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Il tesoro nascosto

di SOPHIA JAMES

Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?

3

    Asher Wellingham si recò ad Haversham House il giorno dopo, di buon mattino e da solo, facendosi precedere da un biglietto.
    Il salotto della casa dove Miriam ed Emerald vivevano era stato riordinato frettolosamente e riempito dei mobili rimasti nelle altre stanze, per nascondere gli spazi lasciati vuoti dalla vendita all'asta di due mesi prima, a York.
    Per fortuna avevano ancora il servizio da tè d'argento massiccio, che Emerald mise in bella vista accanto al divano.
    Per l'occasione indossò un abito di velluto azzurro con la scollatura orlata di pizzo, un pizzo inamidato così rigido che le faceva arrossare il collo.
    Se fosse stata in Giamaica sarebbe bastata qualche goccia di un linimento all'olio di cocco che usava fin dall'infanzia per far sparire il rossore, ma lì in Inghilterra non sapeva che cosa cercare nelle farmacie piene di flaconi con etichette indecifrabili.
    Lì tutto era indecifrabile. Le etichette, la gente, il Duca di Carisbrook...
    «Mi sono permesso di disturbarvi» esordì il gentiluomo quando arrivò, «per una questione molto delicata.» Per un attimo tacque, poi proseguì implacabile. «Vorrei sapere se è possibile parlare al giovane che risiede qui con voi.»
    «Un giovanotto?» chiese Miriam sembrando spaesata.
    «Il giovane uomo che ieri sera ha soccorso mia sorella. I miei servitori l'hanno seguito fin qui, dove è giunto verso le cinque con una carrozza a noleggio dopo avere lasciato mia sorella Lucinda a casa mia.»
    «Zia Miriam, forse Sua Grazia il duca si sta riferendo a Liam.»
    Emerald sperò che la zia cogliesse al volo il suo suggerimento.
    «Liam?» chiese Asher.
    «Mio cugino, Vostra Grazia, Liam Kingston. È rimasto a Londra solo per un paio di giorni ed è ripartito stamattina.»
    «Volevo ringraziarlo per avere aiutato mia sorella Lucinda.»
    «Gli riferirò i vostri ringraziamenti, la prossima volta che lo vedrò. Posso offrirvi una tazza di tè, Vostra Grazia?»
    Il duca la guardò con tale freddezza da farla rabbrividire.
    «Mia sorella mi ha detto che Mr. Kingston aveva un accento molto strano, Lady Emma. Forse è simile al vostro?»
    «Direi di sì.»
    Solo in quel momento Emerald notò che alla mano destra del duca mancavano le due ultime dita.
    Era stato l'odio per suo padre a costringere Wellingham a inseguirlo e a combattere con lui.
    Se avesse saputo che lei era sua figlia, l'avrebbe fatta arrestare e la povera Ruby sarebbe stata costretta a rimanere per sempre nel convento di suore dove l'avevano lasciata, a Kingston, orfana in mezzo agli orfani.
    Da più di cento giorni la sorellastra di otto anni era affidata a quelle suore. Ricordava ancora il suo sguardo spaurito quando aveva dovuto dirle addio, dopo averla consegnata alle terribili brac¬cia di sorella Margaret.
    Senza bastone e senza mappa avrebbe dovuto lasciare Ruby in convento oppure portarla a vivere con sé in qualche squallida stanza di un'orribile locanda del porto di Kingston.
    Il Duca di Carisbrook incrociò le lunghe gambe e la guardò, freddo e sicuro di sé come suo padre non era mai stato in tutta la vita.
    Quel mattino indossava pantaloni color nocciola e una giacca marrone, la camicia era bianca come la cravatta, annodata con uno stile che E¬merald non aveva mai visto prima di allora.
    Un uomo elegante e disinvolto, così diverso da come era stato suo padre! Così simile all'uomo che avrebbe voluto amare...
    Emerald si alzò e versò il tè, poi offrì la tazza ad Asher.
