Titanic: appuntamento col destino
di MARGUERITE KAYE
Jennifer Spencer sta per attraversare l’oceano sul Titanic per cominciare una nuova vita in America. Sola. O almeno così crede, fino a quando non scopre che la sua irresponsabile gemella, Maud, è salita a bordo clandestinamente. Pur essendo un’azione sconsiderata, Jennifer è contenta che la sorella abbia corso quel rischio. In fondo lei ha bisogno che qualcuno le ricordi di tenere a distanza l'affascinante uomo d’affari Max Blakely per cui ha perso la testa. Ancora prima di salpare, però, apre la porta di una cabina e…
RMS Titanic, In navigazione verso New York, Venerdì, 12 Aprile, 1912
L’abito da sera era in tessuto devoré di velluto blu, indossato su una sottoveste di seta color oro e ornato di chiusure in metallo dorato. Vestiva magnificamente la figura snella di Jennifer, e il colore metteva in evidenza il castano e le sfumature rossicce dei suo capelli.
Max aveva prenotato uno dei migliori tavoli del Café Parisien, proprio di fronte all’ampia vetrata decorata che guardava sul mare. Tutto intorno a loro i passeggeri di prima classe parlavano e ridevano allegramente, come uno stormo di uccelli canterini.
Max emise un leggero fischio quando vide Jennifer. «Non proprio una Cenerentola» osservò. «Sembri più una farfalla emersa dalla crisalide.»
Lusingata, Jennifer si mise a sedere di fronte a lui con più sicurezza. Il cibo era meraviglioso, come non ne aveva mai assaggiato, c’erano persino delle fragole, sebbene fosse soltanto aprile. Sarebbe stato perfetto, se l’uomo davanti a lei, sicuramente il più attraente della sala con la sua giacca da sera, non avesse avuto quell’aria così remota, distratta.
«Che cosa ti disturba?» gli domandò Jennifer. Lui non rispose e lei si domandò se non si fosse pentito di averla baciata. Forse stava cercando di decidere come darle il benservito. Sarebbe stato molto semplice: senza la sua presenza, lei non si sarebbe mai avventurata in prima classe. Così Max avrebbe potuto facilmente stare lontano da lei per il resto del viaggio, se era questo che voleva.
«Parlami di te» le chiese lui quando il silenzio stava cominciando a diventare imbarazzante e Jennifer pensava che avrebbe fatto meglio ad andarsene. «Dimmi delle tua famiglia, dei tuoi genitori, di come è stata la tua adolescenza.»
«Ordinaria. Mio padre aveva una drogheria, e mia madre lo aiutava in negozio.»
«Erano felici?»
La guardava come se gli importasse davvero della risposta, come se quella domanda fosse qualcosa di più di una semplice curiosità sul matrimonio dei suoi genitori. «Lavoravano duro, ma erano contenti di stare insieme. Sì, erano felici.»
«E tu e tua sorella... eravate felici?»
«Sì.»
«Siete state fortunate. Ad avere i genitori, voglio dire. A essere una famiglia.»
«Sì, lo siamo state. Io sono fortunata.»
«Hai finito di mangiare? Vogliamo andare a fare una passeggiata sul ponte?»
La prese sottobraccio, ma invece di uscire sulla passeggiata, la guidò giù per le scale verso il ponte C e a poppa, superando poi la biblioteca della seconda classe e attraverso un cancello fino a raggiungere la terza classe. Il rumore che proveniva dalla sala comune era assordante. Jennifer si afferrò alla manica di Max. «Non possiamo entrare vestiti così.»
Ma lui la sospinse avanti, oltre le porte e all’interno della sala essenziale arredata con sedie e panchine senza imbottitura. L’ambiente spoglio era tutto pitturato di bianco, l’unico elemento di colore erano i poster della compagnia navale White Star appesi alle pareti. C’era molta folla, donne che lavoravano a maglia o cucivano, mentre i bambini dormivano dentro dei cestini, altri giocavano rumorosamente negli angoli. Gli uomini sedevano a dei piccoli tavoli e giocavano a carte.
Non appena furono entrati sentirono una melodia che si diffondeva, e una donna cominciò a cantare in gaelico. La voce aveva una nota tormentata che andava dritta al cuore. Mentre la musica si faceva più forte, ogni altro rumore cessò. Molte donne si asciugarono gli occhi e persino sui volti degli uomini apparvero espressioni tristi venate di malinconia. Rendendosi conto che era la stessa espressione che aveva visto sul volto di Max il giorno prima, Jennifer si girò a guardarlo, sorpresa di vederlo che sorrideva dolcemente.
«A StórmoChroí» mormorò. «Significa cara, o amore del mio cuore. Parla di una ragazza il cui fidanzato era partito per cercare una nuova vita oltre l’oceano.»
«Come lo sai?»
Lui le mise due dita sulle labbra. «Te lo dico tra un momento.»