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Sangue cherokee

di SHERI WHITEFEATHER

Daniel nascondeva qualcosa che lei non riusciva a intuire...

Capitolo 4

Daniel era in piedi nel garage di Tracy, con indosso un paio di jeans logori e una vecchia maglietta. Aveva anche uno straccio infilato nella tasca posteriore. Durante la sostituzione dello starter, aveva notato una perdita d'olio. Forse avrebbe dovuto prestarle una delle sue auto. Ne aveva parecchie parcheggiate nella rimessa.
Parker fece irruzione le garage, le scarpe da ginnastica che cigolavano sul pavimento di cemento. «Ciao, Daniel! Non sapevo che fossi qui. Sono appena tornato da casa del mio amico Benjamin.»
Sovrastato dall'energia che sprizzava da ogni poro del giovane Parker, Daniel si pulì le mani nello straccio. «Davvero?» chiese. Non aveva esperienza di bambini. Suo figlio, il suo Parker, era morto quando aveva appena tre mesi. Ricordava ancora la sua pelle morbida e profumata di talco, e il modo il cui le sue ciglia si abbassavano sulle guance quando stava per addormentarsi.
«La mia mamma sta facendo una minestra per pranzo, ma io non mangio perché ho già mangiato i maccheroni a casa di Ben.» Il ragazzo si strofinò la punta del naso. Aveva le guance rosse per il freddo. «Hai riparato la nostra macchina?»
«Sì, ma ci sono altre cose che non vanno.» Se suo figlio fosse stato ancora vivo, avrebbe avuto la stessa età di quello di Tracy.
«E riparerai anche quelle?»
«Sì, se tua madre è d'accordo. Dovrei portare a casa mia la vostra auto, però, perché là ho tutti gli attrezzi necessari.» Daniel cominciò a mettere in ordine, tanto per tenersi occupato. Parker aveva una ciocca di capelli ritta in testa, e Daniel provò l'istinto protettivo di sistemarla.
«Ehi, Daniel...»
«Sì?»
«Tu sai anche parlare la lingua Cherokee?»
Daniel cercò di non far trasparire il proprio disagio nel sentire quella domanda. «Parlavo il dialetto Kituwah, quando ero più giovane.»
«Koala?»
«No, Ki-tu-wah.»
«E te lo ricordi abbastanza per insegnarmelo?»
Lo ricordava, naturalmente. Non aveva dimenticato la sua lingua madre. Semplicemente aveva smesso di usarla. Incontrò lo sguardo speranzoso di Parker e si asciugò nuovamente le mani. Daniel non voleva essere l'eroe di nessuno, ma a quanto sembrava non aveva scelta. Non se la sentiva di spezzare le illusioni di Parker.
«Se prendi un foglio e una matita, ti faccio vedere subito l'alfabeto Cherokee.»
Il ragazzo volò fuori dal garage, i capelli e la giacca svolazzanti intorno alla sua figuretta minuta.
Fu di ritorno a tempo di record, esibendo orgoglioso un blocco e una matita. Daniel sedette sul pavimento accanto a Parker, e cominciò a disegnare i simboli. «È stato un uomo chiamato Sequoyah a inventare l'alfabeto Cherokee. Ci ha messo dodici anni per renderlo perfetto, ma non si è arreso. Qualcuno pensava che fosse matto, ma alla fine si è guadagnato il rispetto della tribù perché aveva insegnato loro il modo per comunicare in forma scritta.»
Continuò a spiegare i suoni della sua lingua, paragonandoli all'inglese. Parker lo ascoltava con la massima attenzione, quasi rapito. Incapace di resistere, Daniel gli accarezzò la nuca per abbassare il ciuffo ribelle.
Il ragazzino si mise a copiare l'alfabeto su un altro foglio. Il suo viso assunse un'espressione concentrata e compresa. Daniel sorrise.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, finché il bambino sventolò trionfante il foglio. «Vado a mostrarlo alla mamma! E anche al nonno.»
«Ma certo, vai pure.»
Rimasto solo, Daniel continuò a riordinare il garage. Era sorprendente, ma la lezione di Cherokee non l'aveva minimamente infastidito. Non l'aveva fatto sentire in colpa per le proprie origini, come invece gli era successo quando aveva avuto a che fare con i turisti nel Nord Carolina. Probabilmente era stato merito dell'espressione entusiasta e innocente negli occhi del ragazzo.
Prese la cassetta degli attrezzi e si diresse verso il furgone per sistemarla. Mentre la spingeva sotto il sedile, si chiese che tipo fosse il padre di Parker.
Il nonno paterno abitava alla porta accanto, ma... dov'era il padre del bambino?
Incuriosito, decise di chiedere a Tracy. Entrò in casa dalla porta sul retro, seguendo l'aroma di pomodoro, spezie e cipolla che aleggiava nell'aria.