    Le loro dita si sfiorarono e il tempo sembrò fermarsi.
    «Scusatemi, sono ancora turbata per quello che è successo ieri sera» gli disse, tentando di giustificarsi.
    Turbata? Quando mai aveva usato una simile parola? Agli uomini, però, piaceva pensare alle donne come esseri deboli, timidi, vulnerabili, impauriti. Così si sentivano forti e invincibili.
    Asher Wellingham si sentiva di sicuro invincibile, soprattutto in quel momento. La guardava come una tigre pronta ad attaccare, in lui non aveva posto la paura.
    Com'era possibile che non si ricordasse di lei? Che non avesse ancora capito chi era?
    Per dissimulare il proprio imbarazzo, Emerald finse di soffocare a stento uno sbadiglio.
    Asher intanto aveva notato che portava ancora i guanti della sera prima, benché fossero macchiati, e che la cicatrice sul suo sopracciglio era sempre evidente, anche se la giovane aveva fatto il possibile per nascondere un livido sulla guancia che la sera prima lui non aveva notato.
    «Vi siete fatta male?» le chiese con espressione preoccupata.
    «Non è niente. La zia ha cercato di coprire il livido, speravo che non si notasse. Me lo sono fatto andando a sbattere contro una porta.»
    Si preoccupava per il livido, eppure indossava un abito di velluto azzurro così fuori moda che nessuna donna avrebbe mai accettato di metterlo davanti a un uomo come lui. Per non parlare dei capelli, ancora più disordinati della sera prima, sistemati in una pettinatura così goffa da essere quasi patetica. Niente di Emma Seaton pareva facile da comprendere.
    Le uniche cose di valore nella stanza, a parte il servizio da tè d'argento, sembravano le decine di libri rilegati in finissima pelle sistemati negli scaffali vicino alla finestra.
    Classici greci e latini, poeti inglesi contemporanei, filosofi anticonformisti come John Locke e artisti come Byron e Wordsworth.
    Forse erano di quel Liam Kingston, ma ce n'erano anche in arabo.
    Chi leggeva l'arabo in quella casa?
    Stava per chiederlo quando sentì suonare il campanello alla porta e sua sorella Lucinda entrò insieme alla cameriera che l'accompagnava.
    «Dovete scusarmi, Lady Haversham, se arrivo senza preavviso. Sono Miss Lucinda Wellingham, la sorella del Duca di Carisbrook. Ho saputo che Mr. Kingston, che ieri sera mi ha soccorso, è venuto qui stanotte. Posso chiedervi di salutarlo e di ringraziarlo ancora per il suo aiuto?» domandò, ignorando il duca.
    «Sembra che Mr. Kingston non sia più qui, Lucinda» le fece sapere il fratello prima che Miriam potesse rispondere. «È già ripartito per tornare a...?»
    Lasciò in sospeso la frase, con un tono di domanda, ma nessuno soddisfece la sua curiosità.
    «Per tornare a casa» si limitò a concludere Miriam.
    «Verrà ancora a Londra, vero?» si informò Lucinda, piena di speranza.
    «Non credo» dichiarò Emerald. «Mr. Kingston vive a Boston con sua moglie, che sta per dargli il loro quarto figlio.»
    Lucinda impallidì visibilmente.
    «Sposato con quattro figli? Ma se sembrava appena un ragazzo» si meravigliò.
    «Tutti dicono di Liam che sembra molto più giovane della sua età. Non è vero, zia Miriam?»
    Emerald vide che sua zia, per fortuna, annuiva vigorosamente.
    «Probabilmente era buio e non avete potuto vederlo bene» aggiunse.
    L'espressione del Duca di Carisbrook era imperscrutabile, ma Lucinda continuava a insistere per una ricompensa.
    «La settimana prossima andremo a Falder Castle, Asher. Non potremmo chiedere alla contessa e a Lady Emma di venire con noi per ringraziarle?»
    Emerald intravide finalmente l'opportunità in cui sperava per poter trovare il bastone che stava cercando.
