Sei già registrato? Entra nella tua area personale

Il tesoro nascosto

di SOPHIA JAMES

Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?

6

Emerald indossò pantaloni e giacca nera e si infilò in tasca una candela, dentro una scatola metallica.

   Non era Liam Kingston, ma i vestiti maschili erano indispensabili nelle azioni notturne. Non solo perché erano più pratici, ma anche perché una donna avrebbe attirato troppa curiosità, se qualcuno l'avesse intravista.

   Poi uscì sul balcone, cercando di ricordare la disposizione delle stanze in cui era riuscita a gettare l'occhio nel corso di quella giornata.

   Da un'ora la casa era diventata silenziosa, tutti dovevano essere andati a dormire.

   Aveva sempre amato la notte, fin da quando era bambina, e la pace della campagna era un sollievo dopo i rumori di Londra.

   C'era la luna piena, sembrava la notte ideale per il suo lavoro di ricerca.

   Si aggrappò all'edera che ricopriva il balcone e, piano piano, cominciò a lasciarsi scivolare verso terra.

   Era leggera, non c'era pericolo che il suo peso spezzasse i rami del rampicante.

   Quando fu a una distanza ragionevole dal suolo, si lasciò cadere sull'erba, poi camminò stando bene attenta a evitare di lasciare impronte troppo evidenti.

   La portafinestra della biblioteca era a due passi.

   Emerald tirò fuori di tasca un pezzetto di fil di ferro e lo infilò nella serratura.

   Senza molta fatica la serratura scattò e la porta si aprì. Era stato facile, ma ormai lei poteva dirsi una professionista in perquisizioni.

   Una volta entrata in biblioteca, attese per un minuto o due che i suoi occhi si abituassero all'oscurità, poi tirò fuori la scatoletta di metallo che aveva in tasca e accese la candela.

   Sui ripiani della libreria più vicina c'erano opere di Milton, Shakespeare, Webster, Donne e Johnson. Grandi autori e grandi ideali, chissà se era Asher a leggerli o uno dei suoi familiari.

   Uno scaffale in fondo alla stanza attirò la sua attenzione. Conteneva rotoli di pergamena e molti altri oggetti, fra cui ombrelli e bastoni da passeggio.

   Il cuore di Emerald cominciò a battere forte, possibile che fosse stata così fortunata al primo colpo?

   Trattenne il fiato, si avvicinò al mobile ed esaminò i bastoni.

   Ce n'era uno di ebano, uno di un legno esotico profumato e un altro intagliato a mano, ma nessuno era quello appartenuto a suo padre, che stava cercando da tanto tempo.

   Non era lì e nemmeno nel resto della stanza, che esplorò con cura.

   Sapeva che non poteva trattenersi per troppo tempo, fra non molto sarebbero arrivati i servitori a controllare che nessuno avesse lasciato qualche candela accesa in giro, a spegnere le braci nei ca­minetti e a tirare le tende.

   Fu in quel momento che vide il ritratto di Melanie, Duchessa di Carisbrook.

   Era stata la moglie di Asher.

   Il nome era quello della nave appena finita. Aveva i capelli rossi e gli occhi blu come la notte.

   Emerald studiò a lungo il suo volto aristocratico.

   Che cosa ne era stato di lei?

   La data ai piedi del ritratto era quella di dieci anni prima e la gentildonna sembrava avere l'età che Emerald aveva adesso.

   Chi avrebbe potuto darle le informazioni che cercava?

   Lucinda, era ovvio, ma non doveva insospettirla con troppe domande.

   Accanto alla moglie era ritratto Asher, giovane sposo innamorato e felice.

   Al dito della moglie l'anello con zaffiro che adesso Asher portava al mignolo.

   Improvvisamente Emerald udì un rumore nel corridoio e trasalì. Qualcuno stava per entrare nella stanza, quindi lei soffiò sulla candela e uscì in punta di piedi in giardino, leggera e silenziosa come un gatto.

