Cenerentola a Manhattan
di TRISH WYLIE
Tutta colpa del ballo...
È normale che la responsabile catering Erin Giordano venga travolta dallo sfarzo e dal glamour quando, all'ultimo minuto, è catapultata sotto le luci della ribalta per indossare il famoso diamante Harlequin. Ed è normale che rimanga incantata dall'affascinante proprietario della gemma, suo cavaliere per la serata. Ma mai avrebbe pensato di baciare un perfetto sconosciuto senza nemmeno aver scambiato due chiacchiere con lui, se non fosse stato per il loro ballo sensuale.
Men che meno se avesse saputo la verità su Nathaniel Van Rothstein....
Avrebbe dovuto essere uno dei giorni più felici della sua vita. Eppure, mentre sistemava i suoi cupcake nelle vetrinette del nuovo negozio, Erin non si era mai sentita peggio.
Gli mancava. Avrebbe potuto porre facilmente rimedio al problema, se avesse risposto a una delle sue tante chiamate, ma quando è troppo è troppo. Era chiaro come il sole che lei aveva ignorato i propri consigli, ma la decisione di smettere di ballare con lui era stata giusta. Alla fine Nate avrebbe smesso di telefonare. Non lo avrebbe biasimato. Non dopo averlo messo tanto in imbarazzo di fronte alla sua famiglia, al punto da costringerlo a privarla in fretta della sua compagnia. Aveva capito che quello non era il mondo per lei. La cena a casa dei Van Rothstein l'aveva riportata alla realtà. Quando lei aveva iniziato a pensare stupidamente che forse...
Qualcuno bussò alla porta del negozio e lei vide che si trattava di un omone in giacca e cravatta. Erin fece il giro del bancone.
«Erin Giordano?»
«Sì.»
Aveva un pacchettino sopra una cartelletta. «Una consegna per lei.»
Aprendo la serratura, lei si incupì. Chi faceva consegne così tardi la sera? La carta intestata era di una società di sorveglianza. «Cos'è?»
«Non posso fare la consegna, senza la firma del destinatario.»
«D'accordo, ma cos'è?»
L'uomo rimase impassibile. «Me la mette una firmetta?»
Cinque minuti più tardi la porta era stata chiusa di nuovo a chiave ed Erin stava fissando il pacchetto sul bancone come se si aspettasse di veder spuntare delle zampe. C'era solo un modo per scoprire di cosa si trattava.
Occhi spalancati osservavano il regalo che pendeva fra le mani di Erin mentre il telefono squillava.
La voce che sentì disse: «È per te».
Voltandosi, trovò Nate sul marciapiedi davanti al negozio. «Non posso accettarlo» sussurrò.
«Be', allora la situazione si complica, perché te lo devo dare. È una tradizione di famiglia.»
Erin ritrovò la voce. «È un diamante da un milione di dollari.»
«Ti ho mai raccontato la storia che lo accompagna?»
Lei scosse la testa.
«Sai che non è stato mostrato in pubblico per anni.» Quando lei annuì, lui si avvicinò di un passo alla vetrina. «C'è un motivo. Ha saltato una generazione perché mia nonna non ha mai approvato il matrimonio dei miei genitori. Mio padre ha sposato un cognome più antico del nostro. La loro non è mai stata un'unione dettata dall'amore. Non agli occhi di mia nonna, in ogni caso. E aveva ragione. Probabilmente è il motivo per cui io sono figlio unico.»
Erin pensò ai suoi due fratelli e alle sue tre sorelle e subito comprese quanto solo doveva essersi sentito Nate da piccolo in quella grande casa. Provò dolore per lui.
«Così il diamante è passato a me, quando mia nonna è morta. Io non ero a conoscenza della tradizione, quando ho concesso di mostrarlo in pubblico quella sera.»
«Non capisco.»
Facendo un passo indietro, Nate esaminò la facciata del negozio. «È l'unico ingresso?»
«C'è un'uscita di sicurezza sul retro, perché?»
«Stavo solo valutando quale direzione potresti prendere.» La guardò negli occhi mentre con un passo si metteva sotto la luce sopra la porta. «Siamo arrivati al capolinea, Erin. Basta scappare. Dico sul serio.»
L'emozione le serrò la gola. «Non posso continuare questa cosa con te.»
«Immagino ci sia molto di più dietro questa scelta che non il semplice fatto di non averti dato il bacio della buonanotte.»
«Lo sapevi che sarebbe successo.»
«Mi vuoi dire perché?»
No. Ma sapeva che doveva farlo. «Sappiamo entrambi che non funzionerebbe mai.»
«Ah, no?»
Erin deglutì a fatica e alzò una mano, il diamante che pendeva all'estremità di una catenina sottile. «Diamanti e cupcake, Nate? Non vanno proprio d'accordo.»
«E chi lo dice?» Quando lei lo guardò con occhi spalancati che imploravano comprensione, lui infilò la mano libera nella tasca dei jeans e fece un altro respiro profondo. «Sono io il diamante nella tua similitudine?»
Domanda stupida.
Ma, prima che Erin potesse fargli notare che lui non era affatto il tipo d'uomo che qualcuno avrebbe potuto definire un cupcake, un lampo gli attraversò gli occhi. Aveva capito. Quindi un accenno di sorriso gli incurvò gli angoli della bocca. «È meglio che tutto questo sia ciò che credo.»
Sospirando, Erin abbassò le braccia. «Cosa credi che sia?»
«Un'antiquata nozione in merito alla classe sociale.»
«Non ha niente a che vedere con la classe sociale. O con i soldi. Okay, d'accordo, qualcosa a che fare con i soldi ce l'ha. Ma non nel modo in cui pensi.»
