Un bacio in corsia
di JANICE LYNN
Il versatile dottor Garrett Wright ha assolutamente bisogno di una madre per i suoi gemelli. Gli piacerebbe domandare aiuto all'affascinante collega Jennifer Castillo, peccato che sia affetta da uno stakanovismo compulsivo che la rende la candidata meno adatta. Chiedere non costa nulla, ma... è una richiesta del cuore o della mente? Quando trova il coraggio, Jennifer lo fissa negli occhi e...
«Dottoressa Castillo?»
Jennifer si girò verso la voce maschile e quasi svenne come una eroina di un dramma del XIX secolo. Un paio d'occhi verde muschio frangiati da folte ciglia scure come l'inchiostro la fissavano da un volto scolpito. Una T-shirt nera era tesa sulle spalle e dei jeans neri cingevano i fianchi stretti. Doveva avere le allucinazioni, perché dei fusti simili non vagavano nelle sale d'aspetto del Pronto Soccorso, di solito.
«Sì?» Era possibile avere vampate di calore durante le allucinazioni? Perché lei l'aveva. Arrivava giù fino alle dita delle mani, che smaniavano dalla voglia di toccare quegli avambracci maschili. Si sventolò il viso con la mano. «Sono il dottor Garrett Wright.» La guardò con curiosità, come se pensasse che fosse sull'orlo di una sincope. Come ogni miraggio degno di questo nome, lui l'avrebbe afferrata se fosse svenuta. «Sono stato da tua madre.»
Il dottor Wright? Jennifer sbatté le palpebre. Quello era il medico di sua madre? Nessuna meraviglia che non si opponesse più alle cure. Senza dubbio, le donne di ogni età dovevano fare la fila per lui. Persino Jennifer poteva pensare a qualche acciacco che avrebbe potuto trarre beneficio dalla sua attenzione. «Mi ha detto che avresti preso una pausa temporanea dalla tua attività a Madison per assisterla dopo l'operazione all'anca» proseguì il dottor Delizia, ignorando la sua espressione ottusa. Che diavolo le succedeva? Non
si era mai comportata così prima. Mai.
Annuì, muta. La sua lingua si rifiutava di collaborare. Probabilmente perché quella appendice traditrice avrebbe voluto leccarlo ovunque.
Il che la scioccò. Non era il tipo di donna che indulgeva in simili fantasie. Mai.
«Avevi ragione a insistere a farla trasferire dal centro di riabilitazione. Ha una trombosi venosa profonda.»
La notizia la strappò dalla nebbia indotta dagli ormoni. Sua madre aveva una trombosi.
Cercando si suonare professionale, e non come la donna preoccupata che in realtà si sentiva, deglutì e chiese: «I suoi polmoni sono liberi?».
L'affanno era stata la ragione per cui aveva insisto che la madre fosse portata al Pronto Soccorso. Solo allora Bridget aveva ammesso di avere male alla gamba. Il dottor Wright si passò le lunghe dita tra i capelli neri. «Sfortunatamente no.»
Il panico le mozzò il respiro. «No?»
Per favore, Signore. Non poteva perdere sua madre.
«Ha un'embolia polmonare.»
Il trombo era risalito attraverso la gamba e aveva bloccato l'afflusso di sangue dell'arteria polmonare. Affranta per la gravità delle condizioni della madre, Jennifer cadde a sedere sul divano della sala d'aspetto. «Stava facendo la normale prassi anticoagulante post-operatoria» la informò lui sedendosi vicino. «Ma si è comunque formato un trombo.»
Jennifer sapeva cosa accadeva quando un paziente aveva un trombo. Ma quella era sua madre! La ragione non riusciva a farsi strada nelle sue emozioni, nei suoi timori.
«Dimmi tutto.» Chiudendo gli occhi, incrociò le braccia sul petto, chinandosi in avanti. «Per favore.»
«La radiografia era normale» spiegò lui, «ma con la sostituzione dell'anca tre giorni fa, ho visto i valori D-dimero aumentati, così ho eseguito una angiografia che ha rivelato l'embolia.»
