Titanic: appuntamento col destino
di MARGUERITE KAYE
Jennifer Spencer sta per attraversare l’oceano sul Titanic per cominciare una nuova vita in America. Sola. O almeno così crede, fino a quando non scopre che la sua irresponsabile gemella, Maud, è salita a bordo clandestinamente. Pur essendo un’azione sconsiderata, Jennifer è contenta che la sorella abbia corso quel rischio. In fondo lei ha bisogno che qualcuno le ricordi di tenere a distanza l'affascinante uomo d’affari Max Blakely per cui ha perso la testa. Ancora prima di salpare, però, apre la porta di una cabina e…
Una volta sola, Jennifer scese sul ponte di poppa. Sembrava vi fosse rappresentata una incredibile varietà di nazionalità: oltre a cogliere la cadenza irlandese riconobbe il francese e il tedesco, così come la morbida inflessione del gaelico, e poi vi erano molti idiomi che non riuscì a distinguere.
Di nuovo nella sua cabina, ascoltò distrattamente l’allegro racconto di Maud, che aveva adocchiato la donna più ricca a bordo. «La sua cameriera ha perso la nave, così non ha nessuno che l’aiuti a vestirsi e a sistemarsi i capelli, e se c’è una cosa in cui sono esperta sono gli abiti» stava dicendo la sorella. «Mi ha detto che l’ho pettinata meglio di Julie, la cameriera francese, e ha aggiunto che avrebbe parlato con il capo del personale per chiedere che sia assegnata a lei, così alla fine non sarà un viaggio così brutto. Jenny, mi stai ascoltando? Com’è andata con Max Blakely?»
«Oh, abbiamo parlato molto a proposito... di affari. Cose varie.»
Maud socchiuse gli occhi. «Affari? Uhm... ricordi quello che ti ho detto, Jenny?»
«Per l’amor del cielo, Maud, ci stiamo scambiando i ruoli, adesso? Non devi preoccuparti per me.»
«No, non me lo permetteresti mai, vero?»
«Che cosa vuoi dire con questo?»
«Dopo la morte di Peter, non hai mai lasciato che mi avvicinassi a te. Anche quando era ammalato sapevo bene che soffrivi, ma tu non lo ammettevi neppure. Sono la tua gemella, ma non mi hai mai detto che stavi male o soffrivi.»
«Ma tu non eri mai... eri sempre via, Maud. Sai che non eri esattamente... affidabile.»
«Ma potevo ascoltarti, no? E forse non sono affidabile, nel senso che non sono stabile come te, ma non troverai mai nessuno al mondo che ti conosce come me. O che ti ama altrettanto, Jenny. Non ce lo siamo mai dette, ma tu lo sai, vero?»
«Oh, Maud, certo che sì.» Gettando le braccia intorno alla sorella, Jennifer la strinse a sé. La verità era che aveva dubitato della sorella e ora realizzò, con le lacrime agli occhi, quanto fosse stato meschino quel suo atteggiamento. Era così difficile, a volte, essere la metà di un insieme. Impossibile essere se stessa quando erano insieme, e impossibile essere pienamente se stessa quando erano lontane. «Ti voglio bene, Maudie» le sussurrò. «Anche io ti voglio molto bene.»
«Lo so.» Maud sbatté freneticamente le palpebre. Una cosa era mostrare i propri sentimenti a un uomo, ma quello che provava per Jennifer era troppo profondo per essere messo in mostra. Si alzò in piedi, concentrandosi sul proprio riflesso nello specchio, mentre si soffiava il naso. «In ogni caso, in questo momento sono affidabile, no? Anzi, più che affidabile. Scommetto che tu non saresti capace di sistemare i capelli di lady G come faccio io.»
Il sorriso di Jennifer era mesto. «Mi dispiace, Maud. Non volevo escluderti dopo la morte di Peter.»
Maud si ripassò il rossetto. «In ogni caso, è quello che hai fatto. Sebbene debba ammettere che io non ti ho dato ragione di pensare che potessi fare affidamento su di me. Forse le cose saranno diverse a New York.»
«Quindi pensi di restare?»
«Chi lo sa. In questo momento, quello che importa è trovare un abito che tu possa indossare in quel Café. Ho sentito dire che è come il Ritz. Fortunatamente, ho qualcosa di adatto.»