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Sangue cherokee

di SHERI WHITEFEATHER

Daniel nascondeva qualcosa che lei non riusciva a intuire...

Capitolo 1

«Sei sicuro di volerlo fare?» chiese Tracy Calhoun al figlioletto di sei anni.
Parker annuì energicamente. Aveva una chioma di lisci capelli biondi sotto il berretto da baseball, e indossava una giacca sportiva abbottonata fino al mento. Il riscaldamento della vecchia Camaro di Tracy si era rotto di nuovo, e ora, nonostante all'esterno si gelasse, il condizionatore soffiava aria fredda anche all'interno dell'abitacolo.
«È Natale, mamma, e lui è tutto solo.»
«Ma certo, hai ragione. Chissà a cosa stavo pensando...» Come figlia di un pastore protestante, aveva allevato bene suo figlio. Ma oggi avrebbe preferito che lui non estendesse la sua buona volontà a tutti gli abitanti della cittadina. In particolare non gradiva molto l'idea di doversi avvicinare allo straniero che di recente si era trasferito a Orchid House.
La casa, di per sé, era abbastanza inquietante. Sorgeva completamente isolata su una collinetta ai margini della foresta. Quando Tracy la scorse, sentì un brivido di disagio correrle lungo la schiena, e dovette ricordarsi di restare calma. Orchid House era rimasta disabitata per anni e a Wyleville si raccontavano storie raccapriccianti sui fantasmi che la infestavano.
Si era interrogata a lungo, come d'altronde quasi tutti gli abitanti del paese, sul motivo per cui Daniel Crow avesse deciso di vivere là. Si era chiuso in quella vecchia enorme casa come in eremitaggio, separato dal resto del mondo e avvolto nel mistero.
Parcheggiò davanti all'entrata principale. L'edificio e lo stile del giardino ricordavano una piantagione del Sud, in contrasto con lo stile tipico di una cittadina della Pennsylvania.
Parker afferrò i dolci, pieno di entusiasmo. «Ho sentito dire che è un autentico pellerossa sai?»
Ecco il motivo per cui suo figlio era così affascinato da Daniel Crow, e aveva tanto insistito per fargli visita.
«Lo so, però penso preferisca essere chiamato nativo o indiano americano piuttosto che pellerossa. Anche se, a dire il vero, non so esattamente quale sia il termine appropriato. Non so mai cosa sia consideratoY politicamente corretto, al giorno d'oggi.»
Il ragazzino fece una smorfia e Tracy si rese conto che per lui stava parlando arabo. Che senso aveva chiedersi cosa avrebbe preferito Daniel Crow? Non sapeva proprio niente di lui, a parte gli aggettivi che altri avevano usato per descriverlo.
Alto, scuro, snello, misterioso, scorbutico...
Non era affatto incoraggiante, per una donna che stava per presentarsi alla sua porta con un ragazzino e una scatola di biscotti allo zenzero.
Un sentiero di mattoni portava verso l'ingresso, fiancheggiato da imponenti colonne. Gli alberi e i cespugli intorno alla casa conservavano ancora qualche foglia in lotta con il freddo pungente. C'era uno strano profumo di orchidee che aleggiava nell'aria, e Tracy rabbrividì ancora. Forse quell'odore era il segno delle presenze soprannaturali che abitavano la vecchia casaY
Bussò con decisione, mentre Parker stropicciava i piedi al suolo per scaldarsi. L'aria era decisamente pungente, quella mattina.
Qualche istante dopo la porta venne aperta e si trovarono di fronte Daniel Crow. Nessuno aprì bocca, neppure Parker che di solito aveva fin troppa parlantina. L'uomo era alto e la sua espressione non aveva nulla di incoraggiante. Il viso serio era circondato da lunghi capelli scuri e lisci, sciolti sulle spalle.
Furono però i suoi occhi ad attirare l'attenzione di Tracy. Scuri e impenetrabili, non lasciavano trasparire alcuna emozione. Si chiese quali segreti si nascondessero dietro quelle pupille di ossidiana.
«Posso aiutarvi?» chiese un attimo dopo. Il suo tono era asciutto, e aveva un leggero accento del Sud.
Rinfrancato, Parker gli tese la scatola decorata.
Daniel ebbe un attimo di esitazione, poi accettò il dono. Sembrava confuso, e guardò alternativamente la scatola e il bambino con aria interrogativa.
«Dolci» spiegò Tracy.
Lui la guardò negli occhi. Nessuno le aveva detto che aveva uno sguardo magnetico, e nemmeno che era il tipo d'uomo che ti lascia senza fiato. Era raffinato ma al tempo stesso s'intuiva in lui qualcosa di selvaggio. Era una perfetta mescolanza tra la grazia levigata di un gentiluomo del Sud e la fierezza guerriera di un Nativo. Il suo corpo aveva un atteggiamento indolente, ma il viso era attento e orgoglioso.
«Dovete avermi confuso con qualcun altro» commentò alla fine.
«Nemmeno per idea» intervenne Parker, facendo un passo avanti e fissando di sotto in su il padrone di Orchid House. «Lei è il signore indiano che non parla con nessuno. Mio nonno dice che va bene così, comunque. Anche lui è scorbutico qualche volta.»
Tracy non si scusò per suo figlio. Non voleva metterlo in imbarazzo davanti all'uomo di cui desiderava tanto diventare amico. Il piccolo Parker Calhoun era fatto così, sincero fino all'eccesso.
