Cenerentola a Manhattan
di TRISH WYLIE
Tutta colpa del ballo...
È normale che la responsabile catering Erin Giordano venga travolta dallo sfarzo e dal glamour quando, all'ultimo minuto, è catapultata sotto le luci della ribalta per indossare il famoso diamante Harlequin. Ed è normale che rimanga incantata dall'affascinante proprietario della gemma, suo cavaliere per la serata. Ma mai avrebbe pensato di baciare un perfetto sconosciuto senza nemmeno aver scambiato due chiacchiere con lui, se non fosse stato per il loro ballo sensuale.
Men che meno se avesse saputo la verità su Nathaniel Van Rothstein....
Innamorarsi di Nate era una pessima idea.
Erin lo ricordò a se stessa, mentre gli rubava un altro sguardo fugace. Non importava quanto fosse bello, quanto potesse essere divertente quando ci si metteva, quanto fosse diventato facile parlare con lui o quante milioni di volte al giorno pensava a baciarlo di nuovo. Non poteva innamorarsi di lui, punto e basta.
Non ci sarebbe stato nessun equivalente moderno del lieto fine, non con lui. Erin non c'entrava nulla con il suo mondo. E lui doveva saperlo tanto quanto lei. I Van Rothstein erano la famiglia reale di Manhattan, mentre Erin Giordano? Lei poteva servire eccentrici cupcake per feste scintillanti in cui la gente del calibro di Nate sorseggiava champagne e osservava il resto del mondo imperfetto dall'alto dei loro attici. Era un capriccio temporaneo, niente di più.
Come previsto, Nate la guardò con la coda dell'occhio e sorrise piano, il sorriso di chi sa. E lui sapeva che aveva un certo effetto su di lei, giusto? Il fatto che non avesse insistito dal punto di vista fisico non era passato inosservato e la faceva sentire frustrata e sollevata in egual misura. O, almeno, così si era detta Erin. Le stava dando tempo e lo am... Lo apprezzava.
Anche se la rendeva terribilmente consapevole di ogni movimento di Nate, di ogni suo respiro e di ogni istante in cui il suo sguardo si posava su di lei. Non ricordava che tutto il suo corpo fosse mai stato tanto sensibile alla presenza di un uomo. Ma con lui era stato così dal principio, o no? Come se avessero danzato insieme centinaia di volte.
«E così verrai a pranzo da noi domenica, mi hanno detto.»
«Non posso farci niente, se tua mamma mi adora.»
Erin alzò gli occhi al cielo.
«E giocherò a basket con Morgan, Evan e Quinn la mattina» aggiunse Nate. Poi annuì con fermezza. «Anche i tuoi amici mi adorano.»
Era proprio la vacanza che cercava dal suo mondo. Non contento di aver affascinato la famiglia di Erin, si era autoinvitato al pranzo settimanale che organizzava per tradizione con gli amici e li aveva conquistati tutti in meno di un'ora. Tutti amavano Nate.
«Sei ovviamente irresistibile.» Erin sospirò.
«Viene da chiedersi come tu faccia a resistermi.»
Spostando lo sguardo sul fiume, i suoi piedi si mossero d'impulso verso la passeggiata. «Trovare risposta a quella domanda mi tiene sveglia la notte.»
Non era una bugia. Erin stava scoprendo che era sempre più difficile resistergli col passare dei giorni. Ma sapeva d'istinto che lui avrebbe potuto spezzarle il cuore come non le era mai successo prima. Sperava che prima o poi avrebbe incontrato un uomo da amare con tutto il cuore, qualcuno che le sarebbe rimasto accanto nel bene e nel male. Un compagno, un migliore amico, un amante tutto in uno. Era così che doveva andare. Ci credeva con tutta se stessa. Se non poteva ottenerlo, allora sarebbe stata più felice di passare il resto della sua vita da single e con il cuore intatto, piuttosto che vivere soffrendo per qualcuno che non poteva avere. E il suo cuore stava già soffrendo.
Quando raggiunsero il parapetto, Manhattan scintillava in modo spettacolare contro il cielo notturno e si rifletteva nel fiume che scorreva al disotto. Era magico. Erin stava guardando il mondo di Nate dal suo. Lo guardava dall'esterno. E così sarebbe sempre stato.
