Vacanze romane
di LUCY MONROE
Erano bastate tre splendide giornate di sole nelle vie di Roma, per convincere Bethany che il suo piano iniziale era una colossale stupidaggine. Venire in Italia, incontrare un uomo affascinante, spassarsela con lui per almeno una settimana per poi tornarsene a casa con la convinzione di non essere affatto l'iceberg che diceva il suo ex marito.
Andrea non aveva mai provato una simile attrazione per una donna e, per quanto Bethany l'avesse intrigato al primo sguardo, non gli piaceva aver così poco controllo sui propri desideri. Forse era solo colpa del profumo di fiori che lei emanava dalla pelle. La parte cinica di lui, quella cui era stato insegnato che la gente avrebbe sempre tentato di approfittarsi di lui, si stava chiedendo se una donna potesse essere davvero tanto sincera.
Bethany si sforzò di riprendere il controllo delle proprie emozioni mentre Andrea salutava l'amico. Il fatto che continuasse a tenerle saldamente la mano mentre la conduceva fuori dal ristorante non le era certo di aiuto.
Si fermò accanto a un'automobile nera, posteggiata vicino il marciapiede. Era un'auto sportiva, e sembrava piuttosto costosa. Sembrava anche troppo bassa per poter accogliere un uomo tanto alto, ma Andrea, dopo essersi chinato su di lei per allacciarle la cintura, cosa che rese il suo respiro simile a quello di un maratoneta in dirittura d'arrivo, scivolò al posto di guida senza alcun problema.
Stavolta, al contrario del viaggio in taxi dall'aeroporto all'albergo – era stata in preda al panico per tutto il tempo a causa della vicinanza delle altre macchine – Bethany si accorse a malapena del traffico. Era troppo presa a memorizzare ogni dettaglio di quel volto, di quel corpo.
Quasi non riusciva a credere di trovarsi lì con lui; non solo perché era praticamente uno sconosciuto ma soprattutto perché era il tipo di uomo che avrebbe fatto svenire qualunque donna incontrasse.
Si voltò per sorriderle. "Mi stai fissando."
"Ti disturba?"
"Che una bella donna mi guardi? Ricordati che stiamo parlando del maschio italiano! È ovvio che mi piace, anche se mi rende un po' difficile guidare."
"Ti disturba che la gente ti guardi mentre guidi?"
"Il fatto che sia tu a guardarmi è una distrazione enorme per me. I tuoi occhi mi fanno pensare a cose che non hanno niente a che vedere con il traffico o la strada."
"Tipo?" gli chiese, per poi pentirsene, avendo capito all'improvviso cosa intendesse con quelle parole.
Lui si mise a ridere e lei si sentì avvampare.
"Vuoi davvero che ti risponda?"
"Ehm... no."
Era sicuro di sé; trasudava sensualità e virilità. "Potremmo parlarne stasera a cena."
"Vuoi portarmi a cena?"
"Certo, dolcezza."
Dolcezza. Le piaceva sentirselo dire. Si sentì scaldare il cuore, e il calore si diffuse per tutto il corpo all'idea di cosa potesse significare. "Mi piacerebbe."
***
La portò in un ristorante di lusso proprio come aveva suggerito il suo amico. Lei la prese come scusa per indossare il vestito rosso rubino, esageratamente corto ed esageratamente costoso, che sua madre aveva insistito che si comprasse la settimana prima di partire. Le arrivava solo fino a metà coscia, cosa a cui non era abituata, ma l'apprezzamento sfacciatamente maschile nello sguardo di lui quando lo raggiunse nella hall dell'albergo la ricompensò per aver preferito l'audacia alla monotonia.
Tuttavia, venti minuti più tardi, seduta a tavola in un ristorante davvero lussuoso, si sentiva molto a disagio visto che il tessuto aderente la ricopriva a malapena. Il fatto che la tovaglia le celasse le cosce ora scoperte non era una consolazione perché lo sguardo di Andrea le faceva capire che non solo aveva intuito il suo imbarazzo, ma anche che aveva una specie di vista a raggi X.
Era tutto il giorno che si comportava così; scherzava e la provocava, ricordandole la sua femminilità. Le ore trascorse ai Fori erano state incredibili. Non solo Andrea l'aveva accompagnata senza che si perdessero; le aveva anche fatto da guida privata, dimostrando di conoscere a fondo la storia romana – fatto che l'aveva sorpresa e affascinata.
