Un bacio in corsia
di JANICE LYNN
Il versatile dottor Garrett Wright ha assolutamente bisogno di una madre per i suoi gemelli. Gli piacerebbe domandare aiuto all'affascinante collega Jennifer Castillo, peccato che sia affetta da uno stakanovismo compulsivo che la rende la candidata meno adatta. Chiedere non costa nulla, ma... è una richiesta del cuore o della mente? Quando trova il coraggio, Jennifer lo fissa negli occhi e...
Garrett tenne aperta la porta della camera per far passare Jennifer prima di lui. L'avrebbe schiaffeggiato se l'avesse trascinata dentro un ripostiglio della biancheria e l'avesse baciata fino a restare senza fiato?
Lei non era adatta a lui. Ma c'era qualcosa di vulnerabile nella sua espressione, qualcosa che lo attraeva in un modo cui non poteva resistere.
«Vieni a cena con me» le propose quando la porta si chiuse alle loro spalle. Non aveva pensato di chiederglielo, ma non poteva rimangiarsi le parole, e non poteva neanche respirare mentre aspettava la sua risposta.
Non aveva mai provato un desiderio così intenso.
Sorpresa e qualcosa d'altro, forse timore, passò nei suoi grandi occhi bruni. Esitò, poi annuì. «Mi piacerebbe.»
A lui sarebbe piaciuto avere a portata di mano un ripostiglio della biancheria.
«Posso portarti direttamente da qui?» Un'immagine del portarla, letteralmente, balenò nella sua mente.
Lei sembrò ancora più esitante. Scosse il capo.
«Date le circostanze, sarebbe meglio se mi venissi a prendere a casa di mia madre.»
«Quali circostanze?»
«Tu sei il dottore di mia madre, e io partirò non appena lei si sarà rimessa. Se sapesse della nostra uscita a cena, potrebbe vederla come qualcosa di più complesso...»
Quelle circostanze.
Invitare a cena Jennifer era molto più complesso che non essere il dottore di sua madre. C'era sempre il fatto che lui aveva bisogno di una mamma per i suoi bambini e lei era l'ultima possibile candidata per quel ruolo. Bridget gli aveva parlato degli orari di lavoro della figlia, e che lavorava sette giorni a settimana, tutte le settimane. Era stato sorpreso quando Bridget gli aveva detto che sua figlia si era presa un mese di permesso. Dannatamente sorpreso.
Allora perché aveva invitato a cena quella donna in carriera, quando avrebbe dovuto andarsene a casa dai suoi figli? O impegnarsi per trovare una mamma che avrebbe cotto dolci per loro e li avrebbe circondati d'amore?
Razionalmente, sapeva che avrebbe dovuto annullare l'invito. Sfortunatamente, la razionalità non aveva niente a che vedere con l'invito.
«Hai ragione. Verrò a prenderti a casa.»
Nonostante le riserve di Jennifer, la cena andò bene. Garrett era un abile conversatore e, oltre alla medicina, avevano molti gusti in comune. E le lasciò mangiare metà del suo dolce di cioccolato quando lei si rifiutò di ordinare il dessert.
«Buono, vero?» le chiese, sorridendo al suo gemito di piacere.
«Molto.» Guardò il piatto vuoto e trasalì. «Non avrei dovuto mangiarne così tanto. Tu l'hai a malapena assaggiato. Scusa.»
I suoi occhi si oscurarono, più dolci del cioccolato. «Ho goduto nel vederti godere.»
Sentì il calore bruciarle le guance.
La tensione aveva crepitato tra loro tutta la sera. Tensione che pervadeva ogni cellula del suo corpo, rimescolando gli elettroni in una danza frenetica. Fin troppo consapevole, Jennifer si passò il tovagliolo sulle labbra. «Dovrei tornare a controllare mia madre.»
«Se ci fossero stati dei cambiamenti, l'infermiera mi avrebbe avvertito.»
Jennifer annuì. Vero. Ma le serviva una scusa per mettere fine alla serata. Aveva bisogno di tempo per capire perché, fin dal primo momento in cui aveva incontrato Garrett, all'improvviso il suo corpo aveva cominciato a ricordarle che era una donna.
