Titanic: appuntamento col destino
di MARGUERITE KAYE
Jennifer Spencer sta per attraversare l’oceano sul Titanic per cominciare una nuova vita in America. Sola. O almeno così crede, fino a quando non scopre che la sua irresponsabile gemella, Maud, è salita a bordo clandestinamente. Pur essendo un’azione sconsiderata, Jennifer è contenta che la sorella abbia corso quel rischio. In fondo lei ha bisogno che qualcuno le ricordi di tenere a distanza l'affascinante uomo d’affari Max Blakely per cui ha perso la testa. Ancora prima di salpare, però, apre la porta di una cabina e…
RMS Titanic, Sabato notte, 14 Aprile, 1912
Jennifer lisciò la cascata della vaporosa stola di chiffon lungo le braccia. L’abito che Maud aveva scelto per quella sera era ingannevolmente semplice, di seta avorio - piuma di cigno - con la linea a sottoveste, e due lunghe fasce di pizzo dorato applicate lungo la gonna. Era francese e doveva essere costato una fortuna. E doveva essere per questo che non recava traccia delle ingiurie che aveva subito quando era stato gettato sul pavimento, mentre lei e Max facevano l’amore, poco prima.
Lui l’aveva fatta distendere sullo stomaco quella notte, tracciando una scia di baci sulla sua schiena, lungo la curva delle natiche, giù lungo le gambe. Jennifer non aveva mai saputo che il retro delle ginocchia fosse tanto sensibile... o il contorno delle caviglie. Poi Max l’aveva penetrata da dietro, e lei aveva potuto sentire ogni centimetro di lui mentre le scivolava dentro. Era stata eccitata da un nuovo genere di frizione mentre le affondava dentro, forte e duro. E poi l’aveva toccata con le mani, e lei era stata doppiamente stimolata. L’orgasmo era stato violento. E adesso le sembrava di risplendere.
Avevano portato della frutta e del vino in cabina, ma nessuno dei due era sembrato affamato di cibo, solo uno dell’altro.
Adesso, mentre lui la conduceva sul ponte, Jennifer vide che era buio, a parte per le luci che provenivano dalle cabine. Niente luna, sebbene le stelle punteggiassero il cielo incredibilmente alto sopra di loro. Erano soli là fuori. «Troppo tardi per la musica» osservò lei.
«Possiamo farla noi.» Max la prese tra le braccia e la fece danzare con lui. Si muovevano in lenti circoli, che erano più un toccare che un danzare, le dita intrecciate insieme, ancora pervasi dalla delizia del sesso per rendersi conto dell’aria gelida che trasformava in nuvolette i loro respiri.
«Ancora tre giorni e saremo a New York» mormorò Jennifer piano. Come se avesse bisogno di rammentarselo.
In effetti in quel momento, lì sul Titanic, era come essere in una bolla fuori dal tempo.
A volte quasi desiderava di non arrivare mai a destinazione. Rischiava di dimenticare tutte le ragioni che l’avevano spinta a intraprendere quella traversata quando era tra le braccia di Max, respirando il suo odore, ogni cellula di lei conscia di ogni cellula di lui. Si domandava chi fosse quella donna sconosciuta. In un certo senso, le sembrava di non saperlo. Però sapeva di essere sua, di Max, e ne era felice.
Max le accarezzò la schiena con la mano, arrestandosi sulle natiche e tirandola contro di sé. «Jennifer, tu sai che non ti ho mai sollecitato» le disse.
«Che cosa intendi dire?»
«Ti ho dato tutto l’agio di essere te stessa... voglio dire...» Si interruppe, sospingendola verso la fine del ponte coperto, sul fianco della nave, in modo che potessero guardare l’acqua scura, e le tenne una mano sulle spalle per stringerla vicina. «Non so bene cosa voglio dire, a parte il fatto che non voglio che questo finisca.»
«Abbiamo ancora tre giorni.»
«Non è abbastanza» ribatté lui deciso. «Neppure lontanamente abbastanza. Questa cosa tra di noi... è come se fossi stato colpito da una mazzata. Non mi sono mai sentito così prima. È come se tu mi conoscessi completamente. Quando sono con te, non ho più bisogno di essere altri che me stesso. Non è mai stato così prima, è tutto così giusto. Tu mi fai felice, Jenny. Possiamo essere felici insieme, so che possiamo. Per te è lo stesso? Per l’amor del cielo, dimmi che per te è lo stesso.»