Sangue cherokee
di SHERI WHITEFEATHER
Daniel nascondeva qualcosa che lei non riusciva a intuire...
Il pomeriggio del giorno dopo, Tracy camminava dietro a Daniel e Parker verso l'ingresso principale di Orchid House. C'era un vento gelido e tagliente che sferzava i cespugli a lato del sentiero.
«Il proprietario originale era un baronetto» spiegò Daniel. «Costruì questa tenuta per la moglie, una gentildonna del Sud. Ma suppongo che voi lo sappiate già.»
Tracy infilò le mani nelle tasche della giacca per scaldarle. «Mi fa piacere sentire di nuovo questa storia» ammise chiedendosi per quale motivo Daniel avesse scelto una residenza così isolata.
Le voci su di lui erano vere? Teneva davvero una stanza chiusa al secondo piano di Orchid House, dove neppure la donna delle pulizie poteva mettere piede? Suppose che trascorresse ore isolato in quella stanza, chiudendo fuori il resto del mondo.
Si fermarono davanti a un cancello di ferro battuto, e Parker guardò in su. «Chi vive qui?»
«Nessuno, queste sono le vecchie scuderie. Un tempo ci tenevano i cavalli e le carrozze.»
«Perché ci sono tanti piani?»
«Serviva anche da residenza per gli stallieri. Però ho fatto ristrutturare l'edificio e ora lo uso come laboratorio e garage.»
Quello era il motivo per cui si trovavano lì. Daniel le aveva offerto di prestarle una delle sue auto. Anche se aveva ceduto l'attività, gli era rimasta la passione per le macchine, tanto che ora le collezionava. Un modo costoso per passare il tempo, rifletté rabbrividendo dal freddo sotto il cappuccio.
Entrarono attraverso le porte di legno verniciate di fresco e Parker trattenne il fiato. «Guarda, mamma. guarda quante macchine!»
Già, pensò Tracy incespicando. Le auto di Daniel erano splendenti e curate alla perfezione. Ogni esemplare era parcheggiato su una pedana di vinile bianco e nero, e l'ambiente sembrava una mostra d'auto d'epoca.
«Non vorrai prestarmi una di queste, vero?» Non riusciva neppure a immaginarsi di poter accettare in prestito qualcosa di tanto costoso e stravagante.
«Ma certo.» Si avvicinò a una Camaro rossa, la cui vernice era lucidata fino a scintillare. «Questa è uguale alla tua.»
«Non posso guidarla.»
«E perché.?»
«Già, perché no mamma?»
Tracy lanciò un'occhiata al figlio che aveva appena ripetuto la domanda di Daniel. «Perchè» spiegò a entrambi, «è troppo bella. Cosa succederà, se la graffio o la rovino?»
«Una bella signora deve guidare una bella auto» replicò Daniel. «Per di più si tratta di pochi giorni, il tempo necessario per riparare la vostra.»
Lei scosse la testa. «Apprezzo la tua generosità, ma hai fatto abbastanza. Mi arrangerò da sola per questo breve periodo.»
«Lascia che lo faccia per te» insistette Daniel gentilmente.
Lei lo guardò negli occhi e comprese che le stava offrendo più che una macchina. Voleva che lei avesse bisogno del suo aiuto, di lui, anche se per una cosa piccola come quella.
«Va bene» disse alla fine accettando il prestito.
«Bene» sorrise Daniel.
Tracy sapeva che non avrebbe dovuto permettere a se stessa di diventare così intima con Daniel Crow, perché l'attrazione che provava per lui poteva diventare pericolosa, ma non riusciva a stargli lontana. Era troppo carismatico, troppo affascinante e magnetico per resistere.
Chiuse gli occhi. Che cosa stava facendo, sperava di legarlo a sé? Un uomo che aveva lasciato tutto il suo passato alle spalle, che portava il fardello di problemi così profondi e laceranti? Non aveva speranza, eppure si stava comportando come una sciocca.
Daniel si sfregò le mani. «Torniamo verso casa, così ve la mostro nei minimi particolari.»
Camminarono in silenzio, ma Tracy credeva di avvertire il sussurro di voci nel vento. Quali segreti erano custoditi tra le mura massicce di Orchid House? E perché Daniel trascorreva ore chiuso in una stanza misteriosa?