«Quando hai cercato informazioni sul mio conto su Google, quanto in là ti sei spinta?»
«Mi sono annoiata dopo la quinta pagina di donne bellissime.»
«Hai letto niente che non fosse l'equivalente di un articoletto di cronaca rosa?»
«Tipo cosa?» Lo guardò con la coda dell'occhio.
«Qualcosa riguardo ai Van Rothstein.»
«Ricchi in modo assurdo, proprietari di buona parte di Manhattan... quel genere di cose?»
L'accenno di sorriso raggiunse gli occhi di Nate. «Famiglia di immigrati, abbastanza sangue misto fra le generazioni da legarci ad almeno dodici stati nel mondo... Penso che mio padre volesse migliorare il suo pedigree quando sposò mia madre. Siamo dei bastardi. Solo che siamo dei bastardi con i soldi.»
Era così che si considerava, nonostante la laurea in uno dei college della Ivy League, nonostante una villa di famiglia che dava su Central Park e...?
«Il modo in cui i miei ti hanno trattata quella sera avrebbe dovuto dimostrarti quanto tu sia migliore di loro.»
Le sopracciglia di Erin si mossero.
«Sono tornato dritto a casa e ho litigato con mia madre per due ore. Non succederà di nuovo, fidati.»
La determinazione nella sua voce la costrinse a guardarlo con stupore. Vestito in jeans e una semplice T-shirt grigia sopra una maglia bianca a maniche lunghe, con i suoi capelli leggermente scompigliati e lo sguardo color cioccolato fondente che le riscaldava l'animo, Nate era l'uomo più bello che avesse mai visto. Eppure, trovarselo davanti in tutta la sua sicurezza, d'improvviso lo rese meno inaccessibile agli occhi di Erin. Si chiedeva perché.
«Sai cosa penso?»
Le scosse piano la testa. Dubitava di averlo mai saputo.
«Penso che tu abbia paura. Ecco perché hai messo ostacoli sul nostro cammino.»
Quando Erin inspirò un po' di quell'aria di cui tanto aveva bisogno, le tremò il labbro inferiore.
La voce grave di Nate si abbassò. «Quello che è successo la sera che ci siamo conosciuti è raro. Trovare qualcuno tanto speciale e perderlo? Fa paura.»
Lacrime calde iniziarono a formarsi fra le ciglia di Erin e, quando lei sbatté le palpebre, liberò la prima.
«Immagino che tutti facciano ricorso ai propri istinti quando c'è di mezzo la paura.» Lui guardò la lacrima scendere lungo la sua guancia, incupendosi appena prima che il suo sguardo si rialzasse per incontrare quello di Erin. «C'è chi lotta e chi si tira indietro. Tu fuggi. È da quella sera che continui a fuggire. E insisti ad allungare una lista di motivi per cui la storia fra noi non dovrebbe funzionare.»
«Mentre tu hai combattuto.» La vista di Erin era annebbiata mentre iniziava a capire com'erano andate le cose.
«Avrei potuto lasciarti andare, anche quando non sapevo perché.»
«E adesso lo sai?»
«L'ho saputo il giorno in cui abbiamo fatto le consegne dei cupcake. Tu sei presente nel giorno più felice delle persone. Compleanni, anniversari, matrimoni, battesimi. Tu sorridi tutto il giorno. Lo sai che con il tuo sorriso illumini una stanza intera? Avevo sempre pensato che fosse un cliché, ma...»
«Adoro il fatto che il mio lavoro mi permetta di partecipare a quei momenti. È stato un dono di Carlotta. Diceva che la felicità è difficile da trovare, che tutti dovremmo godercela al massimo quando la troviamo. Ma, quando è morta, ho imparato anche quando faccia soffrire perdere qualcuno che a cui si vuole bene. Una volta ero più coraggiosa. Lo ero davvero, giuro. Ma tu...»
«Lasciami entrare.»
Erin fece un passo avanti e aprì la serratura. Solo allora entrambi misero da parte i cellulari mentre Nate varcava la soglia.
Le sorrise. «Per quanto riguarda il tuo diamante...»
Quando lei alzò la mano, il diamante roteò su se stesso, prendendo la luce mentre Nate chiudeva la porta alle sue spalle senza interrompere il contatto visivo. «Ti ho mai detto che viene indossato solo dalle spose dei Van Rothstein?» Incorniciandole il viso con le sue grandi mani, usò i polpastrelli dei pollici per cancellare le ultime tracce di lacrime dalle guance di Erin. «Così la tradizione continua...»
Ciò che lei scorse nei suoi occhi le annebbiò di nuovo la vista. Non aveva sbagliato a baciarlo la prima sera, le era parsa subito la cosa giusta da fare. Aveva però preso a correre nella direzione sbagliata.
Appoggiando i palmi delle mani sul cuore di Nate, gli restituì il sorriso. «Non ho mai creduto nell'amore a prima vista. Ma penso che il mio cuore sapeva chi tu fossi.»
«Ti amo, lo sai?»
«Adesso lo so. E ti amo anch'io.» Erin alzò il mento mentre lui abbassava la bocca per cercare la sua.
Non ebbero bisogno di altre parole.
Un giorno, in futuro, Erin sperava di poter raccontare ai loro bambini la storia di come si erano conosciuti. Di come il famoso diamante Harlequin avesse offerto loro un'eredità di amore lunga intere generazioni e le avesse insegnato a credere nella possibilità di un lieto fine nel mondo reale. E lei sapeva che avrebbe sempre cominciato il racconto della loro storia allo stesso modo. Era stata tutta colpa del ballo.