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Il tesoro nascosto

di SOPHIA JAMES

Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?

13

    «Stai ferma, Emma!»
    Qualcuno la stava tenendo ferma. Chi? Il viso di Asher andava e veniva, era lontano e sfocato.
    Brandelli di ricordi. Suo padre che le asciugava il sangue dal sopracciglio e sua madre seduta in un angolo.
    Evangeline.
    Piccolo angelo.
    Un'assassina.
    Emerald ricordò d'un tratto tutto quello che era successo quando lei aveva sei anni e che aveva dimenticato. Cominciò a tremare.
    Doveva fuggire da lì, andare a nascondersi nei boschi intorno a St. Clair.
    «Emerald...»
    La voce di Asher era vicina. Erano tornati a Falder, a casa.
    «Azziz e Taris?» chiese e quasi non riconobbe la propria voce.
    «Azziz è nella camera qui accanto, con due co-stole rotte e un bernoccolo in testa. Taris invece è uscito dall'incidente incolume, per fortuna.»
    «Da... quanto... tempo?»
    «Da quanto tempo sei qui? Da una settimana, con la febbre. È solo da stamattina che la febbre è scesa.»
    «Mi sento strana...»
    «È colpa del laudano che ti abbiamo dato perché non sentissi il dolore della ferita al fianco.»
    Solo allora Emerald notò le sue profonde oc-chiaie.
    «Stai qui... ti prego...»
    Aveva paura, il passato era tornato.
    Sua madre era lì, nell'ombra, con la sua pazzia, e, dietro di lei, suo padre, gli occhi pieni di lacrime.
    Vide la testa riccioluta di James, il suo corpo senza vita, e Beau che recitava il sermone funebre per il figlio e poi mandava via la moglie, lontano da casa, lontano da loro, lontano dalla tomba del bambino che lei aveva ucciso.
    Le lacrime le rigarono le guance, inarrestabili. Aveva perso la sua famiglia e ora stava perdendo anche Asher.
    «Ti ho sempre amato... fin da quando sei venu-to sulla Mariposa... pensavo... penso che tu sia l'uomo più bello del mondo» gli disse in un sus-surro.
    Aveva rinunciato a tutto il proprio orgoglio, fino all'ultima briciola. Le loro notti di passione non erano state solo un risarcimento per le colpe di suo padre, come aveva tentato di fargli credere.
    Asher spense le candele e si sedette, al buio, cer-cando di dominare i propri sentimenti.
    Ricordava quel giorno di cinque anni prima, quando, sulla Mariposa, aveva smesso di lottare con lei perché si era accorto che era una fanciulla.
    Emerald ne aveva approfittato per gettarlo in mare, dove già annaspavano i suoi compagni. Giù nell'acqua rossa di sangue e piena di squali. Mentre cercava di aggrapparsi a una botte che lei gli aveva tirato dietro, aveva sentito il ruggito d'ira di suo pa-dre.
    Erano in dieci a lottare per la vita, ma solo in sei ce la fecero e, dopo un anno di prigionia, solo Asher era ancora vivo.
    Negli ultimi giorni aveva sentito i suoi deliri, i ricordi di un'infanzia dannata che l'aveva segnata per sempre.
    Odiò se stesso mentre lasciava la stanza, ma non riusciva a rimanere.
    Ti amo... Quante volte lei glielo aveva detto? Glielo avrebbe ripetuto ancora?
    Non aveva importanza, non le credeva. Era abi-tuata a mentire come a respirare, non poteva fi-darsi di lei.
    Uscì fuori, all'aperto, respirò l'aria fresca e pu-lita, ma, nonostante ciò, continuava a sentirsi pri-gioniero, ancora più di quando era stato catturato da Beau Sandford.
    Prigioniero di un amore a cui avrebbe voluto ribellarsi, ma che ormai era troppo forte per lui.
    Emerald si svegliò prima dell'alba tuttavia non si mosse, per non svegliare la cameriera assopita su una sedia accanto al suo letto.
    Adesso tutti sapevano chi era: Asher, Lucinda, Taris e la loro madre.
    Eppure non l'avevano ancora mandata in pri-gione, la tenevano in casa loro e la curavano.
    Il cielo si stava tingendo di rosa per l'imminente sorgere del sole, quando Asher entrò nella stanza e fece un rapido segno alla cameriera, che si era svegliata, perché se ne andasse.
    Doveva essere andato a cavalcare, a giudicare dai suoi pantaloni. Richiuse la porta e poi le pose qualche semplice domanda.
    «Tu sei Emerald Sandford, vero?»
    «Sì» rispose lei.
    «La figlia del pirata Beau Sandford?»
    Un cenno di assenso con la testa.
    «Chi ti ha insegnato a usare la spada?»
    «Mio padre, Azziz, Toro e chiunque altro aves-se un attimo libero sulla Mariposa.»
    «Eri tu la fanciulla sulla nave, allora? Sei stata tu a gettarmi in mare?»
