Sirtaki d'amore
di JULIA JAMES
Leon! Ancora lui, sempre lui. Nella mente, nel cuore, negli occhi, sulla pelle. Alanna fatica a credere ai suoi occhi, ma non al batticuore che diventa ogni secondo più martellante. Rivederlo è stato ancora più emozionate di come si era immaginata, eccetto un particolare: la bionda che gli sta attaccata come un'ombra.
Quando Nicky la chiamò una seconda volta piagnucolando, Alanna si riscosse e corse fuori dalla camera. Adesso il suo unico scopo era tranquillizzare suo figlio. Le grida dovevano averlo svegliato. Il panico cominciò pian piano ad assalirla.
Leon doveva assolutamente andarsene. Doveva liberarsi di lui al più presto. Era stata una stupida a sbattergli in faccia la lettera in cui il direttore dell'ospedale la ringraziava per la generosissima donazione. Ma qualcosa era scattato in lei e non aveva potuto farne a meno. Non poteva sopportare per l'ennesima volta di essere insultata ingiustamente. Ma il problema più urgente, adesso, era Nicky.
Lo trovò seduto sul letto, sottosopra per essere stato strappato dal sonno e ancora mezzo addormentato. Si sedette accanto a lui, lo abbracciò e lo cullò dolcemente nascondendolo alla vista.
"Va tutto bene, tesoro. Su, rimettiti a dormire... Era solo la televisione, sta' tranquillo."
Ma Nicky si divincolava per voltarsi a guardare oltre la sua spalla.
Alanna sentì pronunciare alcune parole in greco e trasalì. Percepì dei passi sul tappeto.
"Tu hai un bambino?"
Alanna continuò a trattenere Nicky, rimanendo di spalle rispetto a Leon.
"Sì" ammise a denti stretti e con un senso di vuoto allo stomaco. "Ho conosciuto... un altro uomo. Mio... mio figlio ha tre anni. Li ha appena compiuti."
La sua voce era innaturale. Si chiese se Leon l'avrebbe bevuta.
Intanto Nicky continuava ad agitarsi, vanificando ogni suo tentativo di farlo riaddormentare.
"Chi è questo signore?" volle sapere.
"E' una persona che è venuta a trovare la mamma. Dai, rimettiti giù, piccolino." Lo spinse dolcemente verso il cuscino in un ultimo, disperato tentativo; ma il bimbo si rialzò immediatamente.
"Non sono piccolo" precisò con una punta d'orgoglio. "Sono Nicky. E non ho tre anni, mamma. Ne ho compiuti quattro!"
Alanna percepì un respiro ansioso alle sue spalle. Poi la stanza fu inondata di luce. Sbatté le palpebre. Passi veloci, frettolosi, quindi una mano sulla sua spalla che la costringeva a staccarsi da suo figlio. Ora il visetto paffuto del bambino era perfettamente visibile.
Quel viso, quegli occhioni scuri... erano gli stessi occhi degli Andreakos. E i capelli corvini, l'incarnato mediterraneo. Solo l'ovale era quello di sua madre.
"Thee mou..."
La voce di Leon era spezzata da un groviglio di emozioni. Erano gli occhi di suo fratello, quelli che lo stavano guardando dal faccino spaventato di suo nipote.
***
Alanna continuava a rigirare il cucchiaino nella tazza del caffè. Avrebbe voluto berlo perché aveva un disperato bisogno di caffeina, o di qualunque altra cosa che potesse agire sul suo già provato sistema nervoso, ma era bollente. Al lato opposto del tavolo, Leon incombeva minaccioso, le mani saldamente appoggiate alla superficie, il corpo proteso verso di lei.
Alanna si agitò sulla sedia.
"Dammi una sola buona ragione per cui avresti dovuto tenerlo nascosto. Una!"
Il suo tono era durissimo. Il cucchiaino quasi le sfuggì di mano.
Una buona ragione? Avrebbe potuto fornirgliene almeno una dozzina!
"Credevo fosse piuttosto ovvio" ribatté sforzandosi di guardarlo negli occhi.
Lui la stava fissando. Era furioso e pieno di rabbia, ma c'era anche dell'altro. Qualcosa che lei non riusciva a decifrare. Non aveva mai visto quell'emozione in lui, prima di allora. Gli atteggiamenti di Leon che le erano più familiari erano altri. Il compiacimento nel constatare la sua ingenuità all'inizio della loro relazione, quando lui e il suo mondo dorato erano ancora una novità per lei. Il desiderio, quando nei suoi occhi brillava una luce che lei aveva imparato a riconoscere così bene e che la scioglieva ogni volta.
