La preferita del capo
di SUSAN MEIER
Quando Kelsey Cramer Delaney ritorna a Portage, la sua città natale in Pennsylvania, dopo la morte del marito, l'ultima cosa che si aspetta è di andare ad abitare accanto al suo primo amore. Eric non è affatto contento di vederla, né tanto meno di abitare in un quartiere periferico. È tornato alle origini solo perché l'ex moglie lo ha tradito e ha avuto pure la sfacciataggine di prendersi metà della sua azienda di successo.
L'ultima cosa che Eric desidera è restare imbrigliato in una relazione con Kelsey.
Soprattutto da quando lei inizia a lavorare per lui.
Quando Kelsey entrò in ufficio il giorno seguente, Eric era già arrivato e sembrava molto preso dal suo lavoro. Non alzò nemmeno lo sguardo quando la salutò: «Buongiorno, Kelsey».
«Buongiorno» gli rispose lei, poi deglutì. Consapevole che lui non era più il perfido stregone dell'Ovest e convinta che il destino lo avesse già punito abbastanza per quel che le aveva fatto, Kelsey stava rivalutando i propri sentimenti. Lo ricordava come il ragazzo intelligente ma un po' pignolo con cui usciva. Ricordava anche che, sotto l'aspetto più privato della loro relazione, era un tipo dolce. Una bella persona. E lei sperava che la sua ex moglie non gli avesse rubato anche quella parte di lui.
«Ho buttato giù un paio di lettere la scorsa notte» le disse, poi finalmente alzò lo sguardo e le consegnò un CD. «Portalo alla tua scrivania e sistema tutti gli errori di battitura, inserisci gli indirizzi che trovi nella rubrica su quella che era la postazione della mia ex moglie, poi manda in stampa i documenti e portameli da firmare.»
«D'accordo» rispose Kelsey prendendo il CD. Notò però che gli occhi di Eric erano cupi e in un certo senso apatici e iniziò a capire perché tutti gli impiegati non potessero vedere la sua ex. Sembrava davvero che la donna lo avesse solo usato. Si era presa la casa, metà dell'azienda e aveva ucciso il suo essere.
A Kelsey ci vollero quattro ore per leggere e sistemare il paio di lettere che Eric aveva scritto. Non perché fossero piene di errori, ma perché in totale erano ben trentasette. Quando infine si allontanò dalla scrivania, non solo ringraziò il cielo per aver seguito un corso sull'uso dei programmi di scrittura, ma anche per l'invenzione del comando cerca e sostituisci e per il correttore ortografico.
Arrivata nell'ufficio di Eric con i documenti stampati, scoprì che lui non era alla sua scrivania. Girò attorno al mobile per lasciare le lettere davanti alla sedia, in modo che lui le notasse una volta rientrato in ufficio, e solo allora si accorse che il capo non era uscito, ma era carponi sul pavimento a cercare qualcosa che doveva essere finito sotto la credenza.
Per quanto si fosse imposta di non farlo, Kelsey non poté fare a meno di soffermarsi sul fondoschiena di Eric, permettendo al suo sguardo di risalire poi sulla sua schiena ampia e fino ai capelli luminosi. Quindi serrò con forza gli occhi, incredula. Perché aveva fatto una cosa del genere?
Si schiarì la voce. «Eric?» lo chiamò, ma il suo nome le uscì molto roco e Kelsey desiderò sparire. Si schiarì di nuovo la voce. «Ti ho portato le lettere.»
«Bene, ottimo, fantastico!» rispose lui, senza dare segno di aver notato il suo strano tono.
Si voltò per rivolgerle uno sguardo cortese ma, poiché era a terra, i suoi occhi incontrarono prima le gambe di Kelsey. Lei li vide risalire fino ai polpacci, alle ginocchia e oltre l'orlo della sua gonna blu. Quando il suo sguardo raggiunse quello di lei, gli occhi di Eric non erano più segnati dall'apatia che Kelsey aveva visto quella mattina. Adesso era come se risplendessero nello stesso modo del giorno in cui si era rifiutato di assumerla.
E questa volta lei sapeva che Eric stava ricordando gli anni passati insieme da ragazzi. Non poteva negarlo. Tutto ciò a cui stava pensando era proprio lì, nei suoi occhi, affinché lei lo vedesse.