«E così mi avete portato dei dolci.» C'era una punta di divertimento nella voce sensuale di Daniel Crow, e l'accenno di un sorriso sulle sue labbra. «Cioccolatini, scommetto.»
«No» replicò il ragazzino. «Biscotti allo zenzero. Sono a forma di angelo, con la glassa bianca sulle ali e scorza di limone candito per l'aureola. È stata mia l'idea di venire qui, mentre la mia mamma ha pensato ai biscotti.»
Il sorriso scomparve dal viso di Daniel, che spostò lo sguardo su Tracy. Le si avvicinò e lei dovette impedirsi di fare un passo indietro. Non sembrava più divertito.
«Per l'amor del Cielo, donna» sussurrò come parlando fra sé. «Come le viene in mente di portarmi degli angeli?»
Daniel si rese conto che le stava troppo vicino. La sovrastava di almeno venti centimetri, quella graziosa signora dai riccioli di fiamma. La donna che gli aveva donato degli angeli.
Che sia un segno? si chiese turbato. Oppure era la sua immaginazione che lavorava troppo fervidamente? Niente era semplice a Orchid House, soprattutto comprendere le presenze che vi aleggiavano.
Si avvicinò ancora di più alla donna: aveva occhi verdi come la campagna irlandese, e il suo naso era lievemente spruzzato di lentiggini. All'improvviso desiderò sollevare la mano e accarezzarle il viso, sfiorare quella pelle liscia color avorio.
Strano momento per sentirsi attratto da una donna. Si era abituato a credere che il suo bisogno di una compagna accanto a sé fosse morto insieme a sua moglie. Invece, ora quel desiderio si risvegliava di colpo, facendolo sentire quasi in colpa. Scorreva nel suo sangue cherokee facendolo sentire bramoso e irrequieto come non si sentiva da anni.
«Perché mi avete portato degli angeli?» ripeté ancora. Intanto Non staccava gli occhi da quelli di Tracy.
«Perché siamo a Natale.»
La risposta gli richiamò un'immagine dolorosa dai meandri della sua memoria. Scacciò il ricordo con uno sforzo e si rese conto che stava probabilmente spaventando quella donna così giovane e gentile. E forse anche il bambino, che non smetteva di fissarlo. Doveva avere circa sei anni, rifletté Daniel. Sei anniYErano passati sei anni dall'incendio.
«Mi dispiace» riuscì a dire alla fine, arretrando di qualche passo. «Non ricevo molte visite.» E non festeggio più il Natale da secoli, aggiunse mentalmente.
«Perché lei è nuovo qui» commentò il bambino con estrema disinvoltura. «Ma posso dirle tutto quello che c'è da sapere su Wileyville. Viviamo qui da sempre. Conosciamo tutti.» Sorrise mostrando uno curioso spazio vuoto tra gli incisivi.
Il ragazzino aveva un sorriso limpido e aperto. Daniel ebbe voglia di ridere, affascinato dal giovane Parker. Sbirciò la donna e si sentì trascinato nuovamente da quella sensazione di calore, un'inattesa spinta sensuale che gli fece venir voglia di toccarla.
Incurvò le dita attorno alla scatola di metallo, trovando che fosse un sostituto troppo freddo e indifferente. Sperò che lei non fosse sposata. L'idea di desiderare la moglie di un altro uomo non gli piaceva.
«Da dove viene?» chiese quindi Tracy.
Da nessuno posto particolare, stava per risponderle lui, ma si trattenne in tempo. «Nord Carolina.»
«Ah, ecco spiegato il suo accento» commentò lei in tono di apprezzamento. «Le dispiace se le chiedo a quale tribù appartiene? Non abbiamo occasione di incontrare molti Nativi americani da queste parti.»
Daniel sorrise. «Cherokee.» Quella era un'eredità che aveva rinnegato ormai da molto tempo. Non poteva tornare alla Riserva, così come non avrebbe potuto ritornare alla buona società del Sud in cui era nata sua moglie.
«E il suo nome è Daniel Crow, vero? Lieta di conoscerla, mi chiamo Tracy Calhoun. E questo è mio figlio Parker.»
Daniel sobbalzò come se fosse stato colpito, e trattenne il respiro.
Parker.
Il bambino che aveva seppellito si chiamava così. Era uno scherzo del destino? Solo una dolorosa coincidenza? Era paralizzato, immobile come una statua. L'aria gelida lo sferzava come una lama d'acciaio.
«Si sente bene?»
Sentì la voce di Tracy ma non riuscì a formulare una risposta rassicurante. Fece un cenno, o almeno credette di farlo. Quella era pura stregoneria. Quando aveva comprato Orchid House, aveva creduto di dover affrontare semplici innocui fantasmi. Ma ora si trovava di fronte una graziosa rossa e un bambino dal sorriso irresistibile che si chiamava come suo figlio.
«Immagino sia meglio che andiamo, ora» gli disse. «Non dovrebbe restare qui fuori senza giacca. È meglio che entri dentro, altrimenti si prenderà un raffreddore.» Trascinò via Parker, che bofonchiò qualcosa a proposito di una zuppa di pollo mentre veniva guidato verso la macchina.
Daniel uscì dallo stato di trance e notò che l'auto non ripartì subito. Il motore tossì e scoppiettò a lungo prima di avviarsi con una nuvola di fumo nero. Guardandoli sparire dietro la collina Daniel aprì la scatola. Fissò le ali di glassa e le aureole di scorza candita chiedendosi che cosa diavolo avrebbe dovuto fare ora.

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