Titanic: appuntamento col destino
di MARGUERITE KAYE
Jennifer Spencer sta per attraversare l’oceano sul Titanic per cominciare una nuova vita in America. Sola. O almeno così crede, fino a quando non scopre che la sua irresponsabile gemella, Maud, è salita a bordo clandestinamente. Pur essendo un’azione sconsiderata, Jennifer è contenta che la sorella abbia corso quel rischio. In fondo lei ha bisogno che qualcuno le ricordi di tenere a distanza l'affascinante uomo d’affari Max Blakely per cui ha perso la testa. Ancora prima di salpare, però, apre la porta di una cabina e…
Jennifer si morsicò il labbro. Ovviamente provava lo stesso, ma non era pronta ad ammetterlo. Aveva paura di quello che poteva significare, o che cosa sarebbe accaduto se lui si fosse raffreddato nei suoi confronti, come Maud aveva detto che sarebbe accaduto. «Max, io non penso...»
«Si tratta di tuo marito? Non l’hai ancora superata...?»
«No! Voglio dire, Peter è... era... era diverso. È solo...»
«È troppo presto» insinuò lui.
«Si è trattato solo di pochi giorni.»
«Lo so, lo so. Sembra folle. Forse sono pazzo, ma a volte... mi sembra di aver già perso troppo. E mi sembra che, se non afferrerò questo, qualsiasi cosa sia, non avrò mai più niente di simile. Mi capisci, Jennifer?»
La spontaneità delle sue emozioni, la sua onestà e il suo coraggio nel rivelare ciò che provava la facevano sembrare piccola in confronto. Quello che lui stava dicendo le dava la visione di un futuro molto più brillante di qualsiasi cosa avesse mai immaginato.
Aprì la bocca per parlare, ma in quel momento la nave ebbe uno scossone, come se fosse improvvisamente finita su uno strato di macerie, spingendoli ruvidamente conto il parapetto. «Mio Dio, Max, cos’è stato?»
«Non lo so.»
Non aveva ancora finito di parlare che il Titanic prese a virare bruscamente verso destra. Un rumore come una cascata di rocce dietro di loro li fece girare verso il ponte di poppa giusto in tempo per vederlo.
Un iceberg, uno strapiombo di ghiaccio scuro, incombeva minacciosamente alto sopra il ponte della nave.
«Mio Dio, l’abbiamo colpito!» Jennifer fissò i frammenti di ghiaccio che luccicavano ai suoi piedi sul ponte di legno.
Max imprecò.
«Andremo... no, voglio dire, non andremo a picco. Hanno detto che è inaffondabile... il Titanic.» Jennifer tremava. C’era paura nella sua voce, e un’esitazione come cercasse rassicurazione. Guardò Max, che osservava accigliato il muro di ghiaccio ormai dietro di loro. Se continuavano a muoversi doveva significare che erano al sicuro. Solo che la nave sembrava aver rallentato. «Ci stiamo fermando.»
«Si tratta certo di una procedura normale» suppose Max. «Fermano i motori e ispezioneranno i danni. Anche se una o due delle paratie esterne sono state colpite, dovremmo essere in grado di... hanno le pompe...» Le nocche delle mani strette al bordo del parapetto erano sbiancate. Le baciò la fronte. «Ascolta, tu resta qui, vado a vedere se riesco a sapere cosa è successo.»
«Ma Maud...»
«Troverò Maud. Stai qui, Jennifer, e non muoverti. Tornerò il più presto possibile.»
Vedendolo che si voltava per andarsene, Jennifer fu assalita dal panico. Era ridicola. La nave era inaffondabile. Ma se accadeva qualcosa? Se accadeva il peggio senza che Max potesse mai sapere quello che provava per lui?
«Max!» gridò correndogli dietro. «Max, per me è lo stesso. Anch’io mi sento come se ti mi conoscessi davvero, come se potessi essere me stessa quando sono con te. Neppure io so esattamente cosa significa, ma non voglio... Tre giorni di felicità non sono abbastanza. Neanche lontanamente.»
Il sorriso di lui le fece balzare il cuore in gola. Il suo bacio le fece tremare le ginocchia. «Aspetta qui, troverò Maud e la porterò da te.»
Poi, in istante, era scomparso.