Asher aprì la porta e rimase per un attimo a guardare l'ombra che si dileguava nella notte. Solo un ladro esperto poteva essere così agile e silenzioso, si disse, eppure aveva riconosciuto Em­ma prima che lei spegnesse la candela.

   Che cosa ci faceva in biblioteca?

   Perché si era fermata davanti al ritratto che lui e Melanie si erano fatti fare al ritorno dal viaggio di nozze in Scozia?

   Santo cielo, sembravano trascorsi cent'anni da quel ritratto, considerò soffermandosi a guardarlo. Com'erano giovani, lui e sua moglie, e com'erano felici.

   Non riusciva a riconoscere l'uomo accanto a Melanie, avrebbe potuto essere un totale estraneo, pensò con una fitta al cuore.

   Non era stato mai più così felice.

   Si allontanò dal quadro, andò alla finestra e guardò fuori, nella notte, ma non riuscì a intravedere l'ombra furtiva che era appena uscita. Emma Seaton oppure suo cugino Liam, pensò. Erano così simili, a giudicare da quello che gli aveva detto sua sorella.

   Ma certo, non esisteva nessun Liam Kingston! Era così semplice, così logico, che Asher si sarebbe preso a schiaffi per non averci pensato subito.

   Sarebbe andato dritto nella sua stanza per chiederle il motivo di quella messinscena, se non gli fosse venuto in mente che Emma aveva salvato sua sorella, con grande coraggio e presenza di spirito.

   Era comunque in debito con lei, non poteva porle troppe domande.

   Era stata generosa e anche coraggiosa, e inoltre non gli aveva chiesto nulla in cambio del suo aiuto.

   Perché?

   Ma, prima ancora di rispondere a quella domanda, doveva scoprire se Emma Seaton potesse essere un pericolo per la sua famiglia.

   Poi avrebbe deciso come comportarsi, che cosa fare.

 

   Il Duca di Carisbrook era ancora a tavola quan­do, il mattino dopo, Emerald scese a fare colazione.

   «Spero che abbiate dormito bene questa notte» le disse mentre lei si sedeva.

   Emerald sorrise e prese una fetta di pane tostato.

   «Ho dormito benissimo. Credo che sia merito dell'aria di campagna, Vostra Grazia» rispose con uno sbadiglio.

   «Il letto era comodo?»

   «Sì. Comodissimo direi.»

   «Non siete stata infastidita dai rumori notturni?»

   «Di solito mi addormento appena appoggio la testa sul cuscino.»

   «Siete davvero fortunata» si compiacque il Duca di Carisbrook.

   «Voi non dormite bene?» si informò lei.

   «Ho il sonno molto leggero» le fece sapere, perché fosse più cauta da quel momento in avanti, quando girava per casa la notte.

   Se aveva ricevuto il messaggio, Emerald non lo diede a vedere, ma continuò a imburrare la fetta di pane tostato che aveva nel piatto senza badare a lui.

   «Stamattina vorrei fare una bella cavalcata. Vi piacerebbe accompagnarmi? Mia sorella può prestarvi il suo abito da equitazione. Nella scuderia troverete la sella e tutto quello di cui potrete avere bisogno.»

   «È da molti anni che non salgo in sella a un cavallo» si scusò Emerald.

   «Andremo piano, Lady Emma. Non avete nulla da temere.»

   Emerald non rispose.

   «Miss Lucinda dice che vostra madre vive qui a Falder» considerò, cambiando argomento, «ma non ho ancora avuto il piacere di incontrarla.»

   «Purtroppo non gode di ottima salute.»

   «Vostra sorella dice anche che vostra madre preferisce fingere di non essere molto in salute» aggiunse Emerald, «per evitare di incontrare chi non vuole.»

   «Dice così?»

   «Lucinda ha una strana sensibilità, molto acuta e sottile, devo dire.»

   «Pensate che abbia ragione a proposito di nostra madre?»