La cucina era in muratura, con un ampio piano di lavoro in legno massiccio. Il tipo di ambiente che si immagina progettato per raccogliere la famiglia intorno a cene casalinghe. Il luogo in cui ci si racconta com'è andata la giornata e ci si sente più uniti.
Tracy era di fronte al lavello, intenta a versare la zuppa in una ciotola di rame. Aveva raccolto i capelli in un nodo sulla nuca, ma qualche ricciolo sfuggiva alla presa, scendendo sulle sue guance e sul collo.
Esitante, Daniel si fermò sulla soglia. Improvvisamente voleva qualcosa di più di una semplice conversazione. Immaginò di premere le labbra sul suo collo delicato. Riusciva quasi a sentire il sapore della sua pelle, lievemente salato. Il sapore dolce di una donna.
Lei si voltò e lo fissò negli occhi, ma un attimo dopo il suo sguardo si spostò verso la porta decorata.
Daniel guardò in alto, e si rese conto di essere finito in una situazione imbarazzante: c'era un rametto di vischio legato con un nastro d'oro che penzolava sulla sua testa.
Daniel rimase immobile sotto il vischio, e tutto quello che Tracy riuscì a pensare fu che desiderava disperatamente baciarlo. Era così selvaggio e mascolino, con i capelli legati in una coda di cavallo, i jeans sdruciti e quella maglietta logora.
«Ti va di unirti a noi per la cena?» gli chiese.
«Ma sì, grazie.» Sembrò felice di poter entrare nella cucina, spostandosi da sotto il vischio. Era alto e imponente, la sua presenza sembrò riempire la stanza.
«Siediti, sarà pronto in un minuto.»
«Prima vorrei lavarmi le mani.»
«Oh, sì... prego.» Si fece da parte, lasciando libero il lavello.
Mentre Daniel grattava via il grasso dalle mani, Tracy apparecchiò per lui, ricordando con delizioso senso di colpa quanto solido e forte fosse il suo corpo quando l'aveva abbracciata.
Tolse gli involtini dal forno e lui lasciò libero il lavello. L'aveva sognato di nuovo, nudo e color del bronzo che scivolava tra le sue cosce, gli addominali ben visibili sotto la pelle d'oro...
«Posso aiutarti?»
La zuppiera tintinnò, e lei si scottò quasi il polso. «Come? No, è tutto a posto.» Niente, era solo sovreccitata e travolta dalle sue fantasie erotiche.
Daniel sedette e Tracy servì la cena per entrambi e poi, con un respiro profondo, si mise a sedere di fronte a lui.
Rimasero a guardarsi in silenzio, incapaci di superare l'imbarazzo di un'intimità che diventava ogni minuto più pericolosa. Sorrise, e Tracy capì che stava cercando di rompere il ghiaccio. Ricambiò il sorriso con gratitudine.
«È davvero ottima» commentò lui, dopo aver assaggiato la minestra.
«Grazie. Mia madre faceva sempre delle zuppe squisite, in inverno. La considero quasi una tradizione di famiglia.»
«Sul serio?» Daniel condì l'insalata. «Vivono qui vicino?»
«No. Loro sono missionari, quindi viaggiano molto.»
Lui scosse la testa. «Avevo pensato che fossi cresciuta qui.»
«È così infatti. Mio padre era il parroco del paese. Hanno cominciato a fare i missionari solo quando io sono stata abbastanza grande.» Le mancavano i genitori, ma rispettava il loro desiderio di fare qualcosa di buono per il resto del mondo. «Mi telefonano spesso. E adorano Parker, naturalmente.»
Daniel sorrise di nuovo. «In effetti è davvero un bambino simpatico.»
«Sono felice che la pensi così.» L'orgoglio di madre le sciolse il cuore. Voleva che suo figlio destasse sempre una buona impressione sul prossimo, ma questa volta l'opinione di Daniel contava più del solito. «È andato a far vedere a Tom quello che gli hai insegnato. Sei stato gentile a dedicargli del tempo. So che eri già occupato con la macchina e tutto il resto.»
«Come ti ho detto, è un gran ragazzino.» Versò l'acqua nei loro bicchieri. «È molto affezionato a Tom, vero?»
Tracy annuì. «Tom è un nonno fantastico. Non so che cosa farei senza di lui, specialmente dal momento che i miei genitori non vivono più qui.»
«Che ne è del padre di Parker?»
Il suo stomaco si contrasse immediatamente, nell'udire quella domanda. «Che... che cosa intendi?»
«Lui e Parker si frequentano spesso? Sono affezionati l'uno all'altro? Parker non ne parla mai.»
«No.» Tracy posò il cucchiaio sulla tavola come in segno di resa. «Bradley Calhoun ha lasciato la città quando lui aveva appena un anno.»
Daniel spalancò gli occhi per lo stupore. «Vuoi dire che se n'è semplicemente andato?»
«Già» confermò Tracy, sperando di non dovergli raccontare anche la triste storia del suo matrimonio.

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