Lui si voltò, si sporse in avanti sul parapetto e la studiò con occhi socchiusi. «Allora, qual è il problema?»
«Che hai un ego grande quanto un piccolo stato?» Erin represse un sorriso triste.
«Sei attratta da me.»
«Mi sbagliavo, grande quanto uno stato enorme.»
«Sono stato paziente, Erin.»
«Lo so.» La risposta di Nate era stata dolce, anche se lei non aveva idea del perché. Andava contro ciò che aveva sempre pensato di lui e contro l'affermazione che aveva fatto circa il concludere quel che avevano cominciato. Non lo capiva proprio.
Poi lui fece ciò che Erin aveva desiderato facesse da una vita e lo guardò ipnotizzata mentre allungava una delle sue grandi mani. Trattenne il respiro e rimase in attesa, il cuore un pugno stretto nel petto finché dita gentili all'inverosimile le scostarono i capelli dalle guance, un soffio leggero sulla sua pelle mentre espirava.
Quando Nate si avvicinò, le palpebre di Erin divennero pesanti. Il bisogno di arrendersi era schiacciante. Sentiva una sorta di calore emanare da lui, lo vedeva nelle pozze scure dei suoi occhi. Forse, solo per un istante, poteva cedere alla tentazione. Di nuovo. Un altro ricordo a cui aggrapparsi quando lui si fosse stancato e avesse fatto ritorno alla sua vita.
Lo sguardo di Erin cadde sulla curva maliziosamente sensuale delle labbra di Nate.
Le dita di lui si mossero per farle alzare il mento.
Guardandolo negli occhi, lei rimase completamente incantata. Era stata la sua rovina anche l'ultima volta. Ma questa volta la consapevolezza che non aveva avuto prima vacillò, mettendole paura per quelle che avrebbero potuto essere le ripercussioni.
Fino a quando Nate non parlò con la sua voce roca, colma di frustrazione. «Basta essere paziente.»
Mentre le labbra di Erin si schiudevano, lui si chinò in avanti e premette la sua bocca su quella di lei, un gemito soddisfatto che le sfuggiva dalla gola mentre Nate prendeva il controllo. Labbra ferme, calde, divennero insistenti. Lei rispose al bacio. Aveva dovuto farlo. Era stato biologicamente imperativo.
Quando alzò le mani e appoggiò i palmi sulle guance di Nate, lui le cinse la vita con il braccio e l'avvicinò a sé. Quando poi lei mosse i pollici sulla sua pelle liscia, lunghe dita si infilarono fra i suoi capelli per sistemare la testa nell'angolazione giusta, in modo che lui potesse approfondire il bacio. Erin non si era mai sentita così consumata. La sua immaginazione non aveva distorto il loro primo bacio, rendendolo superiore a quel che in realtà era stato. Gli aveva solo reso giustizia. Non c'era da sorprendersi che fosse stata incapace di non ripensarci. Ma questa volta toccò una parte di lei nascosta, affamata, vorace, che la fece gemere più forte e muovere con irrequietezza contro di lui.
«Dobbiamo fermarci» mormorò brusco Nate a un soffio dalla labbra gonfie di Erin.
Con il respiro affannoso di entrambi nelle orecchie, lei sapeva che aveva ragione. Non erano né il posto né il momento giusto. Non che i loro corpi sembrassero d'accordo...
«Hai ragione» mormorò Erin a sua volta, mentre continuava a baciarlo, prima che il suo subconscio aggiungesse un sussurro: «Non posso innamorarmi di te».
La testa di Nate si alzò. Uno sguardo vagabondo le studiò il viso. Poi lui sorrise di un sorriso puramente sensuale che fece volare il cuore di Erin. «Sì che puoi.»
No. Non poteva. Non doveva. Ma lei mosse la mano sulla nuca di Nate e alzò il mento, la bocca che cercava ancora quella di lui. Poi mollò la presa e lo baciò con tutta la ferocia delle sue emozioni represse. Era già troppo tardi, no? Erano in ballo dal primo momento in cui lui le aveva teso la mano.
E adesso lei doveva aspettare che la musica finisse.