Il tesoro nascosto
di SOPHIA JAMES
Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?
Quando partirono per tornare a Falder, gli uccellini avevano appena cominciato a cantare intorno a Carisbrook House.
Pettirossi, passeri e fringuelli che cercavano l'intonazione giusta, una melodia paradisiaca in confronto alle strida degli uccelli che si sentivano in Giamaica.
Sulla seconda carrozza viaggiavano Emerald, Asher, Lucy, Taris e zia Miriam, sulla prima i servitori e i bagagli dei Wellingham.
Con loro, seduto accanto al cocchiere, c'era Az-ziz, debitamente armato, mentre Toro era a bordo dell'altro veicolo. Il duca aveva preso molto sul serio la minaccia dei McIlverray.
«Non avete freddo?» chiese Asher rivolgendosi a tutti i presenti. Evitò apposta di incontrare gli occhi di Emerald. La sera prima avevano fatto l'amore, ma adesso sembravano lontani mille mi-glia.
La guancia di Asher era stata ferita dal rasoio maldestro del suo valletto, ma farglielo notare sa-rebbe stata un'osservazione troppo intima in quella situazione, stretti com'erano gli uni agli altri.
«Quanto tempo ci vorrà per arrivare a Wick-ford?» chiese Emerald approfittando del fatto che Lucinda stesse parlando con Miriam.
«Tre o quattro ore con questo tempo.»
L'acquerugiola del giorno prima si era trasfor-mata in una pioggia battente. I vetri dei finestrini erano già annebbiati dal loro fiato.
Wickford era la prima sosta, dove i cavalli a-vrebbero potuto riposare e a loro sarebbe stato servito un pasto caldo. Asher si toccò il braccio ed Emerald ebbe l'impulso di chiedergli se gli facesse male.
«Ho notato che Toro e Azziz sono armati» gli disse invece.
«Sono in grado di proteggerti, Emma. Non te-mere.»
Non temere? Se i McIlverray li avessero attac-cati, ci sarebbe stato poco da scherzare. Dovevano solo pregare di arrivare a Falder senza proble¬mi e incidenti di qualunque tipo.
In ogni caso Emerald, per sicurezza, si era na-scosta tre pugnali sotto i vestiti e si sarebbe messa anche la spada alla cintura, se l'avesse avuta.
Era metà pomeriggio quando Emerald notò che Asher si girava sul sedile per poter avere una vista adeguata dal finestrino. La zia Miriam dormiva tranquilla, Taris sonnecchiava e Lucy leggeva un libro. Era una storia di pirati, a giudicare dalla copertina che fece sorridere Emerald.
Da quando era in Inghilterra, aveva avuto modo di farsi un'idea di quale avrebbe potuto essere la sua vita se suo padre non gliene avesse negato la possibilità.
Lucinda, invece, ignorava completamente come vivessero davvero i pirati e neppure le brutte avventure dei due fratelli le avevano fatto abban-donare la versione poetica della pirateria.
La mano di Asher che batteva contro il soffitto della carrozza la riportò alla realtà.
«Cavalieri a sinistra, e non sembrano amici!» gridò aprendo il cassetto sotto il sedile, fra i suoi piedi e quelli del fratello.
Vi erano riposte tre pistole e il duca ne afferrò una.
«Asher...» mormorò Taris e il libro di Lucy scivolò sul pavimento.
«State indietro! Tutti contro i sedili!» ordinò il capofamiglia aprendo lo sportello e sporgendosi fuori con tutto il corpo.
Pioveva, ma la pioggia e il fango non attutirono il rumore degli zoccoli e quello dello sparo. Lucy incominciò a piangere, Miriam a tossire, ma tutto durò solo un attimo, perché poi la carrozza, nella sua fuga vertiginosa, urtò un ostacolo e virò im-provvisamente da un lato prima di capovolgersi.
Emerald riprese i sensi sulla riva di un torrente, accanto alla carrozza appoggiata su un fianco, an-cora con le ruote che giravano.
Si portò una mano alla testa, che le doleva, e la ritrasse sporca del sangue fuoriuscito da un taglio sulla tempia.
Asher era più distante, stava cercando di attirare i cavalieri verso di sé. Emerald lo sentì urlare qual-cosa circa la mappa e poi lo vide allontanarsi in-sieme a loro nel bosco.
Miriam e Lucy si stringevano l'una all'altra lì vicine, Taris e Azziz erano svenuti ma non sem-bravano feriti.
«Correte fino a quei cespugli e poi nascondete-vi» ordinò alla zia e a Lucy, «io vi coprirò da die-tro.»
Afferrò la spada di Azziz e si mise alle loro spalle mentre le due donne raggiungevano la bo-scaglia.
«Sono banditi di strada, non potete fare nulla contro di loro» disse Lucinda, ma non aggiunse altro perché uno di quegli uomini era comparso non lontano da loro, con una pistola in mano e gli occhi assetati di sangue.
Emerald non perse tempo. Prese il coltello che aveva nascosto nello stivaletto e lo lanciò verso il bandito, colpendolo alla testa.
«Nascondetevi fra gli alberi e non uscite fino a quando non ve lo dico io» ingiunse alla zia e a Lucy, che erano rimaste entrambe a bocca aperta nel constatare la sua abilità con le armi.
Ripresesi dallo stupore, le due donne obbedirono con prontezza.
Una vera fortuna, perché Emerald aveva da fa-re. Prese un secondo pugnale che aveva nascosto sotto la gonna e andò alla ricerca di Asher. Se To-ro le aveva obbedito e non si era fermato durante l'attacco ma aveva proseguito, Asher era solo con i McIlverray.
Li sentiva ridere e scherzare. Era una preda fa-cile e loro erano almeno dieci contro uno.