   Asher le dava la sensazione di prendersi gioco di lei. I suoi occhi danzavano eccitati, come se non volesse perdersi nessuna delle sue reazioni.

   «O di vostro cugino» aggiunse il duca.

   «Che cosa c'entra mio cugino?»

   «A Lucinda Liam Kingston è sembrato un'ottima persona, un uomo di cui potersi fidare ciecamente, assolutamente incapace di mentire. Non vi sembra una qualità desiderabile in qualunque persona?»

   «Certamente» approvò Emerald, sperando che Asher non notasse il lieve tremito nella sua voce.

   «Sono d'accordo con voi» approvò lui impugnando il coltello per prendere la marmellata nel barattolo.

   Il duca usava quasi sempre la mano sinistra, notò Emerald. Per mangiare, per bere e per fumare. Eppure una volta non era stato così. Almeno non prima che lei lo facesse cadere fuoribordo.

   Il ricordo le diede un senso di nausea. Era stata lei a renderlo invalido?

   «La mia famiglia è importantissima per me, Lady Emma, e, dato che sono il capofamiglia, è mio dovere proteggerla e difenderla da ogni possibile minaccia.»

   «Capisco» gli rispose mentre il suo cuore batteva sempre più forte.

   «Sono lieto che capiate.»

   «Buongiorno.»

   Era stata Lucinda a salutarli ed Emerald sospi­rò di sollievo.

   Non sopportava più il fuoco di fila di domande di Asher.

   L'aveva vista la notte prima?

   Ne dubitava, perché non era da lui rimanere lì seduto e tranquillo se era al corrente della sua vera identità.

   Lucinda era già vestita da amazzone, pronta per una cavalcata in campagna.

   «Fai colazione con noi, Lucy?» le domandò il fratello.

   «No, ho già fatto colazione. Stavo per andare al villaggio, vorrei passare la giornata con Rodney e Annabelle Graveson. Vieni anche tu, Asher?»

   «Appena avrò finito di fare colazione» le rispose.

   Lanciò a Emerald un'occhiata così autoritaria che lei ebbe la netta impressione che le ordinasse di andare con loro.

   Non ebbe il coraggio di rifiutare e quindi chiese a Lucinda se avesse davvero un abito da amazzone da prestarle.

   «Ne ho uno verde scuro che vi starà benissimo. Di solito voi preferite i colori pastello ma, a mio parere, le tonalità più intense dovrebbero donarvi di più. Il verde, in particolare, per via dei riflessi ramati dei vostri capelli. Chi aveva i capelli di quel colore? Vostra madre?»

   Emerald scosse negativamente il capo mentre si alzava da tavola per seguire Lucinda nella sua camera.

   Era molto sollevata per l'opportunità di allontanarsi dal duca, almeno per il momento.

 

   Un'ora più tardi, in sella a quattro bellissimi cavalli, Emerald, Lucinda, Taris e Asher stavano galoppando verso il villaggio di Thornfield, dove arrivarono in pochi minuti.

   Lucinda parlava della propria infanzia, Taris sembrava molto concentrato sul suo cavallo e sul rumore degli zoccoli.

   A un certo punto Lucinda gridò a Taris che la strada era in discesa, ma Asher non aprì bocca per avvertire il fratello.

   Chissà perché lo aveva portato con sé nei Caraibi, quando aveva rischiato di perdere la vista.

   Thornfield era un villaggio molto bello, sulla riva del mare e con numerosi negozi allineati lungo il porto, dove era ancorata una nave.

   Asher si fermò, smontò e aiutò sua sorella a scendere. Emerald era già a terra, aveva legato le redini ed era pronta ad andare verso la nave.

   «È vostra?» gli domandò la giovane.

   «Il Nautilus appartiene alla nostra famiglia, sì. Parte per l'India alla fine del mese, tornerà con un carico di seta.»

   «È molto bella. Quanti nodi fa al giorno?»

   Il Duca di Carisbrook la guardò stupito per una domanda così tecnica ed Emerald si sarebbe morsa la lingua.

