti, si impose la calma necessaria, il tubicino passò. May pensò all'ossigeno, mentre lei tentava di inserire la flebo nell'altro braccio, sostituendo Lavinia.
Temeva di non trovare la minuscola vena, ma spinse l'ago, e una goccia di sangue le segnalò che la flebo era inserita.
«Bel lavoro» commentò May, aiutando subito Lorna a somministrare le dosi pediatriche previste in un arresto cardiaco. Lorna agì con sicurezza; conosceva a memoria il protocollo, si aggiornava costantemente.
«C'è del sangue in un orecchio» annunciò. Un rapido controllo agli occhi. Danno irreversibile, pensò, desolata, ma senza giungere subito alle conclusioni.
Lorna esaminò il bambino attentamente. Notò una gamba gonfia, e più corta, apparentemente fratturata.
Un incidente. O forse qualcosa di peggio.
Poco distante, parenti in lacrime; nel cubicolo, un bambino maltrattato e morente, che lei, d'istinto avrebbe stretto tra le braccia. «Controllo radiografico» disse invece.
L'apparecchiatura mobile era arrivata, i pediatri anche, e James subito dopo.
Per il bambino era stato fatto il possibile, tentata ogni possibilità, ma tutti sapevano che non sarebbe servito. Un quarto d'ora dopo, la piccola vita si spense.
La Polizia era già a colloquio con i genitori. A Lorna non restò che ascoltare in silenzio le parole di James, che rientrò per informarla sulla situazione.
«Lorna, vuoi accompagnarmi? »
Domanda sciocca. Nessuno affronta volentieri quelle situazioni, pensò lei. Ma James sicuramente intendeva offrirle un'esperienza alla quale abituarsi. Aveva ragione: comprendere dai colleghi come agire con genitori e Polizia, prima di trovarsi da sola in un simile frangente, sarebbe stato utile.
«Preferisco di no.»
«Lorna, parlerò solo io, tu dovresti ascoltare.»
«Preferisco di no» ribadì, ostinata.
Strano carattere, pensò James, uscendo. Come un ramoscello, Lorna poteva scattare, o spezzarsi. Stavolta aveva ceduto, arretrando. Secondo May, il suo era stato un lavoro esemplare, ciò che in fondo contava di più. Era stato giusto non insistere, forzarla al colloquio con i parenti del bambino.
«Aspetto James, e lo porto dai genitori» disse May, pratica; si asciugò le lacrime, prese il bambino. «Non bisogna rimuovere le prove delle terapie d'urgenza. Si aprirà l'inchiesta, sembra proprio un caso di sospetta morte violenta.»
Lorna sfiorò quel piccolo volto bianco e freddo, ancora stupita per la rapidità con cui era sopraggiunta la fine. «Credi che riusciranno a tenerlo in braccio?»
«Non spetta a noi, ma al tribunale decidere chi è il responsabile di tutto questo. Parliamo ugualmente con le famiglie, anche se dentro ci sentiamo morire.»
«Succede anche a te?» chiese, confortata, sapendo che May condivideva la sua pena. «Dimmi, non ti sei abituata a episodi del genere?»
«Mai. Se accadesse, me ne andrei.»
È vero, a volte capita che dei bambini muoiano, in un Pronto Soccorso. Ma non sempre per delle cause così raccapriccianti. Quella mattina, al cambio del turno, l'atmosfera era triste, malinconica. Dottori e infermiere si salutavano a bassa voce, più cortesi del solito. I familiari del piccolo erano ancora con la Polizia.
Lorna sedette a scrivere i suoi appunti su quanto era successo, e nessuno trovò da ridire se vi impiegò molto tempo. Infine porse i fogli al pediatra.
James notò che era pallida, il viso segnato dalla tristezza. L'idea che tornasse a casa da sola gli era insopportabile. Doveva restare con gli altri, cercare di sfogare il dolore, in qualche modo.
La vide indossare il soprabito, pronta per uscire. James la accompagnò lungo il corridoio. Non le lascerò prendere la metropolitana, pensava. E non perché fosse la sua ex moglie, o forse proprio per questo, ma perché doveva provare a parlarle di nuovo.
«Aspetta, Lorna, non andare subito a casa.»
Lei affrettò il passo. «Sono stanca.»
«Non hai versato neanche una lacrima. E di solito piangi per ogni sciocchezza.»
«Se comincio, non riesco a smettere.»
«Smetterai, appena superato questo momento.»
«Perché dovrei piangere? Quel bambino non tornerà in vita!» Adesso Lorna stava quasi correndo. James l'afferrò per un braccio, bloccandola. L'atrio del Pronto Soccorso, alle nove del mattino, era pieno di gente. Il luogo meno adatto per una discussione. James la trascinò in un piccolo vano dietro al bancone. «Capisco le proteste dei dottori... Allora è vero che li trattieni...» scandì, ironica. «Il mio turno è finito da più di un'ora.»
«Parla con me, Lorna.»
«No, sono stanca, voglio soltanto andare a dormire. Non ho bisogno di prediche, di compassione, per dirmi che ho dei sentimenti normali, o per concedermi il permesso di essere in collera.»
«Hai ragione» ammise lui, lasciandole il braccio. Sto esagerando, pensò, ma non poteva considerarla semplicemente una collega. Quel giorno Lorna non doveva restare sola. «Ma forse avresti bisogno di...»
«Di andare a casa, fuori di qui. Sono stanca, anche di essere giudicata inutile, di sentirmi dire che sono troppo lenta, troppo prudente.»
«Non è vero, sei bravissima!»
«Ma per favore! Non potrei chiamarti senza il consenso di Abby, lo sapevi?»
«Ho parlato con Abby, prima. Dice che sei davvero in gamba. Mi ha parlato di un caso di ulcera perforata, di cui solo tu ti sei accorta.»
«Te lo ha detto lei?»
«E sai anche di aver fatto un ottimo lavoro, con quel bambino.»
«Non abbastanza, a quanto pare.»
«Nessuno lo avrebbe salvato. Ma ti sei resa conto di cosa sei stata capace, là dentro? Lo hai intubato, inserito una flebo, con le mani tremanti...»
«James, ma come hai potuto parlare con loro» chiese, con rabbia repressa, affrontando quell'argomento angosciante, che ancora non riusciva ad accettare. «Come sei riuscito a essere gentile, sapendo che...»
«Ancora non lo sappiamo.»
«Dimmelo, James, come hai potuto?» Niente conclusioni affrettate, d'accordo, ma adesso entrambi intuivano l'orribile verità. «Ascoltarli, guardarli in faccia, sapendo cosa era successo?»
«Dovevo controllarmi. Per me è più facile. Però, se cominciavo a dire quello che pensavo, non mi sarei più fermato. Come succede a te, con le lacrime.»
James amava i bambini, Lorna lo sapeva bene. All'inizio del loro matrimonio diceva di volerne cinque. Sarebbe diventato un papà meraviglioso. Dieci anni. Non era successo, e tra loro era finita.
E forse anche perché era distrutta, disperata per il dramma di quel bambino, per la prima volta Lorna disse le cose che aveva sempre pensato, e mai detto. «Non è giusto, James» mormorò, confessando finalmente il rimpianto più amaro. «Saremmo stati dei bravi genitori» aggiunse. La solita, inutile accusa alle iniquità della vita.