"Lo stai facendo di nuovo, Bethany."
"Che cosa?"
"Mi stai fissando."
Trasalì, arrossendo per l'imbarazzo. Era vero. Ma lui era così bello e poi, in giacca e cravatta, sembrava un milionario, non certo un tipo conosciuto al bar dell'amico di famiglia.
"È più forte di me" confessò.
Il sorriso smagliante di Andrea le fece sobbalzare il cuore; il suo corpo fu percorso da un fremito.
"Sei molto diretta."
"Perché ammetto che mi piace guardarti?" Non era abile in quelle schermaglie amorose nelle quali il suo ex era, invece, così esperto e che Andrea chiaramente si aspettava da lei.
"Non fingi, e questo mi piace." Dal suo sguardo malizioso si capiva esattamente a cosa si stesse riferendo.
"Non ho molta esperienza in questo tipo di gioco."
"Non ci credo."
"Hai ragione. In effetti una certa esperienza ce l'ho..." Sorrise, soddisfatta, osservando che i suoi occhi scuri si erano infiammati di desiderio.
"Sono contento di sentirtelo dire."
Gli sorrise di nuovo e sbatté le palpebre con aria civettuola, atteggiandosi a vamp. "Anzi, mi dicono che con la bocca sono proprio brava."
Andrea la fissò esterrefatto e lei, cercando di non ridergli in faccia, si avvicinò per sussurrargli "Suono la tuba" con tono cospiratorio.
Lui scoppiò a ridere, attirando l'attenzione degli altri clienti e uno sguardo di censura da parte del cameriere. Scosse la testa, incredulo ma divertito. "La tuba?!"
"Dovevo allenarmi con i pesi per mantenermi in forma, quando suonavo nell'orchestra della scuola, ma d'inverno mi trovavo avvantaggiata rispetto agli altri. Il mio strumento faceva da barriera al vento quando marciavamo."
"E fai ancora sollevamento pesi?"
"A dire il vero, sì. È una cosa che mi piace molto. Vedi?" Gli mostrò i muscoli; non era certo una culturista, ma era piuttosto in forma.
"Lo vedo e ti trovo bellissima" rispose, sfiorandole lentamente il bicipite.
Le sensazioni che le esplosero dentro sciolsero immediatamente quei muscoli tonificati, lasciandola a bocca aperta.
Lui inarcò il sopracciglio.
"Mi sconvolge il fatto di reagire così ogni volta che mi tocchi" gli confessò.
Andrea le lanciò un sorriso languido, lasciando scivolare il dito sotto la spallina del vestito mentre lei abbassava il braccio.
"L'attrazione reciproca tra un uomo e una donna rende speciale anche il tocco più semplice."
La faccenda dell'attrazione reciproca le piaceva. "Sarà, ma direi che si tratta di più di questo. Per l'amor del cielo, tutto il mio corpo reagisce così a quello che dovrebbe essere soltanto una carezza!"
"L'ho notato." I suoi occhi scuri si posarono sul seno di lei, che si era chiaramente inturgidito sotto il tessuto aderente del vestito. "E ne sono lieto, Bethany."
Quel tono di autocompiacimento, insieme all'espressione fin troppo maliziosa che gli era apparsa sul viso, la fecero sentire vulnerabile, il che finì per farla arrabbiare. Non era certo venuta in Italia per cadere nelle grinfie di un altro uomo sexy ed esperto. No, la sua missione era quella di rafforzare se stessa e la sua femminilità umiliata.
Era facile per lui dire che l'attrazione fra loro era reciproca, quando solo lei mostrava il suo desiderio al mondo intero.
Si scostò improvvisamente, incrociando le braccia sul petto nel tentativo di proteggersi da quello sguardo insistente.
Il sorriso sparì subito dal volto di Andrea, sostituito da un'espressione quasi feroce.
"Credi davvero che una reazione tanto potente possa essere unilaterale? In questo momento non sono in grado neanche di alzarmi in piedi."
Incuriosita, Bethany lanciò un'occhiata alla parte del suo corpo nascosta dal tavolo.
"Proprio così" ammise lui con una smorfia. "Se il tuo corpo è così sensibile a quello che c'è tra di noi, figuriamoci il mio... sebbene non sia più un adolescente preda degli ormoni, che si eccita anche solo sfiorando la pelle nuda di una donna."
Eppure era successo proprio questo.