Il tesoro nascosto
di SOPHIA JAMES
Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?
Miriam ed Emerald arrivarono a Falder Castle su una carrozza a noleggio, mentre l'acquazzone finiva e il sole tingeva di rosa le nubi sulla costa di Fleetness Point.
Falder era il luogo più bello che Emerald avesse mai visto, con le sue colline verdi e i boschetti fra i campi coltivati, che scendevano fino al mare.
Si sentiva il profumo della salsedine e il vento portava fino a terra le strida dei gabbiani che sorvolavano la costa.
Era come essere tornata a casa.
Casa, casa, casa... Dopo la distruzione di St. Clair non c'era più niente che potesse chiamare con quel nome.
«Se il duca scopre la nostra vera identità» l'avvertì la zia, «finiremo in prigione tutte e due. Se hai intenzione di travestirti da ragazzo per perquisire la casa di notte, devi sapere che cosa stai rischiando.»
«Che cosa dovrei fare, zia? Puntargli il coltello alla gola e chiedergli dov'è il bastone?»
«Saresti capace di ucciderlo?»
«No di certo.»
Per chi l'aveva presa, per un'assassina?
«Beau ha commesso molti errori, Emerald, e il peggiore è stato di non rimandarti subito qui in Inghilterra dopo la morte di tua madre.»
«Sei troppo dura con mio padre, zia.»
«Tu eri solo una bambina di sei anni e lui aveva ben altro da fare che pensare alla tua educazione.»
«Avevo Azziz e St. Clair.»
«Un ragazzone che parlava a malapena l'inglese e una casa troppo grande. Non mi sembra che possano bastare ad allevare bene una creatura così piccola.»
«Nel mio caso sono bastati.»
Quante volte avevano avuto quella discussione?
«Con tutte quelle donnine allegre che giravano per casa? E i suoi amici che non facevano altro che bere, proprio come lui?»
«Papà sentiva moltissimo la mancanza della mamma.»
«Soprattutto dei suoi soldi.»
«La mamma era ricca?»
Miriam si morse le labbra.
«Avevo giurato a tuo padre di non parlare di questo argomento.»
«Adesso mio padre è morto.»
«Non importa, era sempre mio fratello e non mancherò alla mia promessa. Era un uomo che pretendeva troppo dagli altri, soprattutto da me.»
«Non so nemmeno come si chiamava la mamma» si lamentò Emerald.
«Evangeline.»
Emerald ripeté quel nome così strano.
«Evangeline... Sembra il nome di un angelo.»
«Che Dio la benedica» fu tutto quello che aggiunse Miriam. «Evangeline non si trovava bene lontana dall'Inghilterra e mio fratello non era certo un marito facile da accontentare. Ma adesso basta, non bisogna parlare male dei morti.»
Emerald capì che la zia non le avrebbe detto di più, almeno per quella volta, e rinunciò a indagare oltre.
L'architettura di Falder Castle, posto sulla cima di una collinetta fra le anse del fiume, era costituita da un insieme di stili diversi che andavano dal gotico allo scozzese baronale, fino all'inglese di campagna. Aveva torri e abbaini in quantità e sembrava che ogni generazione di proprietari avesse voluto lasciare il suo marchio nella sua eterogenea struttura.
Mentre la loro carrozza entrava nel cortile ricoperto di ghiaia, Emerald sperò che non ci fossero molti altri ospiti per quel fine settimana, perché non sapeva se sarebbe riuscita a sopravvivere a un'altra dose di convenevoli tra raffinati membri dell'aristocrazia britannica.
Cercò di evitare gli sguardi della servitù che era venuta a ricevere lei e Miriam, temendo più il giudizio dei domestici che dei loro padroni. Beau era stato un nobile, prima di diventare un pirata, e il titolo di lady le spettava di diritto, ma la sua educazione lasciava molto a desiderare.
Prese il braccio di zia Miriam e scese dalla carrozza.
Asher Wellingham le stava aspettando in un piccolo salone azzurro di fianco al portico, in compagnia di un altro gentiluomo.
«Spero che il vostro viaggio sia stato gradevole» disse il Duca di Carisbrook vedendole arrivare. Sua sorella, Miss Lucinda, era accanto a lui.
«Sì, grazie» rispose Emerald facendo accomodare sua zia su una poltrona vicina al fuoco e coprendole le gambe con una coperta di lana.
La stanchezza e la tensione per quel viaggio sembravano averle tolto le forze. Era l'unica parente che le era rimasta, a parte Ruby, ed Emerald la sentì particolarmente cara in quel luogo sconosciuto.
Le cinse le spalle con un braccio per farle coraggio e ascoltò quello che le stava dicendo il padrone di casa.
Asher si scusò per l'assenza di sua madre, che era indisposta, e presentò le due ospiti al gentiluomo presente nella stanza, che si rivelò essere Taris Wellingham, il fratello minore.
Il giovane aveva un paio di occhiali dalle lenti molto spesse ed era in piedi accanto a un grosso armadio.