Ebbe un attimo di esitazione avvicinandosi alla porta principale. Una volta attraversata la soglia, non avrebbe potuto tornare indietro: sarebbe entrata nel mondo di voci, fantasmi e misteri di Daniel.
La casa era grande, in ogni suo dettaglio si respirava lusso e opulenza. Nell'ingresso nasceva la gigantesca scalinata di marmo, e le finestre erano schermate da pesanti tendaggi di velluto. C'era un caminetto dalla cornice intagliata, mentre l'arredamento era composto da mobili massicci e chiaramente antichi.
Daniel non li invitò al secondo piano, ma li condusse al primo. La casa era in stile vecchio Sud anche all'interno, compresa una pittoresca veranda. Era piuttosto strano per Tracy, ma Daniel le spiegò che la moglie del primo proprietario era del Missisippi e ne sentiva la mancanza.
Si accomodarono nella veranda, godendosi la vista del giardino e del bosco. La foresta cominciava proprio in fondo al prato ben curato, e si estendeva a perdita d'occhio lungo la collina. Si chiese se davvero Daniel facesse delle passeggiate da solo al chiaro di luna, come aveva sentito dire in paese. Girava una serie infinita di pettegolezzi sul suo conto, alimentati dall'aura di mistero che lo avvolgeva.
«Avete freddo?» chiese lui interrompendo i suoi pensieri. «Possiamo andare dentro e farci una tazza di cioccolato.»
«Certo, buona idea!» approvò Tracy, sapendo che Parker avrebbe apprezzato.
Lo seguirono in cucina, che era grande e arredata con mobili antichi in stile con il resto della casa.
Daniel preparò tre tazze di cioccolata istantanea, mentre Tracy studiava l'espressione di suo figlio. Il ragazzino aveva osservato attentamente ogni dettaglio della casa: ogni candelabro, ogni divano rivestito di broccato, ogni cornice di marmo intarsiato.
«Fai mai le scivolate lungo i corrimano?» chiese poi a Daniel.
«No, non ho mai provato.»
«E cosa fai qui da solo tutto il giorno?»
«Non preoccuparti amico mio, ho un sacco di cose che mi tengono occupato!»
Tracy guardò il vapore che usciva dalla sua tazza. «È una casa. incredibile» commentò cercando di non pensare alla stanza sigillata. Daniel sembrava ancora più elusivo, ora che si trovava in casa propria, soprattutto sulla storia della donna di servizio. «Le decorazioni e l'arredamento sono magnifici, veramente raffinati.»
«Grazie.» rispose Daniel. «Ma non è merito mio. Ho comprato la casa già arredata. Era già tutto disposto come lo vedi ora.»
Erano seduti intorno a un grande tavolo di quercia, il cui piano portava i segni di secoli d'uso quotidiano. Tracy immaginò che fosse il tavolo dove i servi di Orchid House consumavano i loro pasti. All'epoca della costruzione, ovviamente, non veniva chiamata Orchid House. Il nome era venuto più tardi, insieme ai fantasmi.
Tracy non era certa di credere che la casa fosse davvero infestata. Nessuno aveva mai visto gli spettri e forse il profumo di fiori era solo uno scherzo della sua immaginazione.
Si diceva che i fantasmi fossero le figlie del baronetto e della sua bella moglie. La leggenda narrava che fossero due splendide fanciulle, leggiadre e corteggiate da tutta la buona società dell'epoca. Tuttavia avevano rifiutato tutti i pretendenti, convinte di non aver mai trovato quello giusto. Non riusciva a immaginarle sotto forma di spettri inquieti che vagavano per quelle stanze dove un tempo avevano ballato.
Quando si voltò, vide che Daniel la stava osservando.
«A che cosa pensi?» le chiese.
«A nulla» rispose lei, la mente ancora rivolta alle orchidee. Le due sorelle erano state appassionate coltivatrici di quei fiori rari, e avevano persino ottenuto una varietà chiamata signora della notte, dal profumo squisito che si sprigionava nelle ore notturne.
In quell'istante Tracy comprese perché le due sorelle avessero atteso per tutta la vita l'uomo dei loro sogni. Lei aveva sposato l'uomo sbagliato, ma quell'esperienza le aveva insegnato che cosa davvero volesse. L'attrazione, il desiderio, la passione e l'intimità che si raggiungono solo quando ci si innamora perdutamente di una persona.
E sapeva chi poteva darle tutto questo. Quell'uomo, però, era quasi un estraneo che lei conosceva a malapena.