E perché questa reminiscenza le faceva così paura.
Sentendosi come un adolescente al suo primo appuntamento, Garrett accompagnò Jennifer alla porta di casa di sua madre, guardandola mentre armeggiava con le chiavi.
Erano tutti e due dannatamente nervosi. L'aveva visto nei suoi occhi e sentito nella sua voce nel tragitto verso casa. Avrebbe dovuto dirle buonanotte e andarsene. Infine la porta si aprì. «Vuoi entrare a bere qualcosa?»
Il Sahara sembrava un'oasi tropicale in confronto alla secchezza della sua bocca. Aveva bisogno di qualcosa da bere. Disperatamente.
La seguì all'interno, registrando l'atmosfera familiare fatta di mobili spaiati, pareti piene di fotografie, la maggior parte di Jennifer a diverse età, e soprammobili disseminati ovunque.
Alle sue spalle, Jennifer chiuse la porta. Garrett si girò.
I loro sguardi si incontrarono. Il cuore di lui balzò nel petto, martellando selvaggiamente, mozzandogli il respiro e lasciandolo stordito. Come un cervo paralizzato dalla luce dei fari, Jennifer lo guardò senza dire una parola, impaurita. Le pulsazioni le battevano contro la gola.
Deglutì, inumidendosi le labbra.
Garrett gemette.
Doveva baciarla. Solo un piccolo bacio. Poi sarebbe andato a casa.
Jennifer sospirò di piacere.
Buon Dio, quell'uomo sapeva baciare. Le sue labbra, il suo viso, la sua gola, il suo petto.
Le sue mani erano altrettanto abili, e scivolavano sulla sua pelle come lampi di beatitudine. Dove era finita la sua camicia? Il suo reggiseno? Come aveva fatto la gonna a diventare una fascia in vita?
Che cosa stava facendo?
Non era il tipo. Non faceva sesso con un uomo appena incontrato. Non era mai stata con nessuno tranne Jeff. Doveva fermarsi. Non stava cercando una relazione, non voleva una relazione. Jeff l'aveva messa al riparo da questo.
«Ti ho detto quanto sei meravigliosa?»
Glielo aveva detto. Molte volte.
Il che l'aveva sorpresa. Jeff si era sempre lamentato a proposito del suo corpo, della sua mancanza di entusiasmo per il sesso, del modo maldestro in cui lo toccava. Garrett invece era pazzo di desiderio, non poteva smettere di toccarla, di baciarla, di succhiarla.
Gli sfilò la maglia dalla testa, volendo toccarlo come faceva lui, desiderando assaggiare ogni centimetro del suo corpo. Frugò nella sua cintura, aprendogli i pantaloni e afferrandolo.
Lui gemette, apprezzando il suo tocco. Non solo con le parole, ma con gli occhi, le mani, le reazioni del suo corpo. Il suo desiderio era un afrodisiaco inebriante.
Questo forse spiegava perché l'entusiasmo non era un problema. Non con Garrett.
Lo voleva. Con tutto l'entusiasmo possibile.
Al punto che, sebbene la sua mente continuasse a dirle di fermarsi, non lo fece. Non quando lui si tolse gli slip e si infilò un preservativo, non quando la sollevò, ponendosi le sue gambe intorno ai fianchi. Non quando lei si aggrappò a lui, le dita conficcate nelle sue spalle. La baciò profondamente, il corpo rigido per il controllo che stava esercitando. «Sei sicura?» ansimò, fissandola negli occhi, il respiro affannato, il cuore che impazziva contro quello di lei.
Jennifer non poté parlare, solo annuire.
Senza mai lasciare i suoi occhi, Garrett la spinse contro la porta di legno e scivolò dentro di lei. A ogni spinta le sussurrava nelle orecchie, dicendole quando la sentiva, quando era meravigliosa, quanto la voleva.
Il suo ventre si contrasse, le cosce tremavano, la testa si agitava avanti e indietro mentre le viscere si fondevano a ogni nuova, spasmodica ondata.
E poi esplose.