I suoi capelli erano neri come quelli di Asher e aveva la stessa espressione enigmatica sul viso pallido.
Emerald attese che lui le salutasse, ma Taris si comportò come se non avesse visto né lei né sua zia Miriam.
«Dovrete avvicinarvi di più a lui se volete che vi veda. Mio fratello ha avuto un incidente mentre eravamo nei Caraibi» le spiegò il Duca di Carisbrook.
«Mi dispiace...» tentò di dire la giovane, con un tono di voce che lui giudicò troppo alto.
«Mio fratello non è sordo» puntualizzò Asher, mostrando una mancanza di cortesia che la stupì.
Emerald ebbe l'impressione, mentre gli occhi opachi di Taris la scrutavano, che il fratello del duca vedesse molto più di quanto volesse far credere, nonostante l'orribile cicatrice che gli andava dalla guancia alla fronte.
Era stato colpito da una pallottola ed Emerald si chiese, con orrore, se potesse essere stato suo padre a ridurlo in quello stato.
Fu un sollievo quando una cameriera chiese che cosa preferissero bere.
Miriam prese della limonata, lei del vino bianco che bevve a piccoli sorsi cercando di stare con le spalle dritte.
«Mio fratello mi ha detto che vostro cugino Liam ha salvato nostra sorella da un uomo che voleva rovinarla» le disse Taris.
«Diciamo che l'ha soccorsa in un momento in cui non c'era nessuno a proteggerla» minimizzò Emerald.
«Vostro cugino è un eroe, a ogni modo. Su quale nave si è imbarcato per tornare in America?»
Taris non la guardava negli occhi mentre poneva le sue domande. Emerald fu lieta di essersi informata sui vascelli in partenza per l'altra costa dell'Atlantico.
«Sul Cristobel» rispose senza esitazione, poi però pensò che i fratelli Wellingham avrebbero potuto chiedere una lista dei passeggeri o, peggio ancora, venire a sapere che lei era andata al porto a fare domande.
La riuscita del suo piano si basava soprattutto sulla rapidità.
Doveva trovare al più presto quel bastone e sparire insieme a zia Miriam e, naturalmente, al suo inesistente cugino Liam, prima che potessero svolgere delle indagini.
Una settimana, non di più.
«La vostra casa è molto bella» aggiunse lanciando un'occhiata alla fila di salotti che si intravedevano dal corridoio. «Quante stanze ci sono?»
«Centoventisette» le rispose Lucinda. «Abbiamo due biblioteche e un salone da ballo. Asher ha appena fatto aggiungere una nuova sala d'armi all'ala orientale costruita all'incirca tre anni fa.»
Emerald pensò che forse sarebbe stato meglio cercare il bastone nella nuova ala.
Quella notte avrebbe avuto molto da fare per non trascurare nessuna stanza, nessun armadio e nessun cassetto.
Le camere da letto di Emerald e di Miriam erano al primo piano, sopra l'ingresso.
La zia aveva trovato la scusa di una forte emicrania per andare subito a riposare ed Emerald si augurò che fosse davvero un pretesto e che non avesse preso freddo.
Uscì sul lungo balcone ricoperto di edera che collegava le loro due stanze. Da lì, alzandosi in punta di piedi, poteva scorgere l'oceano.
Non quello di un azzurro intenso dei Caraibi, ma l'oceano grigio e metallico di Fleetness Point.
Emerald vide che Asher stava arrivando a cavallo e ritornò in camera.
Lo osservò da dietro i vetri mentre passava al galoppo, forte e atletico come lo stallone che montava. Non sembrava di certo uno di quei damerini che aveva visto a Londra, ma era rude e minaccioso.
Minaccioso, aveva trovato l'aggettivo giusto per descriverlo. Con lui doveva essere molto, molto cauta, se voleva riuscire a sopravvivere.
Asher scese a cena vestito di nero ed Emerald notò per la prima volta che i suoi capelli erano di una lunghezza inconsueta. Troppo corti per essere legati dietro la nuca, troppo lunghi per un normale taglio di capelli maschile.
Entrata con gli altri in sala da pranzo, Emerald si trovò seduta accanto al duca. Miss Lucinda faceva da padrona di casa, in assenza della madre, mentre Taris si era sistemato alla sinistra della sorella.
La zia Miriam aveva preferito non scendere a cena; più tardi le avrebbero portato un vassoio in camera.
«Spero che la vostra camera vi piaccia» le disse Lucinda, mentre venivano serviti in tavola vassoi pieni di prelibatezze, carni di manzo, di maiale e di pollo, che fecero brontolare lo stomaco di Emerald. Fece finta di nulla e si augurò che nessuno avesse sentito.
«È molto bella, grazie. Dalla mia finestra si vede l'oceano.»
Asher reagì stranamente a quella osservazione. La guardò incuriosito, mentre un cameriere, a un cenno di Lucinda, portava via la caraffa di vino da cui lui si era già servito più volte e la sostituiva con una d'acqua, che il duca non toccò.