   «Mio cugino è appassionato di navi. Credo che ve l'avrebbe chiesto» si giustificò lei. Poi si allontanò dalla banchina e andò a curiosare alla porta della locanda, lieta di indossare un cappello a tesa larga che aveva nascosto, almeno in parte, il lampo di desiderio che le era passato negli occhi alla vista della nave.

   Emerald adorava il mare, moriva dalla voglia di mettere di nuovo piede sul ponte di un veliero, di salire fino alla tolda dell'albero maestro, mentre il vento soffiava e faceva gonfiare le vele sullo sfondo del cielo azzurro.

   Uno degli ufficiali corse verso di loro.

   «Vostra Grazia, speravo che sareste venuto» disse ad Asher. «Ieri sera qualcuno è salito a bordo del Nautilus e ha forzato la serratura della cabina principale.»

   «Qualcosa è stato rubato?»

   «No, Vostra Grazia. Davis aveva sentito dei ru­mori dopo mezzanotte e forse è intervenuto prima che il ladro potesse portare via quello che voleva» ipotizzò l'altro.

   «Stanotte mettete due uomini a sorvegliare il ponte.»

   «Sì, Vostra Grazia.»

   «E dite a Silas di portare di nuovo a bordo il suo cane.»

   «Sì, Vostra Grazia.»

   Toro e Azziz erano saliti a bordo quella notte? Mentre Emerald se lo chiedeva, una bella donna di circa quarant'anni e un ragazzo si unirono a loro.

   «Lady Emma Seaton, vi presento Lady Annabelle Graveson e suo figlio Rodney. Lady Emma è la nipote della Contessa di Haversham.»

   «Lady Miriam di Haversham?»

   Lo sguardo di Lady Annabelle si fermò sul ciondolo al collo di Emerald. Il suo colorito, già pallido, sbiancò ulteriormente.

   «Non vi sentite bene, Lady Annabelle?» chiese Asher mentre la gentildonna si afflosciava fra le sue braccia.

   Non sembrava un finto svenimento come quello di Emerald due sere prima, anche perché il colorito di Annabelle era diventato terreo. Asher Wellingham prese la madre di Rodney fra le braccia e la sollevò senza fatica, portandola dentro la piccola locanda, in una stanza dove c'era un divano.

   «Stamattina si era già sentita male» le spiegò Rodney preoccupato, «ma non pensavo che fosse nulla di serio.»

   «Portate dell'acqua» ordinò Asher mentre depositava Annabelle sul divano.

   «Stai tranquillo, Asher. Vedrai che si rimetterà presto» gli disse la sorella.

   Da che cosa si sarebbe dovuta rimettere? Emerald se lo chiese pensando che doveva avere solo il busto troppo stretto. Quelle inglesi svenivano per nulla.

   «Dio mio...» mormorò Annabelle dopo essersi ripresa. «Oggi fa troppo caldo, avevo detto a Rodney che non me la sentivo di venire fin qui. Il mio stomaco, capite? Rodney, dove sei?»

   «Qui vicino a te, mamma.»

   Passò alla madre un fazzolettino, con cui Annabelle si asciugò il sudore sulla fronte e sul labbro superiore.

   «Il mio stomaco...» continuò a lamentarsi lei. «Ieri ho mangiato una minestra che doveva essere stata fatta con carne andata a male o con dei funghi raccolti chissà dove.»

   Sia Annabelle Graveson sia suo figlio fissavano Emerald, i loro occhi erano dello stesso colore. Asher ordinò subito del vino per tutti e, quando alcuni compaesani si avvicinarono alla porta per curiosare, bastò uno solo dei suoi sguardi autoritari per farli allontanare.

   Com'era facile farsi proteggere da Asher, con­siderò Emerald.

   «Rimarrete a Falder a lungo, Lady Emma?» le chiese Rodney, mentre il vino veniva servito.