Il sangue di Jennifer defluì, lasciandola gelida, insensibile, come se le sue stesse arterie fossero ostruite.
Non lo sapeva? Non era per quello che aveva insistito per portare la madre in ospedale?
«Il novantacinque per cento dei pazienti sopravvivono se diagnosticati in tempo.»
Lei sbatté le palpebre per schiarire la visione offuscata. Il novantacinque per cento. Una buona percentuale, se non stavi parlando di tua madre. In questo caso, solo il cento per cento era accettabile. «Le ho somministrato eparina a basso peso molecolare per evitare che il trombo si aggravi.» Lui le prese la mano e le diede una breve stretta, che avrebbe dovuto confortarla, invece le fece aumentare le pulsazioni.
Spaventata dal gesto e dalla sensazione sfarfallio al basso ventre, Jennifer gli lanciò un'occhiata. Troppe emozioni selvagge le si agitavano nell'anima. Sua madre. I ricordi di Carrie. I suoi ormoni improvvisamente resuscitati dopo anni di nulla. «Qualche segno di insufficienza respiratoria?» «Al momento no, ma visti i fattori di rischio, è possibile. Con l'ossigeno, i suoi valori di ossigenazione sono intorno al novanta per cento.» Il suo dito accarezzò quelle di lei. «È in tachicardia.»
Si rendeva conto che anche lei lo era, a causa del suo tocco?
Intontita, annuì. Un embolo alla gamba. Lui aveva ragione. Il peggio era passato. Sarebbe andato tutto bene. Doveva andare tutto bene.
Le lacrime le fecero bruciare gli occhi. «Posso vederla?»
Garrett fissò la meravigliosa bruna seduta sul divano della sala d'aspetto. Le lunghe gambe tornite della dottoressa Jennifer Castillo, delineate dai pantaloni neri attillati, avevano catturato la sua attenzione fin dal momento in cui era uscito dal Pronto Soccorso. Era sempre stato attratto dalle belle gambe. Non avrebbe dovuto notarle, per la verità. Non con una paziente con una trombosi, e neppure se tale paziente gli aveva parlato della figlia, dichiarando che era libera e solo poco usata.
Poco usata erano i termini usati dalla madre di Jennifer per alludere a un disastroso divorzio che aveva portato la figlia a dedicarsi solo ai suoi pazienti, e l'aveva resa insensibile al sesso opposto.
Chissà se Bridget aveva parlato a sua figlia di lui? E lo aveva descritto come disponibile e attivamente in cerca?
Dove attivamente in cerca significava alla disperata ricerca di una madre per i suoi gemelli di quattro anni.
Un'amareggiata, divorziata donna in carriera non era quello che aveva avuto in mente. Ma dannazione se la sua libido sembrava curarsene. Senza lasciare la mano di Jennifer, guardò l'orologio.
«Dovrebbe essere nella sua stanza, ora» rispose, cercando di mantenere la sua attenzione sui problemi reali e non sulla sua inaspettata reazione alla bruna conturbante.
«Grazie. Il chirurgo ortopedico è stato avvertito?» Il morbido, vulnerabile sorriso di Jennifer sembrò risucchiarlo nelle sue parole, facendolo sentire più uomo di quanto si fosse mai sentito da secoli.
«Sì, ma mi sono occupato io del suo ricovero in ospedale.»
Lei registrò il suo abbigliamento informale e i suoi profondi occhi marroni sembrarono turbati. «Sei in servizio?»
«No» rispose lui sorridendo. «Ma stavo controllando un paziente quando tua madre è arrivata, così l'ho visitata.» Garrett si alzò e la tirò in piedi. «Andiamo. Ti accompagno nella sua stanza.»
Le lasciò la mano a malincuore, certo che il fuoco che lo aveva acceso al contatto sarebbe divampato di nuovo presto. Pensa ai bambini, si ricordò. Una donna dedita alla carriera al pari di lui non era qualcuno con cui coinvolgersi. I gemelli avevano bisogno di una mamma. Come era stata Emma.
Non un altro genitore più abile a trattare con i pazienti malati che con due ragazzini.