    «Sarebbe un onore, Miss Lucinda, visitare la vostra casa» dichiarò.
    «Per noi sarebbe un piacere ospitarvi, anche se naturalmente avrei preferito che ci fosse anche Mr. Kingston, a cui dobbiamo tanto» aggiunse Miss Lucinda. «Non è vero, Asher?»
    «Un uomo che ha osato affrontare il Conte di Westleigh per proteggere mia sorella e l'ha riportata a casa sana e salva senza pretendere alcuna ricompensa ha tutta la mia stima» sostenne il duca con un tono di voce che allarmò Emerald.
    Era come se sospettasse qualcosa.
    «Sembra che la fortuna si sia voltata dalla nostra parte» sussurrò soddisfatta Miriam, mentre dalla soglia di casa osservava il duca offrire il braccio alla sorella e aiutarla a risalire in carrozza.
    La fortuna dalla loro parte?, rifletté Emerald. Non era mai successo, prima di allora. Lei non ci avrebbe giurato, anche se l'invito a Falder era una meravigliosa opportunità. Se la buona sorte fosse stata davvero dalla loro parte, sarebbe bastata una notte per trovare quello che cercava.
    «Che cosa sai della Contessa di Haversham, Jack?» chiese Wellingham sedendosi in poltrona nella sua biblioteca e accendendo un sigaro.
    La notte prima non era riuscito a dormire per più di un'ora, ma almeno il brandy che aveva bevuto lo aveva calmato.
    «Suo marito Matthew è morto cinque anni fa, lasciandola piena di debiti.»
    «Così la contessa ha dovuto vendere i mobili di casa per far fronte alle richieste dei creditori?»
    «Che cosa?»
    «Ha venduto i mobili per pagare i debiti.»
    «Ne sei sicuro?»
    «Questa mattina ero a casa sua, in Park Street, e ti posso assicurare che c'erano un tavolo e tre sedie in una stanza e poco altro nelle restanti.»
    Jack sembrò molto interessato.
    «Questo spiegherebbe i loro vestiti e la strana pettinatura della nipote, evidentemente fatta in casa per risparmiare.»
    «Può darsi.»
    «E poi c'è qualcosa che mi ha raccontato Tony Formison, che non mi sembrava vero ma forse lo è» aggiunse Jack.
    «Che cosa?»
    «Che Lady Emma non è affatto venuta a Londra dalla campagna. Dice di averla vista sbarcare da una nave insieme a due servitori di colore, qualche settimana fa, con molti bagagli e diverse casse di libri.»
    I libri che aveva visto a casa della contessa erano di Lady Emma? Asher si stupì.
    «Formison era sul molo quando lei è arrivata e giurerebbe che i suoi capelli fossero molto più lunghi.»
    «Più lunghi?»
    «Mi ha riferito che le arrivavano alla vita. Adesso, però, devo proprio andarmene, Asher. Scusa se sono rimasto più del dovuto, ma il tuo bran¬dy è eccezionale. Da dove viene?» gli domandò Jack chinandosi a leggere l'etichetta mentre prendeva il bastone dalla tavola.
    «Viene da Charente, in Francia.»
    «L'hai preso nel tuo ultimo viaggio?»
    Asher annuì.
    «Te ne farò mandare qualche bottiglia, ma mi devi promettere che ti farai dire esattamente da Formison da quale nave era sbarcata Lady Emma Seaton e in quale giorno.»
    «D'accordo, se proprio ci tieni.»
    «Chiedi con molta discrezione, non voglio problemi.»
    «Problemi per te o per lei? Mi sembra che tu sia particolarmente interessato alla nipote della contessa.»
    «Ho l'impressione che Lady Emma sia caduta di proposito fra le mie braccia, l'altra sera.»
    «Per quale ragione?»
    «Vorrei saperlo. Sono troppo vecchio per farmi abbindolare da una provinciale appena sbarcata a Londra.»
