Vacanze romane
di LUCY MONROE
Erano bastate tre splendide giornate di sole nelle vie di Roma, per convincere Bethany che il suo piano iniziale era una colossale stupidaggine. Venire in Italia, incontrare un uomo affascinante, spassarsela con lui per almeno una settimana per poi tornarsene a casa con la convinzione di non essere affatto l'iceberg che diceva il suo ex marito.
Andrea non aveva mai provato una simile attrazione per una donna e, per quanto Bethany l'avesse intrigato al primo sguardo, non gli piaceva aver così poco controllo sui propri desideri. Forse era solo colpa del profumo di fiori che lei emanava dalla pelle. La parte cinica di lui, quella cui era stato insegnato che la gente avrebbe sempre tentato di approfittarsi di lui, si stava chiedendo se una donna potesse essere davvero tanto sincera.
Mentre si avvicinava alla reception della filiale principale della Banca Rinaldi, Bethany aveva i nervi a pezzi. Si era fermata in albergo dopo il lungo volo, ma si era data solo una veloce rinfrescata prima di chiamare un taxi che la portasse al quartiere finanziario di Milano.
Non riusciva a credere di essere di nuovo in Italia. Quando aveva lasciato Roma sette settimane prima, soffriva così tanto che era certa che non sarebbe mai tornata. Stava male anche adesso, ma non per sé. Era tormentata dalla compassione che provava per Andrea, per cosa aveva passato.
Era venuta a chiedergli di perdonarla e a dirgli del bambino. La mossa successiva sarebbe toccata a lui. Doveva vederlo, ma era terrorizzata dall'idea che potesse rifiutarla con la stessa freddezza con cui l'aveva liquidato lei.
Disse il proprio nome alla segretaria, che la fissò, curiosa, mentre chiamava l'assistente di Andrea. Parlò rapidamente in italiano e riagganciò. "Il signor Mercado sarà qui tra poco per accompagnarla all'ufficio del signor di Rinaldi."
Bethany non capiva perché questa volta fosse stato così facile riuscire nel suo intento, considerando che la volta precedente la donna non era stata assolutamente disposta a darle il numero privato di Andrea. Forse si trattava di una segretaria diversa.
Un giovane in giacca e cravatta e con un'espressione severa le toccò la spalla. "Signorina Dayton?"
"Sì."
"Il signor di Rinaldi può vederla nel suo ufficio."
"Sa che sono qui?"
"Sì." Adesso anche il tono del giovane si era fatto severo. "Da questa parte, prego."
Bethany lo seguì, con il cuore che le batteva all'impazzata. Il tragitto in ascensore fino all'ultimo piano le sembrò lunghissimo. Andrea era al telefono quando entrò nel suo ufficio – una stanza enorme, bellissima, arredata con classe ed eleganza in legno scuro, con quadri classici appesi alle pareti. Bethany si mordicchiò il labbro, guardandosi intorno. I loro stili di vita erano così diversi, eppure erano entrati subito in sintonia come se tutto ciò non avesse alcuna importanza. Se lo sarebbe ricordato, questo, oppure avrebbe pensato solo alla crudeltà con cui l'aveva trattato, sebbene fosse stato frutto della paura?
Andrea riattaccò e si alzò in piedi. "Bethany. Tua madre per caso ti ha pagato un altro viaggio in Italia?"
Bethany scosse la testa, cercando di divorarlo con occhi che erano affamati di lui tanto quanto il cuore. "Sono venuta perché dovevo vederti."
"L'ultima volta che ci siamo sentiti, mi è parso di capire invece che non volevi più vedermi."
"Mi sbagliavo." La sua voce si spezzò nel tentativo di non piangere, e dovette respirare a fondo più volte prima di riprendere a parlare. Non voleva piangere di fronte a lui, per non caricarlo anche del proprio dolore. "Mi dispiace così tanto, Andrea. Sono stata una sciocca e lo capisco se non vuoi vedermi mai più. Ma ti amo e ho bisogno di te e passerò tutta la vita a cercare di farmi perdonare per averti deluso, se solo mi darai un'altra possibilità."
Andrea rimase in silenzio, l'espressione arcigna.
"Io non lo sapevo" spiegò Bethany con voce strozzata. "Non sapevo di tuo fratello. Pensavo che tu fossi partito per affari, che mi avessi lasciata senza una parola. Quando mi hai detto che il tuo assistente non aveva lasciato nessun messaggio, ho creduto che non mi considerassi abbastanza importante per occuparti di me di persona. Mi sentivo così ferita..." Si fermò per raccogliere le idee; non voleva partire per la tangente. "Lo so che se ti avessi dato ascolto quando mi hai chiamato, avrei potuto evitare che entrambi soffrissimo. Ma eri già il padrone del mio cuore. Credevo che vederti avrebbe reso tutto più difficile, e quella che mi sembrava la tua indifferenza mi avrebbe uccisa."
Gli scrutò il volto, cercando di capire cosa gli passasse per la testa, ma lui la fissava immobile e inespressivo. "Andrea?"