   «Solo per una settimana. Anche mia zia Miriam, la Contessa di Haversham, è qui con noi, ma stamattina è rimasta a letto perché ha una brutta tosse. Forse voi o vostra madre la conoscete.»

   «Mia madre non si muove quasi più da Thorn­field, ma mi pare di averla sentita pronunciare il nome di vostra zia.»

   Rodney era timido, quando Emerald lo guardò in viso vide che arrossiva violentemente.

   Anche lei, quando era molto più giovane, aveva sofferto di timidezza e per questo il ragazzo le risultò simpatico.

   «Di che cosa state parlando con mio figlio, Lady Emma?» le domandò Annabelle, che si stava lentamente riprendendo.

   «Mi ha chiesto per quanto tempo rimarrò ospite di Sua Grazia.»

   «E voi che cosa avete risposto?»

   «Una settimana circa.»

   «In questo caso, domenica prossima, voi e Asher verrete a cena da noi a Longacres. Vi aspettiamo alle sei.»

   Lady Annabelle non estese agli altri il suo invito e a Emerald sembrò strano e piuttosto sgarbato.

   Asher fece un cenno molto asciutto per far capire che aveva accettato, ma Rodney le sembrò così incerto che Emerald dubitò che fosse davvero intenzionato ad accoglierla in casa sua.

   Poi però sentì che il ragazzo le stringeva la ma­no, sotto la tovaglia che copriva il tavolo a cui erano seduti.

   Era solo timido, ma sarebbe stato felice di ospitarla.

 

   Due ore dopo Emerald si allontanava da Thorn­field insieme al Duca di Carisbrook.

   Lucinda era rimasta con i Graveson e Taris aveva incontrato un amico con cui si era fermato a giocare a scacchi nella locanda.

   Emerald si chiese se Asher Wellingham avesse fatto in modo di tornare da solo con lei, per poterle parlare senza testimoni.

   La sua reputazione ne avrebbe risentito, se qualcuno li avesse visti insieme?

   Non le importava, entro pochi giorni sarebbe partita dall'Inghilterra per non farvi mai più ritorno.

   Il mare si stendeva infinito davanti ai suoi occhi e lei, leccandosi le labbra, sentì il sapore della salsedine.

   Asher non le aveva raccontato la storia di Falder ma lei pensava che, se avesse posseduto una casa così vicina all'oceano, non l'avrebbe mai lasciata, per nulla al mondo.

   Lui invece non le aveva nemmeno parlato di com'era venuto in possesso di quelle terre belle e selvagge.

   «Qual è il nome di quella penisola laggiù?» gli domandò.

   «Quella? Eddington Finger» le rispose. «Il mio bisnonno la chiamava il Promontorio del Ritorno, perché è la prima cosa che si vede arrivando dal mare. Era un marinaio e gli piaceva molto viaggiare, ma amava queste terre.»

   «Come si chiamava?»

   «Il mio bisnonno? Ashland, mentre mio padre si chiamava Ashborne e suo padre Ashton. Derivano tutti dal nome originario della mia casata, Ashalan. La mia famiglia ha molte tradizioni» ag­giunse con una fierezza che lo fece sembrare più giovane di molti anni, come lei lo aveva visto nei Caraibi, come appariva nel ritratto con sua moglie.

   Emerald si stupì per il desiderio che provava per lui, per il modo convulso in cui stava battendo il proprio cuore.

   Asher aveva una terra da lasciare ai suoi figli, sulla riva del mare, una famiglia con tradizioni, senso di responsabilità e una posizione di tutto rispetto.

   Nessuno degli uomini che aveva conosciuto, per quanto belli e virili, avevano simili qualità, nessuno l'aveva perseguitata nei sogni per cinque anni, con i suoi occhi di velluto e i capelli neri come la notte.

   Le sembrarono qualità invidiabili e, quando si fermarono per una breve sosta sotto gli alberi e lui l'aiutò a smontare da cavallo, si stupì per la prima domanda che le fece, interrompendo il silenzio che era calato tra loro da qualche minuto.

