La strada del desiderio
di MEGAN HART
Un viaggio in macchina. |
Qualcuno aveva parcheggiato una Impala blu notte accanto alla sua sobria e banale berlina beige a quattro porte. Era una macchina vecchia, ma la Impala era vintage. Grande. Linee fluide ed eleganti che le facevano venire voglia di farvi scorrere la mano. Aveva un portabagagli tanto spazioso da nascondervi un branco di adolescenti eccitati che volevano entrare di straforo nel drive-in, e un cofano che non finiva più. Senza alzarlo non avrebbe potuto dire che motore aveva, ma scommetteva che fosse almeno un tre e cinquanta, abbastanza potente da far filare quella bellezza a tutta velocità prima che lei potesse mettere la seconda nella sua carretta. Avvicinandosi, notò qualche macchiolina di ruggine sul paraurti, e un’occhiata all’interno le rivelò che neppure l’abitacolo era immacolato. Comunque, quell’automobile era un diamante e, in confronto, la sua era un pezzo di vetro.
Si consolò pensando a quanta benzina consumava una macchina così, e che forse le mancavano le comodità moderne come i finestrini elettrici e uno stereo decente. Misera consolazione, quando sapeva che si sarebbe accesa con il ruggito di un leone, mentre la sua faceva il rumore di una carta da gioco incastrata tra i raggi della ruota di una bicicletta.
Be’, pazienza… La sua auto non era un granché ma era tutta pagata, e l’avrebbe portata dove doveva andare. Per lei contava solo quello.
Continuando ad ammirare la Impala, si mise al volante e infilò la chiave nell’accensione.
Si disse che era solo uno scherzo dell’immaginazione se il portachiavi le sembrava più leggero in mano. Con una zampa di coniglio come portafortuna, una minitorcia e una serie di ciondoli portachiavi raccolti nel corso degli anni, era impossibile che la mancanza di un’unica chiave facesse differenza.
Eppure, era così.
L’auto si mise in moto subito, anche se senza alcun rombo eclatante, e Molly cercò di non provare un senso d’inferiorità rispetto alla Impala. Però in quel momento fu costretta a distogliere lo sguardo dalla Impala perché vide uno spettacolo altrettanto notevole che le passò davanti.
«Ma ciao» mormorò di riflesso.
L’uomo che attraversava il parcheggio, diretto verso di lei, camminava come se fosse il padrone della terra che calpestava con i suoi vecchi stivaletti di cuoio. Le lunghe gambe inguainate in jeans stinti si avvicinavano a lei con una falcata poderosa, senza esitazioni. Il giubbotto era come gli stivali – sciupato, pieno di pieghe e malconcio, ma terribilmente sexy. Il resto non era niente male, pensò, guardandolo mentre buttava qualcosa nel bidone dei rifiuti con una mano mentre si portava il bicchiere di carta del caffè alle labbra con l’altra mano. Aveva dei lineamenti affilati e decisi, con il naso, gli zigomi e le mandibole che si adattavano perfettamente tra loro come le tessere di un puzzle. Aveva un velo di barba appena più scuro dei capelli biondastri dal taglio corto, leggermente irti in testa davanti.
La barbetta graffia, pensò, con un brivido che non era dovuto all’aria frizzante d’inizio autunno.
Di profilo, la bocca arricciata per bere dal bicchiere, sembrava rigida, forse anche un tantino dura, ma quando passò davanti all’auto di Molly e si girò appena verso di lei, vide che non aveva le labbra dure. La sua era una bocca che sembrava fatta per dare baci per ore… sempre che una donna potesse resistere così tanto tempo prima di ordinargli di usarla in altri punti del suo corpo.
E gli occhi erano verdi, si accorse Molly quando lui la fissò attraverso il parabrezza, girando la testa per continuare a guardarla mentre si fermava.
Molly deglutì a vuoto, colta sul fatto. Arrossì, anche se non del tutto per l’imbarazzo. Lui le sorrise, e gli occhi emisero un lampo… poi riprese a camminare disinvolto. Superò la sua auto e infilò la mano nella tasca del giubbotto per prendere le chiavi.
Aprì la portiera della Impala e si mise al volante, poi la chiuse con un cigolio e uno scricchiolio che Molly poté sentire anche all’interno del suo bozzolo di vetro e metallo.
Aveva visto giusto – lui girò la chiave dell’accensione e la Impala emise un rombo potente che era un vero ruggito.
Lo guardò fare una torsione del busto e mettere un braccio dietro il sedile per guardare dal lunotto posteriore mentre usciva dal parcheggio in retromarcia.
Avrebbe dovuto evitare di cogliere l’occhiata che le lanciò prima di allontanarsi. E non avrebbe dovuto guardare nello specchietto retrovisore, sperando di vedere un’ultima immagine dell’uomo. Avrebbe dovuto sfuggirle il sorrisetto che le rivolse. E un cenno di saluto.
E invece notò tutto.