L'unico segno di vita fu l'irrigidirsi della sua mascella, e Bethany abbassò lo sguardo in preda alla disperazione. E adesso come faceva a dirgli del bambino? Forse con una lettera? Era chiaro che non avrebbe fatto salti di gioia a sentire la notizia, e lei non sopportava l'idea di vedere l'orrore nei suoi occhi nel momento in cui avesse saputo che proprio lei portava in grembo suo figlio. Fece per andarsene.
"Non sapevi di Enrico?"
Bethany si fermò a metà stanza. "No."
"Era su tutti i giornali." Adesso le stava alle spalle, anche se non l'aveva sentito avvicinarsi.
"Non leggo i giornali."
"Quando l'hai scoperto?"
"Tre giorni fa."
"Sei venuta subito, allora."
"Ma troppo tardi."
Le posò la mano sulla spalla e la girò verso di lui. "Troppo tardi per cosa?"
Bethany alzò lo sguardo, sentendosi sommersa dalla forza dell'amore che provava. "Per esserti vicina quando avevi bisogno di me."
"Io avrò sempre bisogno di te."
Aveva sentito bene?
"Hai detto che mi ami." Gli occhi di Andrea erano fissi sui suoi, come per accertarsi della sincerità delle sue parole.
Incredula all'idea di poterlo fare, Bethany si aggrappò alla sua camicia. "Ti amo così tanto, Andrea, che mi fa paura."
"Ed è perché hai avuto paura che mi hai respinto?"
Non ce la faceva più a contenere le lacrime. Un'ondata potentissima di sollievo e speranza la sommerse all'improvviso. "Sì."
"Abbiamo trascorso poco tempo insieme, troppo poco per concretizzare la nostra relazione."
Bethany annuì, deglutendo; l'emozione le impediva di parlare.
"Ti amo anch'io, piccola mia."
"Anche dopo che ti ho trattato così male?"
Come risposta, Andrea si chinò a baciarla, e il bisogno che provava per lui era talmente forte che si sentì avvampare non appena le sfiorò le labbra. Scoprì che c'era un appartamentino annesso all'ufficio; lui la condusse lì e fecero l'amore con una disperazione vorace che dimostrava quanto anche Andrea avesse bisogno di lei.
Dopo, Bethany si accoccolò vicino al corpo caldo e muscoloso di Andrea. L'amava e l'aveva perdonata, e la notizia del bambino lo avrebbe reso felice. Ne era sicura.
"E ora ci sposiamo il prima possibile, non voglio altri malintesi."
"Mi piacerebbe molto, ma prima devo dirti una cosa." Gli accarezzò il petto villoso; perfino le dita le fremevano per l'esultanza di poterlo fare.
Lui le sollevò il mento. "Sei nervosa. Che cosa c'è?"
Bethany deglutì. E se non le avesse creduto, come lei non aveva avuto creduto in lui? Se avesse pensato che il bambino non era suo? Che l'aveva fatto di proposito per intrappolarlo? Ma si rifiutò di farsi intimidire da quelle possibilità terrificanti. Prese un profondo respiro. "Sono incinta."
Andrea si irrigidì, sembrava non respirare più. "Come hai detto?"
"Avremo un bambino."
"Ed è per questo che sei tornata da me?"
Bethany non sapeva a cosa stesse pensando, ma scosse la testa. "No. Cioè, sì." Non gli avrebbe mentito, neanche per omissione. "Avevo intenzione di venire quando mi sono resa conto di essere incinta, ma niente al mondo mi avrebbe tenuta lontana quando ho scoperto di tuo fratello, anche senza il bambino. In realtà, se avessi saputo come rintracciarti a New York, probabilmente non sarei riuscita a restare a casa così a lungo, malgrado tutto. Avevo bisogno di te, Andrea, e starti lontano mi stava uccidendo poco a poco."
"Uccideva anche me, Bethany." Le guardò il ventre ancora piatto, sfiorandolo con riverenza. "Qui c'è mio figlio."
"Sei contento?"
La guardò, e la gioia che traspariva dai suoi occhi scuri era così intensa che quasi si mise a piangere. "Come puoi dubitarne?"
"Ti amo, Andrea. Per sempre."
"E io, Bethany, ti amerò finché vivrò."
***
Si sposarono con una cerimonia privata, senza dirlo a nessuno, una settimana più tardi. Quando però informarono la famiglia di Andrea, la madre insisté perché si celebrasse una doppia benedizione con Enrico e Gianna, che nel frattempo si erano sposati. La signora di Rinaldi addirittura fece arrivare dalla Spagna una mantiglia di pizzo come quella di Gianna per Bethany. I genitori di Bethany vennero in Italia per la cerimonia, e i festeggiamenti durarono fino a tarda notte dopo che entrambe le spose annunciarono di essere in dolce attesa.
Gianna e Bethany concordarono che i fratelli di Rinaldi sarebbero stati dei mariti perfetti perché sapevano amare con grande passione ed era incredibilmente facile amarli.