    «Vecchio? Tu? Asher, hai trentun anni e Lady Emma non è una donna comune. Sarebbero in tanti a essere felici di venire abbindolati da una come lei. Se tu non sei interessato, io invece, ti assicuro, lo sono.»
    «No!»
    Il duca si stupì della prontezza della propria reazione, non meno di Jack.
    Asher prese la bottiglia di brandy sulla tavola, ancora mezza piena, e la chiuse con il tappo.
    «Per il viaggio di ritorno» disse a Jack prima di offrirgliela.
    Emma Seaton.
    Chi era esattamente quella donna misteriosa uscita dal nulla?
    Per la prima volta da quando era morta sua moglie Melanie, Asher si sentiva attratto verso un'altra donna.
    Melanie.
    All'unico dito mignolo che gli era rimasto portava ancora l'anello nuziale, con quello zaffiro che era esattamente dello stesso colore degli occhi di sua moglie, occhi che non avrebbe mai più rivisto.
    Era tornato cambiato dalla lunga prigionia nei Caraibi, perfino sua madre, sua zia e sua sorella lo guardavano con timore, come se non lo riconoscessero più. C'era invece qualcosa di familiare in Emma Seaton, qualcosa di molto familiare, che, però, non avrebbe saputo ben definire.
    Erano il suo sguardo, il tono basso e un po' ro¬co della sua voce, i suoi modi così strani, così fuori dall'ordinario.
    Emma Seaton risvegliava in lui qualcosa che credeva per sempre perduto, svanito, e che invece era solo seppellito in fondo al suo cuore.
    Sembrava fragile, invece era forte. Quando l'aveva presa fra le braccia per impedirle di finire per terra, aveva avuto l'impressione che il suo fosse un corpo abituato all'esercizio fisico o al duro lavoro.
    Era sicuro che lei gli fosse caduta addosso apposta.
    Chi c'era al suo fianco, quando Lady Emma aveva perso l'equilibrio? Lance Armitage e John Derrick, entrambi uomini maturi e di solida moralità.
    No, era a lui che puntava Lady Emma quando si era lasciata cadere. E adesso l'aveva invitata a Falder.
    Forse stava esagerando, vedeva trucchi e complotti dove non ce n'erano.
    Lady Emma era povera e anche un po' goffa, non sembrava di certo a caccia di un ricco partito come lui.
    Dalla morte di Melanie le aspiranti a prendere il posto di sua moglie erano state moltissime e tutte molto più abili di lei.
    Prese una candela dalla mensola e l'accese nel fuco che ardeva nel caminetto. Poi si diresse ver¬so la sala della musica, dove il pianoforte di Melanie se ne stava solitario e silenzioso da tanto tempo.
    Si fermò davanti alla tastiera, alzò il coperchio di mogano e, dopo averci pensato un attimo, premette un tasto con un dito.
    Il suono della nota vibrò nel silenzio e poi si disperse nel buio della stanza.
    Quasi imbarazzato da quel rumore, Asher rimise a posto il coperchio della tastiera e osservò come ipnotizzato le iniziali di sua moglie, incise con cura nel legno e coperte di polvere.
    Polvere alla polvere e cenere alla cenere, pensò. Sua moglie sarebbe inorridita nel vedere il suo amato pianoforte e la sua sala da musica ridotti in quel modo.
    Da quando era morta lui aveva proibito a tutti di entrarvi.
    Eppure non riusciva a lasciare la stanza. Qualcosa lo tratteneva, non sapeva che cosa.
    Rivide gli occhi turchesi di Lady Emma, la sua cicatrice sul sopracciglio, il mare dei Caraibi, e sentì di nuovo la sua risata.
    Frammenti che si affollavano nella sua mente.
    Andò alla finestra. Fuori era tutto immobile e freddo, le nuvole che coprivano la luna gli diedero una sensazione di gelo che quasi gli immobilizzò la gamba offesa.
    La frattura lo aveva lasciato zoppo, per mancanza di cure appropriate, e anche di quello doveva ringraziare Beau Sandford.
