Tra vizi e virtù
di CHRISTINE MERRILL
Miss Paulette Montaigne è venuta dalla Francia per cantare nello scandaloso Vitium et Virtus, il circolo per gentiluomini più peccaminoso dell’alta società inglese. Però sa che la sua illibatezza la rende diversa… e come potrà fidarsi di quell'orso del suo protettore, Ben Snyder? I tempi del pugilato sono finiti per lui, e Ben ha imparato a usare più il cervello che i muscoli. Ma non per questo l’angelica Miss Montaigne è alla sua portata. Potrà proteggere Paulette e anche il proprio cuore? |
Durante la sua permanenza al Vitium et Virtus, Ben Snyder si era assuefatto a essere attorniato da belle donne.
Assuefatto.
Si guardò intorno per assicurarsi che non lo guardasse nessuno, poi tirò fuori un taccuino dalla tasca della giacca e annotò quella parola su una pagina vuota, per assicurarsi di averla usata correttamente.
Da quando lavorava lì aveva avuto molte occasioni di mettere alla prova la sua resistenza alle tentazioni. Ogni sera era circondato da donne stupende che posavano nude sui tavoli, ballerine seminude in scena e prostitute che vagavano per le sale, e assisteva a ogni genere di eccessi da parte degli ospiti con il volto coperto da una maschera nel salone, nella sala da gioco e nelle camere al piano di sopra.
Ma il suo compito non era commentare né partecipare. Il suo lavoro era mantenere l’ordine. Il club nato come una bravata universitaria di quattro facoltosi gentiluomini era diventato il ritrovo notturno più noto e indecente di Londra. Per un certo periodo i suoi eccessi libertini l’avevano portato vicino all’anarchia totale. Ci era voluta la misteriosa scomparsa di uno dei proprietari per convincere gli altri tre a fare qualcosa per riportare la situazione sotto controllo.
Quando avevano offerto un lavoro a Ben, lui era poco più che un analfabeta attaccabrighe, che si guadagnava da vivere con i premi vinti per avere tempestato di pugni gli avversari fino a farli svenire. Volevano assumere un uomo forzuto per assicurarsi che nel locale regnasse l’ordine anche quando non c’erano loro a sorvegliarlo.
Ma anche se era muscoloso, i suoi modi erano troppo rozzi per mescolarsi ai nobiluomini e alle gentildonne che frequentavano il club per spogliarsi delle proprie inibizioni. Mr. Gregory gli aveva fatto capire la necessità di avere un buon sarto e gli aveva dato un rasoio affilato. Ben aveva imparato a leggere e scrivere, se non con una grafia elegante, almeno leggibile. Aveva perso l’accento incolto e adottato una dizione più raffinata, e capito che era meglio utilizzare le parole invece che i pugni. Ora teneva sempre in tasca il taccuino per mettere da parte nuovi termini, come un tempo faceva con i penny.
Ma nel suo vocabolario sempre più ampio mancavano parole francesi. Doveva solo sperare che le nuove ragazze conoscessero abbastanza l’inglese da poter comunicare. Per lui, era inutile portare le donne da Oltremanica.
Mr. Gregory aveva insistito sull’importanza delle novità. Ma una sgualdrina con un accento francese era pur sempre una sgualdrina. E perché arrivare fino in Francia a cercare una nuova cantante? Doveva avere un talento prodigioso per rivaleggiare con quello che si poteva trovare a Londra.
Poi sentì suonare il campanello che lo convocava nell’atrio.
E la vide.
Improvvisamente tutto il suo studio svanì nel nulla. Rimase a bocca aperta davanti a quella dea. Rispetto alle altre ragazze gli sembrava minuta, ma il suo semplice abito da passeggio metteva in risalto il seno magnifico e i fianchi tondi. E sotto la tesa ampia del cappellino fiorato c’era una massa di riccioli di un castano ramato, che incorniciavano un volto perfetto, tutto da baciare, con gli occhioni grigi, il nasino grazioso e labbra rosee e carnose che formarono un Oh allarmato quando lo vide.
Poi sbatté le lunghe ciglia, barcollò e rovesciò gli occhi mentre cadeva all’indietro.
Ben si precipitò ad agguantarla e sorresse il corpo inerme prima che crollasse a terra. Si adattava perfettamente alla sua stretta come se fosse stata creata da Dio per stare tra le sue braccia. Il suo viso rilassato per lo svenimento gli fece pensare che era così che appariva quando dormiva, con la testa sul cuscino.
Poi si disse che non poteva concedersi quei pensieri su una donna che lavorava lì. Per un attimo si abbandonò al rimpianto, poi mandò a prendere un ratafià e tirò fuori dalla tasca la fialetta di sali di ammoniaca che facevano riprendere i sensi ai pugili mandati al tappeto.
La stappò e gliela passò sotto il naso. Subito la vide tornare in sé. «Scusate, che sciocca sono stata!» mormorò. «Di solito non sono così debole.» Mr. Gregory aveva ragione. La sua voce era già una musica celestiale.
«Non preoccupatevi.» L’aiutò a sedersi, resistendo alla tentazione di continuare a tenerla tra le braccia più del necessario. Le mise in mano il bicchierino. «Sicuramente è colpa della fatica del viaggio.»
Ma sapevano entrambi che era una bugia. Il suo aspetto l’aveva spaventata tanto da farle svenire. Lo considerava un bruto. E, per come lo guardava con diffidenza, il suo intervento per aiutarla non era servito a mitigare i suoi sospetti.