    «Sì.»
    «Perché?»
    «Per salvarti la vita. Mio padre ti avrebbe cer-tamente ucciso. Tu avevi scoperto che ero una fanciulla e avevi smesso di combattere per non farmi del male. Io ho voluto ricambiarti il favore.»
    «Ricambiare il favore?» Asher riusciva a stento a contenere la collera. «Avrei preferito morire in combattimento piuttosto che farmi un anno di pri-gionia!»
    «Io non sapevo che...»
    «Dimentico» la interruppe lui, «che sei un pirata e che i pirati uccidono per divertimento. Che cosa vuoi da me, Emerald?»
    Non le aveva creduto.
    «La mappa. Sono venuta solo per la mappa» gli disse senza insistere sulla sua versione dei fatti.
    Voglio che tu mi stringa fra le braccia e che mi tenga per sempre vicino a te, avrebbe tanto voluto dirgli.
    «Ho chiesto a tutti di tenere segreta la tua iden-tità finché rimarrai qui. Sei al sicuro, nessuno ti farà del male, ma, quando ti riprenderai, preferirei che non ti avventurassi da sola fuori da questa stanza.»
    «Hai paura per l'incolumità della tua famiglia?»
    «Preferisco che ci sia sempre qualcuno accanto a te. Ti darò un passaggio su una delle mie navi fino in Giamaica. E se hai bisogno di denaro...»
    «Voglio solo la mappa, niente denaro.»
    Se non posso avere il tuo amore, Asher, vorrei almeno la tua stima, la tua amicizia, fu sul punto di confessargli.
    Ma anche queste erano troppo per la figlia del pirata.
    Asher richiuse la porta e vi si appoggiò per ri-prendere fiato. La figlia di Beau Sandford, che cosa doveva fare di lei? Aveva lottato contro i McIlverray meglio di un uomo, senza un attimo di paura. La rabbia se ne andò e lasciò spazio ad altre fantasie: Emerald che danzava vestita di seta, che sorrideva, che rideva.
    Quanto spazio c'era stato nella sua vita per cose del genere?
    Quando si erano incontrati per la prima volta sulla Mariposa, lei doveva avere sedici anni, meno di quanti ne aveva Lucinda in quel momento, e già combatteva come un uomo.
    Se in quel momento avesse avuto Beau Sand-ford fra le mani, lo avrebbe ucciso per il male che aveva fatto alla figlia.
    Quando i McIlverray li avevano attaccati, a-vrebbe potuto lasciarlo nei guai e andare a Falder per prendere la mappa, invece non aveva esitato a combattere al suo fianco.
    Ti amo.
    Forse non lo aveva detto tanto per dire, forse non era una menzogna.
    Asher era a Londra per affari ed Emerald spe-rava che non corresse alcun pericolo. Lucinda e sua madre Alice erano venute a trovarla, quella mattina, e la guardavano tese e preoccupate.
    «Tu sei Liam Kingston, vero? Avrei dovuto ca-pirlo subito, l'altezza, la voce, i guanti...» le disse Lucinda.
    «Ti siamo molto, molto grate» aggiunse la ma-dre di Asher prendendole una mano e stringendola, ma non troppo forte, come se avesse paura di farle del male. Emerald, infatti, non portava i guanti e si chiedeva come mai la madre e la sorella di Asher non ce l'avessero con lei, adesso che sapevano chi era.
    Neppure Taris le aveva dimostrato ostilità, an¬zi, le si rivolgeva con grande familiarità e, come tutti gli altri, le dava del tu.
    Se non altro la famiglia di Asher l'avrebbe ri-cordata con affetto, pensò, e gli occhi le si riem-pirono di lacrime. Si voltò perché non se ne ac-corgessero. Non aveva mai pianto in pubblico e non voleva cominciare adesso.
    Taris bussò alla porta della camera di Emerald quando i raggi arancioni del sole al tramonto sta-vano abbandonando le colline all'orizzonte.
    Non doveva esserci venuto spesso, perché in-ciampava dappertutto. Andò a mettersi vicino alla finestra, dove c'era più luce.
    «Asher mi ha detto che ti senti in colpa per questo» le disse, indicando l'occhio con la cicatri-ce.
    Era così difficile, in Inghilterra, trovare qualcuno che andasse dritto al punto che Emerald gliene fu grata. Con Taris non avrebbe perso tem¬po in inutili giri di parole.
    «Se Asher non avesse mai incontrato mio pa-dre...»
    Il gentiluomo la fermò. «Tu non mi sembri una persona che si lasci condizionare dai se.»
    «Mio padre era convinto di essere il padrone dell'oceano, in particolare di quella parte attorno a Turks Island. Se quel giorno non avesse visto la vostra nave... La perdita della tua vista è stata una diretta conseguenza della sua avidità.»
