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Il tesoro nascosto

di SOPHIA JAMES

Inghilterra, 1822 - Durante un ricevimento Asher Wellingham, nono Duca di Carisbrook, rimane folgorato dalla bellezza esotica di una sconosciuta che ha un'aria stranamente familiare. Si tratta di Emerald Sanford, figlia di un pirata dei Caraibi, giunta a Londra dalla Giamaica sotto mentite spoglie per recuperare un raffinato bastone da passeggio nel quale suo padre ha nascosto la mappa di un tesoro. Purtroppo, o forse per sua fortuna, il prezioso bastone è nelle mani di Asher, l'uomo che le ha ucciso il padre. Nessuno dei due ha previsto, però, di innamorarsi perdutamente. E adesso?

16

Annabelle Graveson venne a fare visita a Emerald con una grossa scatola piena di disegni di Evange-line.
    Era una donna del tutto diversa da quella rigida e un po' pomposa che l'aveva invitata a cena. L'abbracciò piangendo e tremando per i singhiozzi.
    «Volevo farlo dal primo momento che ti ho ri-visto, mia cara» le confessò.
    «Rivisto?»
    Non ricordava affatto Annabelle.
    «Quando avevi cinque anni, tua madre tornò in Inghilterra e ti portò con sé. Siete venute a Knut-sford, dove vivevo a quel tempo» le spiegò An-nabelle soffiandosi rumorosamente il naso.
    «È dove mia madre mi ha dato questo ciondolo. Ricordo un ragazzino...»
    «Mio figlio Simon che, sfortunatamente, morì il Natale seguente mentre, a Pasqua, fu la volta di tua madre.»
    «Era qui con voi quando morì?»
    «Era malata, Emerald, non riusciva più a sop-portare la vita. Ormai solo bere le dava un po' di conforto.»
    «Perché aveva ucciso mio fratello.»
    «Che cosa dici? È stato Beau a fartelo credere?»
    «No, l'ho visto io stessa. Il corpo inanimato di mio fratello e mia madre ubriaca contro il muro e con il viso sporco di sangue.»
    «Tuo fratello morì annegato, Emerald. Si avvi-cinò troppo al mare e vi cadde dentro. Tua madre si gettò dalla scogliera per salvarlo, ma non ci riuscì e non poté mai perdonarselo. Non voleva più vivere e tuo padre la mandò in Inghilterra sperando che io potessi fare qualcosa. Riusciva a stento a prendersi cura di se stessa, perciò venne senza di te. Tuo padre le promise che ti avrebbe portata da lei, appena il tempo fosse stato migliore, ma purtroppo nell'attesa lei morì. Mi sono chiesta tante volte se le cose avrebbero potuto essere diverse, nel caso lei fosse vissuta, ma non lo sa-premo mai.»
    Beau non aveva mai superato la perdita della moglie, era diventato duro, cattivo, un pirata da incubo non un sogno poetico come doveva essere stato per la giovanissima Evangeline.
    «La sua morte lo distrusse, gli portò via il cuo-re» concluse Annabelle.
    Dunque Evangeline non era una pazza e un'as-sassina, ma una madre che aveva invano tentato di salvare il proprio figlio. Per la prima volta, Emerald la vide: bella, dolce, addolorata. Aveva di nuovo una madre e suo fratello era morto annegato, non ucciso da quella stessa donna che lo aveva generato.
    Era stata ingiusta con Evangeline, una rosa in-glese trapiantata al sole dei Caraibi, che le avevano distrutto prima il fisico e poi anche l'anima.
    Annabelle aveva con sé un piccolo ritratto della sua famiglia. Ecco sua madre, la stessa massa di capelli dorati, gli occhi turchesi e le fossette, come lei.
    Fu felice quando la cugina le disse che poteva tenerlo. Si sentiva in pace con se stessa, come non lo era mai stata.
    «Naturalmente tu e Miriam potete venire a vi-vere con me a Longacres» le disse Annabelle, «e anche la tua sorellina sarà la benvenuta. Asher mi ha detto che ama la musica.»
    Emerald avrebbe voluto accettare, ma sapeva che era impossibile. Come avrebbe potuto vivere a cinque miglia da Falder, vedere Asher e non po-terlo amare, assistere da estranea al suo matrimo-nio, alla nascita dei suoi figli?
    «Ti ringrazio sinceramente per il tuo invito, Annabelle, ma non posso accettare» le disse, spe-rando di farle capire quanto apprezzasse la sua proposta.
    «Capisco che ci possano essere delle difficoltà, ma, se dovessi cambiare idea per qualche ragione, sarai sempre la benvenuta a Longacres» concluse Annabelle prima di andarsene.
    Poco dopo, Emerald attraversava i campi di Falder, dirigendosi verso il mare, un nastro argen-tato all'orizzonte, e ripensava alla proposta che aveva appena ricevuto.
    Non sarebbe stato meglio accettarla, dando una casa a Ruby e a Miriam, e lasciar perdere la flebile speranza di trovare un tesoro?
    Lasciare Falder e i suoi dintorni sarebbe stato un dolore enorme per lei, quasi una mutilazione.
    Raccolse i capelli nelle mani e li portò alla nuca, poi fissò il mare con gli occhi pieni di lacrime.
    Si rimise in cammino e incontrò Asher al tor-rente, vicino alla strada per Rochcliffe. Lui era sul suo cavallo, uno stallone nero che non sembrava del tutto domato, proprio come il suo padrone.
    Quella notte era tornato molto tardi da Londra. Emerald era stata svegliata dalla sua carrozza e dal subbuglio dei servitori per l'arrivo del padrone.
    Asher smontò da cavallo e le disse di avere ap-pena parlato con Annabelle. «Mi ha detto di averti offerto di rimanere con lei a Longacres, ma che tu hai rifiutato e non ne capisce la ragione.»
