Titanic: appuntamento col destino
di MARGUERITE KAYE
Jennifer Spencer sta per attraversare l’oceano sul Titanic per cominciare una nuova vita in America. Sola. O almeno così crede, fino a quando non scopre che la sua irresponsabile gemella, Maud, è salita a bordo clandestinamente. Pur essendo un’azione sconsiderata, Jennifer è contenta che la sorella abbia corso quel rischio. In fondo lei ha bisogno che qualcuno le ricordi di tenere a distanza l'affascinante uomo d’affari Max Blakely per cui ha perso la testa. Ancora prima di salpare, però, apre la porta di una cabina e…
La bocca catturò quella di lei. Jennifer poté sentire i bottoni del suo cappotto premerle contro, poté aspirare il salmastro del mare che aveva impregnato la lana della sua giacca. Fu un bacio che divampò subito, facendoli tuffare entrambi in una oscura palude di desiderio.
Le mani di lei si avvinghiarono al colletto della sua camicia, le dita che si afferravano alle ciocche di capelli sul collo. La lingua di lui le leccò la bocca mentre le dita si infilavano tra il nodo dei capelli per tenerla contro di sé, così che potessero baciarsi più profondamente.
Jennifer gemette, udendo l’eco di un suono gutturale provenire da lui. Fu quello che la incendiò: rendersi conto che lei aveva attizzato lui. Fece scivolare una mano sotto la sua giacca, accarezzando i muscoli solidi della schiena. Lui invece la afferrò per le natiche, e lei poté sentire la dura erezione premerle contro. Era lei che aveva provocato quella eccitazione, e quel potere la inebriava.
L’aveva dimenticato. No, non era sicura di aver mai conosciuto prima quel genere di potere che provava con Max. I primi tempi con Peter aveva conosciuto la passione giovanile, leggera e veloce come una stella cadente. Più tardi, l’amore da sposati era stato tenero, ma poco frequente. E da quando era rimasta vedova aveva imparato come riempire da sola la propria solitudine. Ma questo era qualcosa di più oscuro, molto più adulto, complesso. Il bacio di Max prometteva una soddisfazione che sarebbe stata profonda e sconvolgente.
La mano di lui risalì lungo la schiena e girò sul seno. Il respiro era roco e affannoso. Lei era tesa come la catena di un’ancora. Un altro bacio, un altro tocco...
Il fischio del fumaiolo proprio dietro di loro, che segnalava la partenza per New York, li fece allontanare di colpo.
«Dannazione!» Max scosse il capo, aggiustando la cravatta e sistemandosi il cappotto. «Ho trentacinque anni, non quindici! Che cosa mi stai facendo?»
Jennifer fece una risatina da donna navigata. «Forse è l’aria del mare.»
Poi dal fumaiolo partì un altro fischio e il Titanic prese a staccarsi da Queenstown tra le grida di evviva. «Andiamo» disse Max. «Cerchiamo un luogo più pubblico, prima che io perda anche l’ultimo barlume di controllo che mi è rimasto.»
Sotto, sul ponte di poppa, i passeggeri irlandesi appena imbarcati si affacciavano al parapetto, salutando freneticamente, anche se il Titanic era ormai a un paio di miglia dalla costa. Un lamento di cornamuse giunse portato dal vento, e i saluti e le grida di giubilo si smorzarono mentre il suono scendeva nei cuori. Uomini in tweed scozzesi e berretti, donne con cuffie e scialli, i bambini stretti alle gonne, si girarono tutti verso il suono, in ascolto.
«Il canto di Erin» mormorò Max mentre il suono malinconico si perdeva lontano.
Jennifer lo guardo sorpresa. «Come lo sai?»
Lui scosse il capo, l’espressione vuota. «Devo... ho del lavoro da fare. Mi scuserai?»
«Cosa c’è che non va?»
Le cornamuse intonarono un altro canto strappacuore, e Max rabbrividì. «Vieni a cena con me più tardi. Non in quel mausoleo di ristorante principale. Ce n’è uno più piccolo, si chiama Café Parisien. Non preoccuparti, è tutto su base extra, così nessuno si preoccupa di chi entra, purché possa pagare» aggiunse ironico. «Prenoterò un tavolo.»
«Max... cosa...»
Ma lui si era già girato e si stava allontanando.