   «Che cosa ci facevate la notte scorsa nella mia biblioteca, Lady Emma?»

   «La notte scorsa?» ripeté lei come se non avesse capito, mentre la paura le serrava la gola.

   «La notte scorsa. Se non avessi saputo che eravate voi, vi avrei preso per vostro cugino Liam Kingston» aggiunse Asher, allarmandola ancora di più.

   «Non capisco che cosa vogliate dire.»

   «Lo sapete benissimo. Che cosa volete da me?»

   «Non voglio nulla, Vostra Grazia.»

   «E allora perché vagate di notte in casa mia co­me un'anima in pena, invece di riposare nel vostro letto?»

   «Posso spiegarvelo facilmente. Dalla morte di mio padre non sono più riuscita a riposare tranquillamente.»

   «Per questo vi vestite come un ragazzo e vi aggirate per le case altrui?»

   Le afferrò un polso, prima che lei potesse ritrarre la mano.

   «Siete una ladra?» le domandò.

   «No.»

   «Una spia, allora?»

   «Nemmeno.»

   «Non vi credo ma, se siete in difficoltà, posso aiutarvi» le promise lui, massaggiandole il polso come per cercare di calmarla.

   Probabilmente si era accorto che il suo cuore stava battendo all'impazzata, considerò Emerald.

   Non sapeva chi era, l'aveva scoperta a frugare di notte in casa sua eppure le aveva offerto il suo aiuto.

   «Siete ospite qui a casa mia e Lucinda, che ha molta simpatia per voi, sarebbe delusa se vi mandassi via. Ma, vi avverto, se vi scopro ancora a girare di notte per Falder, vi caccerò senza tanti complimenti» la mise in guardia. «Avete capito?»

   «Ho capito perfettamente.»

   «Allora possiamo andare.»

   Un uomo come lui le sarebbe stato molto utile a bordo della Mariposa, pensò Emerald mentre le passava le redini del suo cavallo.

   Andarono a piedi fino al mare, camminando l'uno a fianco dell'altro, e quando giunsero sulla spiaggia lei si chinò per prendere una conchiglia che portò all'orecchio, senza pensarci, come faceva sempre da bambina per sentire il rumore delle onde. L'aria era fredda, un velo di umidità copriva la spiaggia.

   Chiudendo gli occhi poteva immaginare di essere di nuovo sulla nave di suo padre in mezzo al mare. O sul ponte della Mariposa, dove aveva visto Asher per la prima volta.

   Lui le stava massaggiando di nuovo il polso, con una delicatezza sensuale che non le lasciava scampo. Emerald chiuse gli occhi e si lasciò sopraffare dalle sensazioni.

   Ti prego, no, no..., ripeté dentro di lei, ma non osò aprire bocca. Continuò a ripetere quelle parole, sperando che le dessero la forza di resistere, ma presto fu chiaro che non sarebbero bastate.

   Per una volta, soltanto per una volta, avrebbe ceduto al desiderio. Erano solo loro due sulla spiaggia grigia, sullo sfondo di quel cielo di piombo così diverso dal cielo azzurro dei Caraibi dove si erano conosciuti. I loro corpi stretti l'uno all'altro, le loro labbra unite, il cuore di uno che batteva all'impazzata contro il cuore dell'altro.

   Stava cominciando a piovere, ma nemmeno le gocce d'acqua poterono spegnere il fuoco che bruciava dentro di loro.

   Asher le tolse il cappello, la pioggia le bagnò il viso e i capelli. Le ciocche si appiccicarono alla sua fronte e al suo viso, rivoletti di acqua le scesero sul collo e fra i seni. Le labbra del duca si incollarono alle sue.

   Ancora, ancora, ancora..., ripeteva come in sogno Emerald.

   Da quanti anni sognava le mani di un uomo sul seno, sui propri fianchi?