«Lady Emma è stata in Giamaica» affermò il padrone di casa.
Uno dei convitati, William Bennett, le chiese se conoscesse una certa famiglia De la Varis.
«No. Mio padre era un invalido, non frequentavamo molta gente.» Emerald pensò che avrebbe dovuto prendere nota di tutte le bugie che aveva detto, per non rischiare di smentirsi. «I miei zii vivevano nella casa accanto alla nostra con mio cugino Liam» aggiunse con noncuranza.
«E vostra madre?»
«Si chiamava Evangeline, era una donna molto bella.»
Sorrise: fin da quando era bambina si era circondata di persone immaginarie.
Quando sua madre era morta. Quando il padre era ritornato con un'altra donna che voleva lei chiamasse mamma. Una donna trovata in una delle tante case di tolleranza dei dintorni di Kingston e che avrebbe dovuto addirittura sostituire sua madre!
I sogni a occhi aperti le avevano salvato la vita nei momenti di più profonda tristezza e solitudine.
«Vostro cugino Liam ha la vostra stessa età?» si informò Lucinda, la più curiosa della famiglia.
«No, è un po' più grande di me.»
Aveva detto che era già padre di quattro figli, era meglio che pensasse prima di parlare. Un uomo che aveva poco più di ventun anni non era un po' troppo giovane per aver messo al mondo quattro figli?
Peggio ancora, la sua falsa identità come Liam Kingston era bruciata. Non avrebbe più potuto travestirsi da uomo per il resto del suo soggiorno in Inghilterra per non correre il rischio che qualcuno la riconoscesse e riferisse la cosa ad Asher o ai suoi familiari. Liam Kingston era ripartito prima di tutti e purtroppo non sarebbe più ritornato.
«Gli piace leggere?» Era stata ancora Lucinda a fare la domanda.
«Leggere?»
«Credo che mia sorella si riferisca ai libri nel salotto di vostra zia. Non credo che Lady Miriam conosca l'arabo» spiegò Asher.
«Nemmeno io, se è per quello. Quei volumi appartenevano a mio padre.»
«Devoto, invalido e anche studioso di lingue orientali?»
A Emerald non piacque il tono incredulo in cui lo aveva detto.
«Ognuno ha le sue passioni. Io, per esempio, amo disegnare» si intromise Miss Lucinda.
«Davvero?»
«Anzi, volevo chiedervi se foste disposta a posare per me, mentre siete qui a Falder» aggiunse.
«Mi fareste vedere uno dei vostri lavori?» le domandò Emerald con un sorriso, mentre pensava a come rifiutare.
Se Lucinda le avesse fatto un ritratto, avrebbe potuto riconoscere in lei i tratti del cugino Liam che aveva visto soltanto una volta.
«Il quadro sul caminetto, per esempio, l'ho dipinto io.»
Emerald rimase senza fiato: era un dipinto degno di un grande pittore, una veduta di Falder tra campi e colline.
«L'avete realizzato voi? Avete un talento notevole, dovreste organizzare delle mostre.»
«Non ci ho mai pensato. Finora mi sono limitata a regalare alcuni dei miei dipinti agli amici di mio fratello, per esempio a Jack Henshaw e a Saul Beauchamp. Ma ho fatto anche dei ritratti e sarei felice di mostrarveli.»
Asher, invece, non si mostrò affatto entusiasta della proposta ed Emerald, vedendo la sua espressione, si sentì sollevata quando la cena finì e le signore si ritirarono in salotto, mentre i gentiluomini si dedicavano ai sigari e ai liquori.
«Emma Seaton non è quella che sembra.»
Era stato Taris a parlare.
Sedeva accanto alla finestra e aveva posato una mano sul vetro, cercando invano di vedere fuori.
Quel pomeriggio, nello studio, era inciampato in uno sgabello.
Solo sei mesi prima lo avrebbe evitato senza problemi, pensò malinconicamente Asher.
«È più forte di quanto voglia apparire» specificò Taris. «Descrivimela, Asher, per favore.»
«Non riesci a vederla? Ha gli occhi del colore del mare dei Caraibi, porta i capelli abbastanza corti e non si toglie mai i guanti.»
«Perché?»
«Non ne ho la più pallida idea.»
«Una donna con i capelli corti?» si stupì Taris.
«Più corti del solito. Eppure è bella.»
«Ne sono sicuro» commentò il fratello minore. «Anche senza vederla so che è bella.»
«Da che cosa lo capisci?»
«Nel caso di certe donne, non c'è bisogno di guardarle. Si capisce dalla voce. Da quanto tempo, Asher, non pensavi che una donna fosse bella?» gli domandò Taris.
Asher non rispose, non gli piaceva quella conversazione.
Fissò l'anello che aveva al mignolo, con lo zaffiro che era appartenuto a sua moglie Melanie e che aveva lo stesso colore dei suoi occhi, e maledisse quel ficcanaso di suo fratello.