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Sangue cherokee

di SHERI WHITEFEATHER

Daniel nascondeva qualcosa che lei non riusciva a intuire...

Capitolo 8

«Sei sposato?» Tracy era sconvolta. «E hai un figlio?»
«No.» Daniel scosse la testa, pregando di riuscire a scacciare quei ricordi dolorosi che lo perseguitavano. «Sono.» Vedovo, provò a dire fra sé, anche se odiava quella parola. «Mia moglie e mio figlio sono morti sei anni fa, pochi giorni prima di Natale.»
«Oh, mio Dio! Mi dispiace, mi dispiace tanto.»
Cercò di prendere la mano di Daniel, ma lui arretrò. Non aveva lasciato che nessuno lo consolasse allora e non avrebbe permesso che Tracy lo compiangesse ora. Se gli fosse venuta troppo vicina, non sarebbe riuscito a resistere alla tentazione di abbracciarla, baciarla, coprirla di carezze.
E al desiderio di far l'amore con lei, appassionatamente e senza limiti. Ecco quello che voleva da Tracy, ma lei meritava più che semplice sesso.
«Mia moglie si chiamava Clarissa» continuò. «Era di Charleston. Una giovane bellissima debuttante della buona società del Sud. Non avevamo assolutamente nulla in comune.»
Si tolse la giacca e la appese a una sedia. «Nulla. A parte una attrazione così potente che aveva dell'incredibile.» Aveva voluto Clarissa dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su di lei. «Qualcuno pensava che io fossi troppo diverso, che non appartenessi al suo mondo. Certo, ero un miliardario, ma non vantavo una solida tradizione di potere e denaro. Ero un arricchito, ai loro occhi.»
Tracy si lasciò sfuggire un sospiro e sedette su una sedia in stile Luigi XVI. Daniel la contemplò per un attimo, pensando che i suoi abiti semplici e i riccioli rossi formavano un contrasto delizioso con i ricchi broccati e l'arredamento prezioso della casa. Sentiva la stessa straordinaria attrazione verso di lei, e la forza del proprio desiderio lo confondeva. Tracy era molto diversa da sua moglie.
«Era così importante che tu non fossi ricco di nascita?» chiese Tracy.
«Non lo era per Clarissa, ma si rivelò un problema con i suoi genitori. Non ero certo il marito che avevano sognato per la loro adorata figlia. Per loro ero solo un indiano pellerossa che veniva da una riserva.»
Aveva fatto di tutto per cambiare quello stereotipo, quel marchio che si trascinava dietro fin dall'infanzia. «Però Clarissa mi ha sposato lo stesso, e abbiamo comprato una casa nel centro storico.» Si guardò intorno. «Somigliava molto a questa.»
«Capisco» mormorò Tracy, rendendosi conto di quanto Orchid House doveva averlo affascinato.
«Non era abbastanza.» Daniel fece una smorfia guardando l'albero di Natale. «Dovevo dimostrare ai suoi genitori che il mio background - come si usa dire adesso - non era importante, ma l'unico modo era rendermi superiore a loro. Se avessi avuto più soldi di loro, insomma, avrebbero dovuto rispettarmi.»
Fece una breve quanto amara risata. «Avresti dovuto vedermi: capelli corti, abiti firmati, gomito a gomito con la migliore società di Charleston. Io amavo mia moglie, più di quanto tu possa immaginare, ma appartenere al suo mondo divenne una vera e propria ossessione.»
«E Clarissa ti ricambiava?»
«Sì.» Gli occorse tutta la sua volontà per scacciare il dolore che lo opprimeva come un peso sul petto. «Ma non capiva perché fossi così deciso a dimostrare chi fossi a quella gente.»
«E alla fine i suoi genitori ti hanno accettato?»
«No. Neppure quando è nato il nostro bambino. Gli volevano bene, ovviamente, perché era loro nipote, ma non sopportavano l'idea che fosse di sangue misto. Non importava che non avessi intenzione di parlargli del suo DNA Cherokee. Era proprio quella metà di sangue indiano che non riuscivano a mandare giù.» Daniel dovette fermarsi per impedire alla propria voce di tremare. «Si chiamava Parker. Il nome che avevamo dato a mio figlio era Parker.»
«Oh.Oh mio.» Tracy si portò una mano al petto. «Non so che cosa dire, sembra più di una coincidenza, ma non può essere.»
Lo guardò sconvolta, e Daniel avrebbe voluto abbracciarla, perdersi nella sua dolcezza. Era così buona e pura, così diversa da lui. Daniel si era sporcato per sempre con l'avidità e l'egoismo.
«Parker aveva solo tre mesi.» Chiuse gli occhi. «Non avrebbe dovuto succedere. Mia moglie e mio figlio non dovevano morire in quella casa.»
Tracy lo stava guardando con quegli occhi così innocenti, e Daniel sentì di doverle dire tutta la verità. Ammettere quello che lo tormentava da allora, avvelenando ogni istante della sua vita.
«E' stata colpa mia» disse. «Clarissa e Parker sono morti per colpa mia.»
«Non dirlo neppure per scherzo.» Tracy non poteva credere che Daniel fosse responsabile per la morte della sua famiglia.