E alla fine della loro storia, la rabbia. Una rabbia cieca e devastante che l'aveva distrutta dentro.
E che continuava a farle del male.
Ma questa volta aveva una risposta. L'unica risposta che avrebbe potuto dargli.
"Come credi che sarebbe stata accolta la notizia?" disse tristemente. "Che effetto avrebbe avuto far sapere che stavo per lasciare la Grecia in quello stato?"
Attese una replica che tardò ad arrivare. "Allora, Leon?"
"Sarebbe stato di conforto per miei genitori..."
Lei sbottò in una risata amara.
"Di conforto? Dimentichi che ero io la madre del bambino!"
"Ti accetteranno. Per amore di Nikos."
Quelle parole la lasciarono esterrefatta.
"Mi accetteranno? Cosa diavolo vuoi dire?
Lui serrò le labbra. "Voglio dire che prenderemo il primo volo per la Grecia domani stesso."
Alanna lo guardò sconcertata. "Sei impazzito per caso?"
"Tu sei pazza, se pensi che lascerei mio nipote qui, a crescere in questa topaia."
"Cosa c'è che non va nel mio appartamento? E' pulito, e si trova in una zona tranquilla! E poi è il massimo che mi sono potuta permettere dopo che..."
Alanna s'interruppe. Leon si alzò in piedi, mentre una nuova emozione illuminava il suo volto.
"Perché l'hai fatto, Alanna?" le domandò con uno strano tono di voce.
Lei chiuse gli occhi per un attimo. Lo guardò ma questa volta non vide lui. Le sembrò di aver di fronte solamente il volto tormentato di suo fratello. Suo marito. Che l'aveva sposata per salvarla, e anche per salvare se stesso.
Quel matrimonio, invece, aveva segnato tragicamente i loro destini.
"Come avrei potuto crescerlo?" rifletté fissando il suo caffè, incapace di guardarlo in faccia.
Lui peigò le labbra in una smorfia. "Come? Non era difficile, immagino! E' il motivo per il quale ti sei sposata... il suo denaro!"
Le dita di lei si serrarono intorno alla tazza. "L'ho fatto per avere una garanzia per il suo futuro, voglio che questo sia chiaro!"
Lui non poté fare a meno di guardarsi attorno. La cucina era angusta, i pochi mobili apparivano vecchi anche se in buono stato, il pavimento consunto. D'altra parte lei, non poteva certo permettersi di sostituirli.
Lo guardò negli occhi. "Sono già stata povera una volta, Leon" ammise in tono pacato. "E so che non è difficile tornare ad esserlo. Quanto a Nicky, sta crescendo serenamente. Io non sono costretta a lavorare, così posso trascorrere molto tempo con lui. Questo quartiere è tranquillo. Conduciamo una vita del tutto normale. Non ai tuoi standard, questo è ovvio, ma per la maggior parte delle persone è un livello più che accettabile. Quando lui inizierà ad andare a scuola, io potrò riprendere a lavorare, e questo mi aiuterà quando lui diventerà più grande."
"E quando ti chiederà di suo padre?"
Già. Anche lei si era posta il problema più di una volta.
"Molti suoi coetanei non hanno un padre. Non è così strano come pensi.""
Lui la guardò accigliato. La sua reazione sarebbe arrivata a breve e non sarebbe stata piacevole, Alanna avrebbe potuto giurarci.
"Strano? Cosa c'è di strano nell'essere il figlio di mio fratello... o sua moglie?"
Lei strinse la tazza, e le nocche le diventarono bianche per la pressione. "Io... volevo dire..." Ma la voce le si spezzò.
Gli occhi di Leon pesavano su di lei come un macigno.
"E' del tutto irrilevante. Quello che importa, invece, è che il bambino ha bisogno di un padre. E lo avrà."
Lei continuava a guardarlo senza capire.
"Gli farò io da padre" spiegò lui senza mezzi termini. "Lo adotterò e crescerà come mio figlio. Quanto a te..." Una nota sardonica si aggiunse alla sua voce. "Tu raggiungerai la meta a cui hai sempre puntato: diventerai mia moglie."
Alanna era diventata bianca come un cencio.
Quello che un tempo era stato il suo sogno, stava per diventare il suo peggiore incubo.