Cenerentola a Manhattan
di TRISH WYLIE
Tutta colpa del ballo...
È normale che la responsabile catering Erin Giordano venga travolta dallo sfarzo e dal glamour quando, all'ultimo minuto, è catapultata sotto le luci della ribalta per indossare il famoso diamante Harlequin. Ed è normale che rimanga incantata dall'affascinante proprietario della gemma, suo cavaliere per la serata. Ma mai avrebbe pensato di baciare un perfetto sconosciuto senza nemmeno aver scambiato due chiacchiere con lui, se non fosse stato per il loro ballo sensuale.
Men che meno se avesse saputo la verità su Nathaniel Van Rothstein....
Nate sorrise con indulgenza. «Pronta?»
Lei gli lanciò un'occhiataccia, poi alzò lo sguardo verso l'elaborata costruzione in pietra, prima di abbassarlo verso la porta a due battenti. «Ricordarmi come mi sono lasciata convincere.»
«Diciamo che le parole non sono servite a molto.» Prendendo posto di fronte a lei, Nate chinò la testa per guardarla dritta negli occhi. «È solo una cena.»
«Con la tua famiglia!» gli rispose, accigliandosi. «Giuro, se non mi avessi convinta con l'inganno...»
«Be', adesso siamo qui.» La mano esile che afferrò era fredda, così intrecciò le sue dita a quelle di lei e la strinse per rassicurarla, mentre la trascinava su per le scale.
«Ti porto a cena in un posticino carino a Manhattan, avevi detto.»
«Ma questo è un posticino carino a Manhattan. Proprio a due passi da Central Park.»
«Ci saranno giusto un paio di persone che conosco, avevi anche detto.»
«Le conosco da tutta una vita.»
«È una cena di compleanno, non posso mancare.»
«Mia madre non perdona certe cose. Ma in questo modo posso far contenta lei e uscire con te.»
«Scommetto che tutti quelli che fanno affari con te rileggono i contratti con la lente d'ingrandimento.»
Aspettando che Erin salisse l'ultimo gradino, Nate entrò in casa e la mise a tacere con un bacio. Sarebbe stato fin troppo facile trascinarla di nuovo giù per le scale e portarla nel suo attico per passare ore a baciarla. Soprattutto considerato quanto se la fossero spassata da quel bacio sulla passeggiata di qualche settimana prima. Invece attese che lei alzasse le sue lunghissime ciglia e con calma le ordinò: «Fai un respiro profondo».
E così lei fece.
«E adesso espira.»
Le spalle di Erin si abbassarono. «Ti odio per questo.»
Poco più di un'ora e mezza dopo, anche Nate si odiava. Se la giornata che aveva passato a consegnare cupcake non fosse stata sufficiente a mettere in luce le differenze nelle loro vite, il modo in cui la sua famiglia trattò Erin lo rese proprio palese. La squadrarono come fosse un esemplare di razza inferiore e le spiegarono parte delle conversazioni come fosse un'emerita idiota. Poi la migliore amica di sua madre scoprì che Erin aveva fornito i suoi cupcake d'autore all'evento di beneficenza durante il quale il diamante di famiglia era stato messo in mostra dopo essere stato tenuto nascosto per anni.
«Quei graziosi dolcetti con i fiori?»
«Sì, alcuni hanno i fiori.» Erin sorrise educata mentre le versavano il caffè.
«Che brava.»
Nate serrò la mascella, lo sguardo che si spostava su Erin mentre lei alzava una mano per spostare dietro un orecchio una ciocca dei suoi capelli luminosi. Non ce n'era bisogno, era già al suo posto. E lo era stata per le altre dieci volte in cui lei aveva controllato.
La madre di Nate la guardava come se la nuova informazione avesse cambiato il suo pedigree. «Da quanto tempo sei nel settore?»
«Be', a dire il vero...»
«Ci sono così tante buone società di catering a Manhattan.»
«E le abbiamo praticamente tenute in vita tutte noi» aggiunse secco suo padre.
«Non credo di aver mai sentito la tua, Erin. Come hai detto che si chiama?»
«Non l'ha detto.» Nate mantenne la voce piatta.
«Non c'è bisogno di usare quel tono con me, Nathaniel» lo rimbeccò sua madre, alzando il naso. «Potrei assumerla per un altro evento. Sono certa che Erin sarebbe molto lieta di questa opportunità. Non è così, cara?»
«Se la cava benissimo senza il nostro aiuto.»
«Oh...» La bocca di Erin si chiuse quando lui le lanciò un'occhiata torva, le ciglia di lei che si abbassavano un nanosecondo troppo tardi per nascondere il lampo di ciò che sembrava angoscia.
Ma non aveva nulla per cui sentirsi in pena. Anche se lui odiava il fatto che lei avesse cambiato la sua personalità per adattarsi alle persone che aveva intorno. Lo faceva spesso. Era il motivo per cui gli era sempre parsa diversa ogni volta che si erano incontrati. Con la famiglia tendeva a mettere i bisogni degli altri davanti ai propri. Con le amiche era brillante, vivace e spiritosa. Non che non fosse tutte queste cose, in particolare se Nate era nei paraggi. Ma, quando erano soli, lei era anche molto altro. Era sfacciata, acuta, esuberante e, quel che lui preferiva, giocosa. Era incredibile. Non avrebbe dovuto cambiare per nessuno al mondo. Men che meno per quelli che facevano calare ombre scure nei suoi occhi espressivi. Nate odiava quelle ombre.
E ne aveva abbastanza. Aveva fatto il suo dovere.
Posando il tovagliolo sul tavolo, scostò la sedia e lanciò una breve occhiata all'espressione meravigliata di Erin, mentre faceva il giro del tavolo per andare da lei. «Entrambi dobbiamo alzarci presto domani mattina. Buon compleanno, mamma. La cena era fantastica come sempre.»
«Nathaniel...»
Scostando la sedia di Erin dal tavolo, Nate sorrise a ognuno degli altri invitati alla cena. «Eleanor, Oscar, papà... ci vediamo in ufficio.»
Sua madre non era contenta. «Ma non abbiamo ancora servito i formaggi. E tu li adori. C'è una selezione di prodotti caseari francesi questa sera.»
Posizionando una mano alla base della schiena di Erin, la guidò con gentile fermezza verso il portale ad arco. Sua madre aveva ragione: lui adorava i formaggi. Quando era piccolo di solito pregava per l'arrivo del piatto con quelle prelibatezze. Era un segnale d'uscita al neon.
«Sono sicura che, in quanto proprietaria di una società di catering, Erin voglia assaggiare dei raffinati formaggi francesi.»
Quando sua madre rivolse alla ragazza il suo brevettato sguardo pietoso, Nate aumentò la pressione sulla schiena. Lei barcollò un poco, gli rivolse una breve occhiata di condanna e poi sorrise in modo caloroso ai padroni di casa. «È stata davvero una cena meravigliosa, signora Van Rothstein. La ringrazio. Buon compleanno. Anche la sua casa è molto bella...»
«Grazie, cara. Ville di queste dimensioni devono essere delle perle rare sull'altra sponda del fiume, immagino.»
Fu l'ultima goccia che fece traboccare il vaso per Nate. Cosa gli era preso, quando aveva pensato che portare Erin a cena dai suoi fosse una buona idea? Era per caso uscito di testa? Si era rivelato persino peggio del previsto.
Dal modo in cui lei schivò il suo tocco nell'atrio, dedusse che stava pensando di nuovo alla fuga. E non poteva biasimarla.
Letteralmente accecato dalla rabbia, la portò a casa in silenzio.
Non le diede nemmeno il bacio della buonanotte.