«Sì, invece!» Guardò l'albero. «Clarissa mi aveva chiesto di non andare. Eravamo vicini al Natale e non capiva perché per me contasse di più una transazione d'affari rispetto alla nostra famiglia.» Si passò una mano tra i capelli. «Ma non l'ho ascoltata... solo perché non volevo rinunciare a un grosso guadagno. Per me era sempre tutto una questione di soldi.»
«Stavi tentando di farti accettare» lo difese Tracy. «Forse ci provavi nel modo sbagliato, ma eri confuso e ferito dal modo in cui i genitori di Clarissa ti trattavano.»
Non riusciva neppure a immaginare che cosa sarebbe successo a lei se per tutta la vita avesse dovuto vergognarsi di chi era o da dove veniva. E ancor meno poteva concepire di essere respinta dai suoi stessi suoceri. «Non eri presente quando tua moglie e tuo figlio sono morti. Non hai certo appiccato tu l'incendio.»
«Se fossi stato lì, forse avrei potuto salvarli.»
«O forse saresti morto anche tu.»
«Almeno non sarebbero stati da soli...» Si lasciò sfuggire un breve gemito. «Clarissa aveva la passione delle candele. Ne accendeva sempre la sera per profumare l'aria. Ma quella notte deve aver dimenticato di spegnerle, e forse una si è rovesciata, appiccando il fuoco a tutta la casa.»
Stese una mano e sfiorò un ramo dell'alberello. Tracy vedeva il dolore nel suo cuore, il rimpianto e la solitudine. Con quell'espressione distante negli occhi e i vestiti logori sembrava un fuggitivo che si nascondeva dal resto del mondo. E in effetti era proprio ciò che era.
«È tempo che tu ti dia pace, Daniel. Smetti di biasimare te stesso.»
«Non so. Non so some fare.»
Tracy osservò il modo gentile con cui toccava l'albero, facendo attenzione agli ornamenti.
«Stai guarendo.»
Daniel le lanciò un'occhiata e lei sentì l'impulso di andare verso di lui, cingere la sua vita con le braccia e posare la testa sulla sua spalla. Era così grande e forte, e così vulnerabile.
«Che cosa intendi dire?»
«Hai comprato un albero. Un albero vivo, che potrà crescere, che potrai nutrire per sempre.»
«L'ho comprato per te e per tuo figlio.»
«Allora noi siamo parte della tua guarigione» gli disse commossa. Voleva far parte della vita di Daniel, essere la sua amica, la sua compagna, la sua amante. Ma non era il momento adatto per dirglielo, non ora mentre piangeva ancora la perdita di sua moglie e del figlio. «Ma questo albero è anche per Clarissa e per Parker. Puoi piantarlo per loro.»
«Grazie» rispose lui semplicemente. La sua voce era calma.
Rimasero entrambi in silenzio a guardare l'albero. Tracy lo immaginò di nuovo alto e diritto che si stagliava contro il cielo azzurro.
Gli alberi avevano il potere di regalare la pace a Daniel. Tracy fu colpita da questa rivelazione istintiva. Il bosco circondava la sua casa. Forse quei tronchi snelli color argento avevano il potere di far udire il loro richiamo alle sue orecchie sensibili? Lo chiamavano fuori la notte quando non riusciva a dormire?
«Le voci che girano sul tuo conto sono vere? Vai davvero a fare delle passeggiate al chiaro di luna?»
«Qualche volta. La foresta sembra ancora più magica la notte.»
Sì, pensò. Riusciva a immaginarlo mentre camminava nella nebbia, il sentiero illuminato dalla luna e i capelli cosparsi di minuscole gocce di rugiada.
«Parlami di questa casa. Pensi anche tu che sia stregata?»
«Non nel modo che la gente pensa.» Le tese la mano. «Vieni con me. Voglio farti vedere una cosa.»
Lei si alzò e lasciò che la prendesse per mano. Sapeva che stava per mostrarle il secondo piano della casa, la stanza misteriosa che teneva chiusa.
Salirono lungo l'imponente scalinata e si ritrovarono al secondo piano. Daniel le teneva la mano e lei sentiva il calore del suo corpo trasmettersi al proprio.
Il secondo piano di Orchid House era arredato in uno stile più moderno, fine Ottocento. Oltrepassarono camere da letto dai pesanti cassettoni scuri e si fermarono di fronte all'unica porta ancora chiusa.
Daniel prese una chiave dalla tasca e il cuore di Tracy accelerò i suoi battiti.
Quando entrarono nella grande stanza, vide un ampio tavolo da lavoro coperto di pennelli e colori e tutte le attrezzature necessarie a un pittore.
C'era un cavalletto coperto da un telo bianco.
«Dipingi?» chiese a Daniel.
Lui annuì. «Lo facevo da giovane, poi avevo smesso. Ho ricominciato da quando mi sono trasferito qui.»
«È stata Orchid House a ispirarti?»
Daniel annuì di nuovo, e nei suoi occhi c'era una strana espressione intensa. «Ora voglio che tu veda i fantasmi.»
Tolse con cura il drappo che copriva il cavalletto, e Tracy sobbalzò.

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