    «Devo tornare a riprendere mia sorella» gli ri-spose Emerald.
    Devo allontanarmi il più possibile da te. Dai tuoi occhi screziati d'oro, dalle responsabilità che gravano sulle tue spalle, dalla promessa di un amore che si può solo trasformare in odio, dal ricordo delle tue mani sul mio corpo nell'oscurità della notte.
    Lui la guardò ed Emerald arrossì.
    «Voglio mostrarti una cosa» le disse Asher ina-spettatamente.
    La condusse nel folto del bosco fino all'entrata di una caverna, seminascosta dai rovi.
    «Ecco, è qui.» Le fece strada calpestando i rovi in modo che lei potesse passare.
    Emerald entrò nella caverna e rimase per un po' immobile, aspettando che i suoi occhi si abituas-sero alla semioscurità.
    E allora, finalmente, vide quello che Asher vo-leva mostrarle: sulla parete più lontana della ca-verna c'erano dei disegni antichissimi, scene di caccia e di vita familiare tracciate migliaia di anni prima dagli abitanti di quella zona dell'Inghilterra.
    «Taris e io abbiamo scoperto questo posto da ragazzi. Non ho mai detto a nessuno della sua esi-stenza.»
    «Adesso lo hai detto a me. Perché?»
    «Perché quando stavi male mi hai detto molti dei tuoi segreti e voglio ricambiare con alcuni dei miei.»
    «Vieni qui spesso?»
    In un angolo, c'era una piccola piattaforma di le-gno su cui si trovava una pelliccia e una bugia con una candela.
    «Quando tornai a casa e scoprii che Melanie era morta, venni a dormire qui. Era l'unico posto dove riuscivo a chiudere occhio. Dove non sentivo le voci.»
    «Le voci?»
    «Le voci di quelli che, durante la mia prigionia, venivano a prenderci la notte per portarci... all'in-ferno.»
    Le mostrò la propria mano destra, le dita mon-che, e allora Emerald capì.
    «Per loro la mutilazione era un gioco e c'è chi ha perso molto più di me.»
    «È per questo che non riesci a dormire?»
    «Dormivo, quando tu eri nel mio letto.»
    «Allora vieni, dormi con me» gli disse Emerald senza un attimo di esitazione.
    Non le importava del futuro, nessuno le avrebbe portato via il ricordo di quelle ore passate insieme ad Asher.
    Chiuse gli occhi e si limitò ad ascoltare le proprie sensazioni. Sentì le sue mani che la spogliavano e il calore della pelliccia. Poi il corpo di Asher, nudo, sopra il suo e i movimenti che la portavano in paradiso e poi giù di nuovo, sulla terra.
    Era tardi, molto tardi.
    Asher aveva acceso la candela e aveva coperto se stesso ed Emerald con la propria giacca. Lei aveva appoggiato la testa sul suo petto e teneva gli occhi socchiusi.
    «Credo di avere capito perché hai rifiutato l'in-vito di Annabelle quando ti ha chiesto di andare a vivere con lei» le sussurrò Asher.
    «Sei un indovino?» lo prese in giro Emerald.
    «No, è solo buonsenso. Credo che tu abbia pau-ra di rimanere qui.»
    Lei tacque.
    «Credo che tu abbia paura di rimanere qui per-ché sei abituata a fuggire, da tuo padre, dai tuoi nemici, dalla legge. Questo piccolo angolo d'In-ghilterra potrebbe diventare casa tua, ma tu sei sempre la figlia del pirata e le cose potrebbero mettersi male.»
    «Hai ragione. Non voglio esserti accanto quando vedrai a quanta gente mio padre ha fatto del male. Non voglio leggere nei tuoi occhi qualcosa di di-verso da quello che vedo ora.»
    «Pensi di non essere capace di affrontare i fan-tasmi creati da tuo padre?»
    «Non capisci, Asher? Quando i miei genitori sono morti, non si sono dissolti nel nulla, molto di loro è rimasto dentro di me. A volte mi sembra di vederli e di sentirli, di provare quello che pro-vavano loro. Spesso mi domando se io sia come loro... Forse potrei rovinare la vita a te, alla tua famiglia, ad Annabelle e a Miriam...»
    Per tutta risposta lui si mise in piedi e la co-strinse ad alzarsi e a stare in piedi davanti a uno specchio che prima Emerald non aveva notato.
    «Che cosa vedi?» le chiese.
    Emerald non comprese.
    «I tuoi lineamenti, il colore dei tuoi occhi, il modo in cui cadono i tuoi capelli e una cicatrice su un sopracciglio. La nostra immagine è il frutto del nostro passato, ma poi c'è anche il nostro futuro. Fra il passato e il futuro ci siamo noi, con la nostra possibilità di scegliere. Tu puoi scegliere di diventare esattamente quello che vuoi, qui dentro.» Asher le prese una mano e gliela posò sul petto, là dove il cuore batteva.
    «Credi davvero in quello che dici?»
    «Ci credo perché me l'hai insegnato tu con la tua forza e il tuo coraggio. Insieme potremo affrontare qualunque cosa.»
    «Insieme?»
    «Verrò con te in Giamaica a prendere tua sorella se tu mi fai una promessa.»
    Emerald annuì e attese di ascoltare il resto.
    «Voglio che tu mi prometta di tornare a Falder insieme a me.»
    «Tornare a Falder?»
    «Non ti lascerò mai andare via, Emerald. Mai, per nessuna ragione.»
    Fecero l'amore ed Emerald aveva gli occhi pieni di lacrime. Sì, sarebbe ritornata in Inghilterra come amante di Asher e sarebbe rimasta per sempre con lui.
    Non si era mai immaginata in quel ruolo.

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