Asher, nel suo nascondiglio, riempì di foglie umide il cappello nella speranza di trarre in inganno i banditi a cavallo.
Era riuscito a sfuggire loro e a precederli, ora doveva giocare d'astuzia per sorprenderli ed eli-minarli. Si augurava di farcela, era il solo che po-tesse difendere Emerald, Lucy e Miriam.
Lasciò il cappello fra le fronde di un arbusto e si mise ad attendere i suoi inseguitori lungo il tor-rente. C'erano tanti bei sassi lisci e pesanti, ne raccolse uno e si nascose dietro un cespuglio.
Ecco, stavano passando.
Il sasso colpì sulla testa l'ultimo facendolo sci-volare silenziosamente a terra. Asher era fiero di sé.
Un altro sasso, un altro tiro, un'altra vittima nelle retrovie. Avevano visto il cappello, erano convinti di averlo trovato e si diressero da quella parte.
Allora Asher estrasse la pistola e sparò. Un pri-mo bandito cadde a terra, poi un secondo.
Asher estrasse la spada e arretrò fra gli alberi.
Sarebbero dovuti scendere da cavallo, se vole-vano prenderlo. Forse sarebbe riuscito a eliminarne ancora un paio, prima che loro ammazzassero lui.
Emerald lo vide da lontano, ma lo riconobbe ugualmente: il suo stile nel combattere con la spada era inconfondibile.
Non era il bello stile che si imparava nei saloni alla moda di Londra, doveva averlo appreso in qualche luogo dimenticato da Dio, dove l'eleganza aveva lasciato il posto alla forza bruta.
Ne aveva uccisi due, rendendoli irriconoscibili. Emerald raccolse una spada e si liberò del vestito dando un taglio netto al corpetto e alla gonna. Adesso era pronta per dare una mano ad Asher.
Lui si voltò e la vide. In sottoveste, con un faz-zoletto sporco attorno ai riccioli biondi e la spada in pugno.
Allora la riconobbe.
«Tu?»
La fanciulla della Mariposa, non riusciva a cre-derci. Come aveva fatto a non capirlo subito?
«Vuoi anche tu la mappa, Emerald?» urlò l'uo-mo con cui Asher stava combattendo.
Emerald?
Era il suo vero nome?, si chiese Asher.
Ma certo, Emerald Sandford, la figlia del pirata! Tutti i frammenti del rompicapo andarono a posto.
«Il duca ha nascosto la mappa a Falder, Karl. Se lo uccidi, non saprai mai dove cercarla» disse Emerald come se stesse parlando di un estraneo.
«È una bugia!»
«Credi che sarei ancora qui se l'avessi trovata?» chiese Emerald parando, con poco sforzo, un colpo di spada di Karl che avrebbe potuto tagliarle le gambe.
Tale padre, tale figlia, pensò Asher notando la durezza del suo comportamento.
Sfortunatamente arrivarono i rinforzi per Karl. Uno dei suoi compari sparò un colpo che sfiorò Asher.
Questi prese un pugnale da uno degli stivali e lo lanciò colpendo l'uomo alla gola prima che potesse sparare di nuovo.
Un altro bandito si fece avanti ma dovette fare i conti con Emerald.
«Odiami più tardi, adesso ti posso essere d'aiu-to» sussurrò lei al duca, mettendosi nella posizione giusta per sostenere un altro attacco.
Aveva capito che finalmente lui sapeva la verità. Forse per lei era più pericoloso dei McIlverray, ma avrebbe continuato a difenderlo.
Asher ripensò a suo fratello, a Melanie e a tutto quello che lui aveva sofferto per colpa del pirata Beau Sandford. Era difficile rimandare a più tardi l'odio... ma lo fece e dovette ammettere che Eme-rald aveva ragione, insieme erano imbattibili.
Sembrava che quella donna fosse nata con la spada in pugno e forse era proprio così.
Combatterono a lungo, schiena contro schiena per proteggersi a vicenda, finché gli attacchi ter-minarono. I loro nemici erano tutti morti ed Eme-rald sembrava sfinita.
«Sei tu la figlia del pirata? Eri tu sulla nave...»
«Vedo che ti sei ricordato, finalmente.»
«Puoi ben dirlo! Mi sono ricordato. Maledizio-ne, io...»
«Speravo che ti ritornasse in mente, prima o poi. Quando eravamo soli, a letto...»
«Sei venuta a letto con me per questo motivo?»
«Era una specie di risarcimento per tutto il male che io e mio padre ti avevamo fatto.»
«Un risarcimento? Dio mio, Emerald... È così che adesso devo chiamarti?»
«Gli amici mi chiamano Emmie.»
«Nessuno ti chiama Emma?»
Lei fece segno di no con il capo.
«Così è stata tutta una bugia, solo una bugia...»
Se avesse provato per lei un briciolo di quello che lei provava per lui, pensò Emerald, non l'a-vrebbe mai pensata così.
Asher si voltò e se ne andò.
Emerald ne fu felice perché così non poteva vedere l'odio negli occhi di velluto dell'uomo che amava.
Si toccò il fianco, dove era stata colpita da un fendente di spada, e vide che stava sanguinando abbondantemente.
Seguì a fatica Asher, che non si era accorto dell'accaduto, e insieme arrivarono alla carrozza.
Azziz e Taris stavano riprendendo i sensi.
«Dove sono Lucinda e Miriam?» chiese il duca in tono autoritario.
«Ho detto loro di nascondersi nel bosco» rispose Emerald.
«Dove?»
Emerald cercò di alzare il braccio per indicare la direzione, ma il dolore la sopraffece.
«Oh, mio Dio! Emma!»
Aveva visto la ferita e il sangue.
La prese fra le braccia ripetendo: «Emma! Em-ma!», finché lei svenne.