   Qualunque altro uomo avrebbe preso quello che lei gli stava offrendo liberamente, ma non Asher Wellingham.

   «Mi dispiace» le sussurrò in un orecchio prima di staccarsi da lei e respingerla dolcemente, come se non volesse offenderla. «Non avrei dovuto, la colpa è soltanto mia...»

   Le strida di un gabbiano che volava alto sul mare sottolinearono le sue parole come un grido di dolore. Di dolore, di rabbia e di orgoglio ferito.

   Il gentiluomo le restituì il suo cappello, poi ripresero a camminare insieme sulla spiaggia tenendo le briglie dei loro cavalli. In silenzio, imbarazzati, mentre andavano verso Falder Castle. Ma Emerald aveva sentito il cuore di Asher che batteva freneticamente mentre la baciava. Non era stato un gioco, a meno che al duca non piacesse giocare con il fuoco.

 

   Una volta a Falder, appena uscita dalla scuderia, Emerald corse in camera sua, accanto alla quale c'era quella della zia.

   Aprì la porta di comunicazione e trovò Miriam che leggeva su una sedia davanti alla finestra.

   «Che cosa ti è successo? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma» le disse vedendo l'espressione sul volto della giovane.

   Emerald si versò un po' di acqua in un bicchiere prima di rispondere. Per fortuna il suo respiro era diventato quasi normale nel tragitto dalla scuderia.

   «Mi sembra che oggi tu stia un po' meglio, zia.»

   «Starei ancora meglio se tu avessi trovato quel bastone, così potremmo andarcene.»

   Un attacco di tosse le impedì di aggiungere altro.

   Che cosa poteva dirle per tranquillizzarla?

   Che il Duca di Carisbrook l'aveva vista aggirarsi per la sua casa di notte? Che aveva intuito che lei e Liam Kingston erano la stessa persona?

   Che forse sospettava anche che fosse la figlia di Beau?

   Che l'aveva baciata?

   Peggio di così non poteva andare.

   «Ho saputo che il Duca di Carisbrook ha una sala per le mappe» le disse la zia, prendendola alla sprovvista.

   «Chi te l'ha detto?»

   «L'ho vista oggi, mentre passeggiavo in giardino vicino al roseto. Forse ha già trovato la mappa e la tiene lì.»

   «Vicino al roseto, hai detto?» chiese interessata Emerald.

   «Ero con un valletto che mi raccontava che le tombe di famiglia dei Wellingham si trovano a poca distanza da lì.»

   «Melanie Wellingham, la moglie di Asher, è sepolta lì?»

   «La moglie e il figlio.»

   «Avevano avuto un figlio?»

   «Nato morto, tre anni prima del decesso di Melanie.»

   Il Duca di Carisbrook doveva avere amato sua moglie e, probabilmente, l'amava ancora.

   Il roseto era stato piantato in sua memoria, le stava dicendo Miriam. Emerald sapeva, inoltre, che lui portava ancora al mignolo l'anello delle loro nozze, e adesso c'era anche questo figlio nato morto.

   Chissà che orribile dolore per i due giovani genitori.

   Perché, altrimenti, non si sarebbe più risposato?

   E poi il loro ritratto in biblioteca, giovani, belli, teneri e innamorati.

   Asher non si sarebbe mai innamorato di lei come di Melanie, pensò Emerald.

   Non erano fatti l'uno per l'altro, non erano due rampolli viziati della dorata aristocrazia inglese.

   Asher Wellingham era un duca, aveva un titolo, tutto il denaro che voleva, terre a perdita d'occhio e quella magnifica dimora sulla riva del mare, da cui lei non si sarebbe mai allontanata, se ne fosse stata la proprietaria.

   Emerald prese dalla tasca la conchiglia che aveva raccolto e l'avvicinò all'orecchio, desiderando di avere già trovato il bastone e la mappa e di poter tornare al più presto a casa, nei Caraibi.

 

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
< Vai a Capitolo 5 Vai a Capitolo 7 >