    Ma che cosa c'entrava Lady Emma con il mare dei Caraibi? Stava diventando strano e piagnucoloso come sua madre?
    Guardò di nuovo fuori, nell'oscurità. La luna splendeva in cielo, nella notte fredda, coperta di tanto in tanto da qualche nube passeggera. Una luna che lo riempiva di malinconia e di rimpianto.
    «Sto diventando un vecchio sentimentale» si lamentò.
    Spense la candela e uscì dalla stanza.
    Sapeva già che avrebbe letto fino all'alba, sperando poi di riuscire ad addormentarsi vinto dalla stanchezza.
    Azziz tornò poco prima di mezzanotte nella casa di Park Street ed Emerald sperò che, almeno quella volta, fosse stato attento a passare inosservato.
    «Ai moli mi hanno raccontato che McIlverray sta per tornare a Londra, Emmie» le disse il muscoloso servitore.
    «Allora sa del bastone. Per quale altro motivo si scomoderebbe a venire fin qui?»
    Karl McIlverray era stato il primo ufficiale di suo padre, tanto corrotto quanto abile, con un seguito di uomini privi di scrupoli che gli obbedivano ciecamente. Doveva aver capito che la mappa era nascosta nel bastone di Beau e, come lei, aveva saputo che quel prezioso oggetto era stato visto a Londra ed era venuto a cercarlo.
    Le cose si facevano sempre più complicate e, ancora una volta, Emerald rimpianse che il padre non avesse affidato il proprio tesoro al forziere di una banca.
    «Quanto tempo ci vorrà prima che arrivi a Londra con i suoi uomini?» chiese ad Azziz.
    «Non meno di una settimana, forse dieci giorni. Se siamo fortunati, le tempeste sull'Atlantico rallenteranno la sua nave. Lascerò un uomo di guardia al molo, per essere sicuro di venire informato al più presto del suo arrivo.»
    «E tu?»
    «Toro e io verremo a Falder. Staremo nelle vicinanze in modo da poter essere d'aiuto.»
    Emerald non sapeva se fosse una buona idea, perché due uomini di colore non sarebbero passati inosservati nella campagna inglese. Ma, se fosse arrivato McIlverray, avrebbe avuto certamente bisogno di aiuto, e in tempi brevi. Non poteva permettere che quel farabutto e i suoi scagnozzi facessero del male a qualche innocente. Tutto avrebbe dovuto svolgersi con grande rapidità, a Falder. Appena saputo dov'era il bastone, bisognava prenderlo e fuggire dall'Inghilterra senza lasciare tracce.
    «E se il bastone fosse qui a Londra?» domandò ad Azziz.
    «Toro e io abbiamo perquisito da cima a fondo la casa del Duca di Carisbrook, il mese scorso, senza trovare nulla.»
    «Eppure il Duca di Carisbrook zoppica. Perché non usa il suo bastone?»
    «Non gliel'ho mai visto usare, da quando sono a Londra, non in pubblico almeno.»
    Asher faceva il possibile perché non si notasse che zoppicava. Un bastone avrebbe attirato l'attenzione sul suo difetto.
    «Miriam e io dormiremo a Falder. Non sarà difficile perquisire la casa, di notte, e trovare il bastone.»
    «Il Duca di Carisbrook non mi sembra un uomo facile da ingannare» obiettò Azziz.
    «Che tipo di uomo ti sembra?»
    «Duro, spietato, pericolosissimo. Non perde tempo a mentire né ad ascoltare bugie.»
    «Né io ho intenzione di perdere tempo a mentirgli.»
    «Non sottovalutarlo, Emerald.»
    «Adesso parli come mia zia.»
    Emerald accarezzò il braccio forte e scuro di Azziz.
    Che cosa avrebbe fatto se non ci fossero stati lui e Toro? Sarebbe stata davvero sola al mondo.
    Avrebbe voluto, solo per un attimo, conoscere di nuovo la felicità perduta di un tempo, rilassarsi e godersi la vita come faceva da bambina.