    «La perdita della vista è stata una diretta con-seguenza del mio bisogno di proteggere Asher. Sarebbe potuto accadere ai Caraibi come qui a Falder, non fa la minima differenza. Chiamalo destino, se vuoi.» Si interruppe, poi riprese: «E-merald, c'è una cosa che tu puoi fare per me».
    «Che cosa?»
    «Sposa Asher.»
    Emerald per poco non gli rise in faccia.
    «Scusa, Taris, ma credo che il matrimonio sia l'ultima cosa che tuo fratello voglia da me.»
    «Tu sei l'unica che può salvarlo.»
    «Da che cosa?»
    «Da se stesso. Si sente colpevole per qualunque cosa.»
    Con la mano Taris cercò una sedia e vi si lasciò cadere sopra, prima di continuare.
    «Quando Melanie si ammalò, lui non c'era. Lei si prese un raffreddore e si mise a letto con le me-dicine e con le bevande calde al miele. Peggiorò e mia madre l'assistette finché esalò l'ultimo respiro. Se Asher fosse stato a casa, le cose non sarebbero cambiate, ma lui si sente in colpa. Ti prego, non abbandonarlo, non adesso. Me lo prometti?»
    Emerald fece segno di sì con il capo prima di rendersi conto che lui non la poteva vedere.
    «Grazie.»
    «Mi hai visto?»
    «Ho visto la luce che andava e veniva perché stavi muovendo la testa.»
    «Dov'è Asher?»
    «Ancora a Londra, per affari. Abbiamo alcune navi in partenza per l'India.»
    Emerald percepì la frustrazione nella sua voce. Niente più avventure per lui. Viaggiare, vedere il mondo gli era negato. Al massimo poteva restare a Falder, sentire l'oceano da lontano, le strida dei gabbiani, il rumore delle onde.
    «In Giamaica conosco uno stregone che può guarire quasi tutto, anche la perdita della vista.»
    «Sei la prima a menzionare uno stregone fra le possibili soluzioni. Mancava una persona come te nella nostra famiglia» concluse ridendo Taris pri¬ma di andarsene.
    Asher, durante il soggiorno a Londra, tentò di rimettere un po' di ordine nella sua vita.
    Fra le altre cose fece visita a un certo apparta-mento in Curzon Street, ma, prima ancora di aver visto una delle ragazze, capì che era stato un erro-re.
    Mentre lui si toglieva i guanti e il capello, Angela Cartwright gli diede il benvenuto mettendo in mostra la sua scollatura vertiginosa, ma tutto quello a cui Asher riuscì a pensare fu la farfalla sul seno di Emerald.
    «Vostra Grazia, è almeno da sei mesi che non vi vediamo. L'ultima volta siete venuto con Lord Henshaw. Come sta?»
    «Bene, grazie.»
    Accettò un bicchiere di brandy pensando di a-vere bisogno di una bella spinta, se voleva portare a termine la serata.
    «Abbiamo aggiunto un giardino d'inverno all'appartamento. Volete vederlo? Brigitte vi farà da guida.»
    Brigitte era molto bella, occhi azzurri e lunghe trecce castane, con un sorriso che rapiva il cuore. Il suo accento da mercato di Covent Garden si mescolava con la falsa cadenza francese. In circo-stanze diverse, Asher avrebbe trovato la parlata della giovane ridicola, ma quella sera gli suonò decisamente irritante.
    Il duca si fece condurre fino al giardino d'in-verno, in fondo al quale c'era un letto. Brigitte cominciò a spogliarsi e lui si sentì imbarazzato. Non sapeva che cosa farsene delle sue trecce ca-stane, voleva morbidi riccioli dello stesso colore del grano maturo, illuminati da quegli insoliti riflessi rossi che sembravano mescolarsi al fulgore dell'oro.
    Brigitte, senza vestiti, era pallida e morbida co-me una dea, ma lui desiderava la pelle abbronzata e un po' lentigginosa di un'altra dea con le mani bruciate.
    «Mi dispiace» mormorò consegnandole una moneta, prima di andarsene.
    Uscì dall'appartamento sentendosi in colpa e, quando arrivò in strada, si fermò per riprendere fiato appoggiando la fronte al vetusto edificio.
    Era stata una follia pensare di dimenticare E-merald facendo visita a una casa di tolleranza di Curzon Street. La desiderava ancora di più, ne sentiva più che mai la mancanza.
    La sola cosa che lo confortava era il porto, l'idea del mare e delle navi pronte a salpare. Non tutte, alcune non erano ancora state finite e aspettavano pazienti lungo i moli di essere pronte per affrontare l'oceano, alla volta di terre lontane dove avrebbero caricato tè, sete e spezie.
    Asher risalì sulla propria carrozza e chiese al cocchiere di portarlo alle banchine sul Tamigi. Vi arrivò ansioso come per una nuova vita che in-cominciava. Scese e corse a vedere l'ultimo dei suoi velieri che l'attendeva fedele.

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
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