Cenerentola a Manhattan
di TRISH WYLIE
Tutta colpa del ballo...
È normale che la responsabile catering Erin Giordano venga travolta dallo sfarzo e dal glamour quando, all'ultimo minuto, è catapultata sotto le luci della ribalta per indossare il famoso diamante Harlequin. Ed è normale che rimanga incantata dall'affascinante proprietario della gemma, suo cavaliere per la serata. Ma mai avrebbe pensato di baciare un perfetto sconosciuto senza nemmeno aver scambiato due chiacchiere con lui, se non fosse stato per il loro ballo sensuale.
Men che meno se avesse saputo la verità su Nathaniel Van Rothstein....
Nate parcheggiò la sua Lamborghini Murciélago davanti al ristorante Giovanni. Ci siamo. Era arrivato il momento di trovare la sua donna del mistero e scoprire perché fosse scappata in quel modo.
All'interno del ristorante trovò ogni cliché legato alla cucina italiana. Tovaglie bianche e rosse a quadretti, la voce di un tenore che intonava arie d'opera dallo stereo, moccoli di candela sui colli di vecchie bottiglie di vino. Ma, tutto sommato, le luci soffuse creavano un’atmosfera accogliente.
La porta alla sue spalle era appena stata richiusa, quando fu salutato come un vecchio amico. «Prego, entra!» disse con leggero accento irlandese una donna raggiante con i capelli scuri raccolti in un ordinato chignon. «Aspetti qualcuno?»
Nate trovò quello che cercava tra la folla dei commensali. «Eccola là.»
La donna si voltò verso il punto che lui aveva indicato con un dito. Poi lo guardò con espressione perplessa. «Quale delle due?»
«Capelli scuri, maglietta bianca.»
«Erin?» Con grande sorpresa di Nate, la donna indietreggiò di un passo e lo squadrò dalla testa ai piedi, annuendo vigorosamente come se lui avesse appena superato una sorta di test. «Era ora che ti conoscessimo.»
E Nate si ritrovò a essere scortato fra i tavoli.
«Avresti dovuto dircelo che sarebbe venuto il tuo ragazzo.»
Lui, confuso, si accigliò quando il suo sguardo incontrò quello di Erin. Gli occhi di lei si spalancarono, la mascella le cascò letteralmente, arrossì. Poi sbatté le palpebre e il suo sguardo si posò sulla donna accanto a lui. «Mamma...»
«Su, in piedi.» Sua madre mosse una mano per farle segno di alzarsi. «Ti do un tavolo d'angolo, lontano dalla folla.»
Nate osservò la strana espressione delle due donne con cui Erin era seduta. «Forse preferisci se restiamo qui con le tue amiche?»
Non che fosse la sua scelta numero uno. Ma, del resto, non lo era nemmeno conoscere la madre ancor prima di sapere come si chiamasse la sua donna.
«Assurdo!» disse la madre di Erin con fare di rimprovero. «Te lo dico, figlia mia, devi trovare il tempo per il tuo uomo. Lei non ha mai tempo, sai. Ecco perché non è ancora sposata. L'avremmo già data in sposa cinque volte, se non fosse per...»
«Mamma!» Gli occhi di Erin si spostarono su Nate e lo inquadrarono abbastanza a lungo da fargli vedere il suo crescente imbarazzo. Poi lei rivolse alla madre una tacita supplica. Smettila!
Nathaniel le diede un attimo di tregua, allungò la mano e le offrì il palmo come aveva già fatto una volta, mentre rivolgeva un sorriso alla madre. «L'attesa aumenta il sentimento.» Quindi tornò a guardare Erin che aveva il volto corrucciato. «Non è così, tesoro?»
La domanda le fece sbarrare gli occhi.
Stai al gioco, le disse Nate pur non usando le parole. E lei lo fece. Ma ignorò la sua mano.
Nessun ristorante a cinque stelle gli aveva mai riservato tutte le attenzioni che ricevette nei venti minuti successivi. Considerato chi era, la cosa la diceva lunga. E non aveva mai nemmeno incontrato tre generazioni della famiglia di una donna così in fretta. Il padre, Giovanni, una sorella che sostituì Erin nelle mansioni di cameriera per la serata e una nonna che era arrivata al ristorante dalla casa accanto e nella quale, evidentemente, abitavano tutti quanti. Nate in qualche modo riuscì a rispondere alle domande senza far saltare la copertura di Erin e alla fine si ritrovò seduto con in mano un bicchiere di vino e sul tavolo cibo sufficiente a sfamare un esercito intero.
Se non fosse stato affascinato dalla donna visibilmente a disagio di fronte a lui, avrebbe gettato la spugna. «Tutti i tuoi ragazzi vengono accolti così?»
Lei fece una smorfia. «Senta, signor Van Rothstein...»
«Nate.» Quando la vide esitare, le sorrise pigro. «È così che mi chiamo.»
«Mi dispiace che tu abbia dovuto subire tutto questo, ma...»
«Esiste questo ragazzo, o no?»
«Non sono affari tuoi!»
«Lo sono eccome adesso.»
«E perché mai?»
La guardò mentre si inumidiva le labbra come aveva fatto prima di baciarla e il ricordo di quel momento gli causò la stessa reazione profonda di quando lei aveva risposto al bacio. «Ci sono limiti che non supero mai.»
Erin si guardò intorno e mormorò: «Non c'è nessun ragazzo».
«Ma la tua famiglia crede che ci sia.»
«Perché l'unico modo per fermare la ricerca di un fidanzato per la sottoscritta da parte dei miei era dire loro che ne avevo già uno. Pensano che finirò come la prozia Carlotta.» Rivolse un'espressione addolorata a un punto imprecisato oltre Nate. «Aveva dei gatti.»
«E a te i gatti non piacciono?»
«Non ho niente contro i gatti.»
«Be', ma allora questa Carlotta doveva essere spaventosa, se...»
Lunghe ciglia si alzarono e si abbassarono quando Erin cercò gli occhi di Nate con lo stesso sguardo colmo di emozioni di quando avevano ballato. Senza orpelli, la morbida lucentezza dei suoi capelli e la bellezza naturale dei suoi tratti la faceva sembrare una donna diversa. Meno eterea, forse? Più reale? C'era qualcosa in lei...
Nate era determinato a scoprire di che si trattava. Fra le altre cose, ovviamente.
Lei gli chiese l'ovvio. «Che ci fai qui?»
Lui infilò una mano nella tasca della giacca e prese un cellulare che le passò. «Hai dimenticato questo. Non ti avrei mai rintracciata senza. New York è enorme.»
«E perché avresti dovuto trovarmi?»
Afferrando una forchetta, Nate prese un po' di pasta con un sugo denso e cremoso prima d'informarla con grande calma: «Per finire ciò che abbiamo cominciato».