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Titanic: appuntamento col destino

di MARGUERITE KAYE

Jennifer Spencer sta per attraversare l’oceano sul Titanic per cominciare una nuova vita in America. Sola. O almeno così crede, fino a quando non scopre che la sua irresponsabile gemella, Maud, è salita a bordo clandestinamente. Pur essendo un’azione sconsiderata, Jennifer è contenta che la sorella abbia corso quel rischio. In fondo lei ha bisogno che qualcuno le ricordi di tenere a distanza l'affascinante uomo d’affari Max Blakely per cui ha perso la testa. Ancora prima di salpare, però, apre la porta di una cabina e…

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«Mio padre si tolse la vita. Io ero solo un bambino, ma mi fece promettere che mi sarei preso cura del resto della famiglia.» La voce di Max si ruppe. Prese un respiro aspro, le dita strette intorno a quelle di Jennifer adesso, quasi da farle male. «Le mie tre sorelle e mia madre, le affidò a me. Mi fece promettere.»

Sebbene fosse sgomenta, Jennifer ne era anche affascinata. «E tu l’hai fatto. Mio Dio, Max, hai fatto quello che ti ha chiesto, e mille volte di più.»

Lui sorrise senza allegria. «L’ho fatto, sì, ma ho impiegato venticinque anni della mia vita a realizzare i sogni di mio padre. Quella canzone, Il lamento di Erin, fu suonata alla sua veglia funebre. Non l’avevo più sentita da allora. Mia madre giurava che poteva affascinare gli uccelli sugli alberi quando suonava. Io non ho mai visto quell’aspetto di lui, né le mie sorelle. Tristemente, questo è tutto quello che ricordo di lui, e me lo fa sembrare crudele.»

«E quelle cornamuse che hai sentito... hanno riportato indietro tutto?»

«Per anni non mi sono permesso di ripensare a questo. Non mi sono mai concesso una pausa abbastanza lunga da pensare. Forse mi sbagliavo a proposito del Titanic. Essere in balia del mare in questo modo ti lascia molto tempo per riflettere.» Max fece un sorriso triste. «Come se il mondo si fermasse per un po’, capisci?»

Jennifer gli toccò la guancia. «Te ne rammarichi? Tutto quel duro lavoro... è questo che intendi?»

«No, non è questo. E non è solo il tempo speso sulla nave che mi fa pensare alla mia vita. Sei tu. Noi siamo molto simili, tu e io.»

«Non riesco a capire come tu sia giunto a questa conclusione» rispose Jennifer attonita. «A meno che tu non voglia lusingarmi affermando che ho una propensione per gli affari. Una propensione davvero poco sperimentata, potrei aggiungere.»

«Oh, andrai benissimo, ne sono sicuro.» Max intrecciò le dita alle sue. «No, voglio dire che nessuno di noi due conosce realmente chi siamo. Io ti ho invidiato quando hai detto che stavi dando un nuovo inizio alla tua vita. Ho pensato che eri così coraggiosa, lasciandoti dietro il passato come una pelle morta, lasciando la persona che gli altri ti avevano portato ad essere. Quando hai detto questo, mi hai fatto desiderare di fare altrettanto. Ho lavorato duramente per essere la persona di cui mio padre sarebbe stato orgoglioso, la persona che lui avrebbe voluto che fossi... la persona che lui avrebbe voluto essere. Ma quella persona non sono io, e ora non so come essere qualcun altro. Sono annoiato, Jennifer, e sono... diavolo, non sono infelice, ma non sono neppure felice. Peggio, non ho idea di cosa mi renderebbe felice.»

«Allora siamo in due» replicò lei.

«Vedi, te l’ho detto, siamo simili.» Max si voltò verso di lei. «C’è solo una cosa di cui sono sicuro, però» aggiunse sollevandole il mento, gli occhi scuri di desiderio. «Che ti voglio.»

La baciò appassionatamente, raccogliendo tutte le emozioni ribollenti di quella notte nel bacio. Jennifer gli passò le braccia intorno al collo, poi fece scorrere le mani sul suo petto, sotto la giacca, tastando la dura compattezza dei suoi muscoli, e misurando l’ampiezza delle sue spalle, scendendo lungo la linea della spina dorsale, e di nuovo sull’addome, sentendolo duro e teso, e sentendo se stessa tesa allo stesso modo quando le dita lo esplorarono più in basso. Il bacio di lui si fece più audace, la lingua le scivolò all’interno della bocca, le mani che la percorrevano come stava facendo lei con lui, sulla schiena, sui fianchi e sul davanti fino a quando non le racchiuse i seni con i palmi. Quello era un bacio da cui non si tornava indietro. C’era solo una direzione.

«Jennifer?» La sua voce era roca. Il respiro affannoso, come se avesse corso.

C’era solo una riposta possibile. «Sì» mormorò Jennifer, alzandosi e spingendolo verso le scale, togliendogli ogni dubbio riguardo ciò che provava. «Oh, sì. Per favore, Max. Sì.»

Ogni mercoledì un nuovo capitolo!
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