    Quando era stata l'ultima volta che si era sentita davvero felice? Non riusciva a ricordarlo.
    Suo padre era morto, la zia stava invecchiando, i loro debiti crescevano di giorno in giorno.
    Che fine avrebbe fatto, se avesse speso il poco denaro che aveva ancora a disposizione? Che fine facevano i nullatenenti a Londra?
    Finivano in prigione per debiti o all'ospizio dei poveri, insieme ad altri disperati come loro, agli imbroglioni e ai truffatori.
    Lei che cosa era diventata?, si chiese amareggiata. Una goffa bugiarda che cercava di ingannare tutti quanti per riuscire a trovare la mappa e ottenere almeno una parte del denaro di suo padre, così da poter avere di nuovo una casa e un po' di sicurezza per gli anni a venire.
    Non di certo una casa come St. Clair, ma almeno un tetto sulla testa. Era stato McIlverray a dare fuoco alla dimora della sua infanzia, spinto dall'odio che nutriva nei confronti di suo padre. Beau, prima di morire, gli aveva promesso ben più di quanto avesse intenzione di dargli e quell'uomo aveva deciso di farsi giustizia in ogni modo.
    Era facile biasimare la violenza e la vendetta quando si era ricchi e felici, ma i poveri e i diseredati dovevano vedersela con le difficoltà quotidiane, lottare ogni giorno con la fame e con la paura.
    Bugie e inganni erano tutto quello che le restava. Sembrava che la verità fosse svanita davanti alle dure prove a cui la vita l'aveva sottoposta, come un fiore appassito per i rigori dell'inverno.
    Emerald ricordava l'interpretazione che suo padre dava della legge e dubitava che quella fornita da Asher Wellingham potesse essere anche solo lontanamente simile.
    Azziz tirò fuori il pugnale dal fodero legato al suo avambraccio e cominciò a ungere con cura la lama. Un tempo quei gesti la eccitavano, adesso le facevano solo paura.
    Stava invecchiando?, si chiese Emerald.
    Aveva ventun anni, di lì a sei mesi ne avrebbe avuti ventidue. Prima vedeva avventure dappertutto, adesso solo guai che incombevano su di lei come nuvole minacciose.
    L'imminente incontro con McIlverray e i suoi l'intimoriva molto di più di quanto avesse lasciato intendere ad Azziz.
    Aveva perso il gusto della vita, del divertimento.
    Succedeva a tutti, quando invecchiavano?
    Ultimamente, le era capitato di sorprendersi a fissare per la strada le donne che potevano avere la sua età e che passeggiavano tranquille con i figli e il marito.
    Cercò di ricordare il viso di sua madre, la tenerezza delle sue carezze, la sua voce... Niente, tutto sembrava svanito nel passato, risucchiato nel nulla dalle preoccupazioni quotidiane che avevano lasciato il vuoto dietro di loro. Ormai non le restavano nemmeno i ricordi.
    «Mi hanno invitata a una festa a casa del vescovo di Kingseat. Lady Flora è stata così gentile da ricordarsi di me» comunicò ad Azziz, nel tentativo di distrarsi da quelle riflessioni. «Ci andrò domani sera.»
    «Ci sarà anche il Duca di Carisbrook?» le domandò lui.
    «Spero di sì.»
    «Miriam dice che sembra interessato a te. Se dovesse sospettare qualcosa di noi e del nostro piano...» la mise in guardia l'amico.
    «Non sospetterà nulla. Ho imparato da tempo a essere molto cauta» dichiarò lei con una certa do¬se di ipocrisia.
    Avrebbe potuto essere molto più cauta con Asher, ma non lo era stata. Anzi, la propria imprudenza la faceva sentire colpevole.
    Azziz non sembrò convinto, ma, dopo qualche attimo, si alzò e scese al piano di sotto, dove c'erano le cucine.
    Gli era venuta fame, pensò Emerald. Andava a cercare qualcosa da mangiare.
    Una vera fortuna, perché non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a sostenere quell'interrogatorio.

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
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