Dolce vendetta
di CATHERINE MANN
Quando il capo della sicurezza, Javier Cortez, sale a bordo del jet privato dei Medina, l'ultima persona che si aspetta di incontrare è la sua ex amante, Victoria Palmer. La loro relazione era stata appassionata e devastante... fino a quando, un anno prima, lui aveva fatto la sola cosa che lei non avrebbe mai potuto perdonare. Perché si trova lì adesso, allora? Javier non ama le sorprese, ma si rende conto che questa è l'occasione perfetta per stare con lei da solo, e per farla di nuovo sua. Per sempre.
Victoria rabbrividì negli abiti bagnati, anche al calore del riscaldamento del SUV. La sua pelle fremeva ancora per il modo in cui Javier l'aveva divorata con gli occhi. E ora avrebbero trascorso la notte insieme, che le piacesse o no.
Lui stava telefonando alla casa per avvertire dell'accaduto, in modo che il re non si preoccupasse.
«Esatto» stava confermando attraverso l'auricolare fissato all'orecchio. «Dal momento che la strada è bloccata, andremo alla serra per la notte. No, non c'è bisogno che mandiate qualcuno, che rischi sotto la tempesta. Certo... sono sicuro. Domani lo verificherò immediatamente.»
Quindi chiuse la conservazione, come se si trattasse di un affare qualsiasi, piuttosto che il modo di suggellare il loro destino.
Suggellare loro due insieme, soli, per le prossime dodici ore. Come poteva resistergli? Improvvisamente l'aria tutta intorno le sembrò troppo calda. Il suo corpo fu inondato di desiderio represso.
Rallentando, Javier prese una deviazione abbandonando la strada fiancheggiata da palme e addentrandosi in una radura. I lampi rivelarono i vetri di una serra di grandi dimensioni. Solo un piccolo gazebo e una folta quercia li dividevano dalla struttura. Il SUV si fermò accanto alla porta, poi Javier spense il motore e si girò verso di lei. «Questa è la serra di cui ti ho parlato. C'è anche un piccolo posto di ristoro, perciò dovremmo trovare qualcosa da mangiare. E... se non ricordo male, un divano e una doccia nello studio sul retro.»
Lei emise un sospiro profondo mentre cercava di aprire la portiera. «Allora immagino che dovremo entrare.»
Saltando a terra prima che lui potesse raggiungerla con l'ombrello, si gettò di corsa verso l'entrata, con la pioggia che le pungeva la pelle. Javier la seguì sui gradini di pietra e aprì le doppie porte, sorprendo un passero che si alzò in volo nell'edificio deserto.
Come lui richiuse la porta, un pozzo di oscurità carica di profumo li avvolse.
Gradualmente i suoi occhi si abituarono al buio e le immagini presero forma. A differenza delle serre lussureggianti che aveva visitato in precedenza, questa sembrava più un parco, e includeva aree appartate dotate di panchine dove leggere o meditare. Felci lussureggianti pendevano dall'alto. E sulla parete in fondo c'erano mensole su più livelli con vasi di fiori recisi. Palme e Cactus in vasi rendevano più alto il paesaggio interno. Un fontana in marmo italiano baluginava sotto la luce ovattata del cielo scuro. L'acqua fluiva dolcemente da una bocca di serpente attorcigliato intorno a un Dio romano disteso.
Lei ruotò lentamente, immergendosi in quelle scene intossicanti. Vitigni crescevano fitti e rigogliosi oltre le pareti di vetro. E la luce della luna filtrava tra i vetri del tetto, silenziosi ora che aveva smesso di piovere e c'era uno squarcio tra le nuvole. «Quest'isola ha proprio tutto.»
Non avrebbe dovuto esserne sorpresa: l'isola disponeva non soltanto di un ambulatorio medico e dentistico, ma anche di una cappella, pensioni e scuderie.
E un uomo molto sexy che sarebbe stato tutto suo per quella notte.
I raggi della luna gettavano strisce ambrate sulle ampie spalle di Javier. I suoi capelli corvini luccicavano per le gocce di pioggia, stuzzicando nelle sue dita il desiderio di giocarci come un tempo.
«Tutto? Quasi. Mio zio ha fatto del suo meglio per dare ai suoi tre figli un'infanzia normale dopo che dovettero lasciare San Rinaldo; voleva assicurarsi che la sua famiglia avesse tutto, in modo che non sentisse il desiderio di andarsene.»
Victoria si fermò dinanzi di lui, sentendo il peso del suo sguardo quando Javier si arrestò accanto alle griglie in ferro battuto coperte con ortensie e convolvoli. «E tu?» gli chiese. «Io sono cresciuto in Argentina» rispose lui, il bel viso inespressivo. «Noi rappresentavamo una sorta di esca per il mondo. Potevamo essere cugini, ma sembravamo fin troppo Medina e questo andava benissimo per gli scopi del re.»
Lei reagì con un singulto, inorridita. «Che cosa terribile...» «La mia famiglia sopravvisse solo perché lui finanziò la nostra fuga.» Accarezzò con indifferenza un fiore di ortensia. «E il pericolo che abbiamo dovuto affrontare in Argentina era inferiore a ogni altra situazione qui.»
Victoria lo raggiunse lentamente. Come mai non l'aveva saputo prima? Avrebbe dovuto sollecitarlo a raccontare di sé una volta che erano divenuti intimi, ma c'erano così tanti segreti intorno alla sua famiglia... E lui aveva insistito che era più sicuro per lei non conoscerli.
Comunque, adesso che il segreto della famiglia era stato rivelato al mondo intero da Alys, la cugina di Javier, c'erano meno restrizioni per tutti. Forse ora avrebbe potuto capirlo meglio, trovare un modo per fare la pace con la loro tormentata relazione.
Pensando ad Alys, osservò: «Dopo essere stato costretta all'esilio, usata per deviare il pericolo, è facile vedere quanto tuo cugina possa essere risentita con i Medina».
«Non provare a giustificare quello che Alys ha fatto.» Il ramo si impigliò tra le sue dita e il fiore si schiacciò nel suo pugno contratto. «Ha tradito i Medina rivelando il loro segreto alla stampa. Alys non è una parente stretta come lo sono io. Sperava di sposare un principe per goderne la fama e i benefici che ne sarebbero derivati. Solo le persone più abbiette tradiscono la famiglia per denaro.»
«Come mio fratello?» Fece un passo verso di lui, la rabbia che sfrigolava subitanea. «È questo che stai cercando di dire?»
Sollevò il mento stupito, incredulo. «Leggi quello che vuoi nelle mie parole.» «Come odio quando fai così.» Victoria allargò gli abiti fradici, la pelle calda e quasi troppo stretta per il suo stesso corpo. Accidenti a lui per il modo in cui la faceva sentire!
«Faccio... che cosa?»
«Non rispondi mai alle mie domande.» Restò salda. Sapeva che non l'avrebbe mai trattata come il fiore che aveva distrutto tra le mani. «Perché non puoi mettere da parte quell'aria regale e darmi una risposta diretta?»
Lui la studiò così a lungo che lei si chiese se non potesse semplicemente andarsene, ignorandola del tutto. Poi qualcosa baluginò nella sua espressione, gli occhi scuri che diventavano vacui. «Perché...» iniziò alzando una mano a racchiudere la sua guancia, i petali dell'ortensia che profumavano tra il suo palmo e il viso di lei. «Perché, quando mi stai così vicino, riesco a pensare soltanto a baciarti.»